Federico II d'Aragona, re di Sicilia
Terzogenito di Pietro III d'Aragona e di Costanza figlia di Manfredi, nacque nel 1272. Nel 1291 fu nominato luogotenente in Sicilia dal fratello Giacomo, che lasciava l'isola per divenire re d'Aragona; e malgrado l'opposizione di questi e di papa Bonifacio VIII fu poi incoronato re di Sicilia, con grande entusiasmo del popolo (1296).
Dovette così combattere contro Giacomo e contro Carlo II d'Angiò; con la pace di Caltabellotta (1302) ottenne la Sicilia (col titolo di re di Trinacria), con l'intesa che alla sua morte la corona sarebbe tornata agli Angioini. Condusse fruttuose spedizioni nel Mediterraneo orientale. Nel 1312 riprese il titolo di re di Sicilia; nello stesso anno fu nominato da Enrico VII ammiraglio dell'Impero e divenne il suo principale sostenitore in Italia, ma abbandonò la causa imperiale dopo l'improvvisa scomparsa di Enrico. Morì in Sicilia nel 1337. È spesso chiamato Federico III, per meglio distinguerlo dal grande imperatore svevo, che in effetti fu primo come re in Sicilia.
L'atteggiamento di D. nei suoi confronti costituisce un problema di assai difficile soluzione. Infatti in tutti i luoghi che con certezza si riferiscono a lui, si reperiscono giudizi del tutto negativi: giudizio letterario ed etico-politico nel De vulg. Eloq. (I XII 5), rispondente all'altro del Convivio (IV VI 20). In questi due passi F. è in compagnia degli altri principi d'Italia, mentre più personali sono le invettive che leggiamo nella Commedia, dalla rassegna di Sordello (Pg VII 112-127) alle violentissime espressioni dell'aquila (Pd XIX 130-138), dove il re è bollato di avarizia, viltà e pochezza, alla frecciata del canto successivo (XX 62-63). Giudizi certo parziali e anche ingiusti il letterario individua acutamente la profonda differenza che oppone l'ambiente culturale di Federico imperatore e di Manfredi a quello dell'aragonese, che ha però ai nostri occhi meriti innegabili anche in questo campo (nella letteratura provenzale e in quella in volgare siciliano, nella storiografia latina); il politico non può comprendere le contraddizioni in cui F. dovette dibattersi. Il sovrano è stato sempre esaltato, specie dalla storiografia siciliana, e molte voci si sono levate in sua difesa. " Elogio di Dante a Federico d'Aragona " venne giudicata l'espressione di Manfredi l'onor di Cicilia e d'Aragona (Pg III 116); si è voluta quindi scoprire una contraddizione nell'atteggiamento dantesco, ma non pare che le parole di Manfredi debbano necessariamente includere un elogio di D. a Federico.
Una testimonianza indiretta complica la questione: la famosa lettera di Ilaro, conservata nello zibaldone autografo del Boccaccio, attesta l'intenzione di D. di dedicare il Paradiso a Federico. La notizia è anche nel Trattatello (c. XXXVI) e nella seconda redazione dell'elogio (C. XXIII), e l'amicizia fra i due era stata ricordata nelle Genealogie (XIV XI). Uno degli elementi con cui vari critici (e specialmente il Rajna) dimostrarono la falsità del testo di Ilaro è proprio l'indicazione del proposito di dedicare a F. il Paradiso, la cantica cioè in cui più violenti sono gli attacchi al sovrano siciliano. I difensori della sua autenticità (in primo luogo il Biagi) pensarono che alla discesa di Enrico l'atteggiamento di D. fosse mutato. Egli avrebbe posto in F. le più grandi speranze, e la successiva invettiva della terza cantica sarebbe stata provocata proprio dalla delusione per il suo abbandono della causa imperiale e il rinchiudersi in limitati e borghesi interessi locali. Con suggestiva ma ardita ipotesi il Parodi pensa che nel Paradiso la vicinanza di Cangrande e F., i due candidati alla dedica, simboleggerebbe il definitivo tramonto nel cuore di D. dell'astro di F. e il levarsi di quello del nuovo eroe. L'ipotesi dell'attribuzione dell'epistola di Ilaro al Boccaccio, abbandonata decisamente da vari critici, è stata ripresa in seguito dal Billanovich, e criticata dal Padoan. Vedi Ilaro.
Circolavano certo delle voci, contenenti forse una parte di verità, su un'amicizia fra D. e F., limitata a un determinato periodo, ed è possibile che nel testo di Ilaro ci sia effettivamente un'intenzione politica. La profonda religiosità, le esaltazioni mistiche e spirituali, le teorie politiche di F., che considerava i problemi dell'Impero nel solco della tradizione di Federico imperatore, fanno pensare che D. avrebbe potuto provare in un certo momento viva simpatia per il sovrano siciliano, per tanti aspetti sfortunato epigono e non rinnegatore dei grandi predecessori svevi.
Bibl.-P. Rajna, Testo della lettera di frate Ilario e osservazioni sul suo valore storico, in D. e la Lunigiana, Milano 1909, 235-285; V. Biagi, Un episodio celebre della vita di D., Modena 1910 (rist. in L'epistola ilariana e la sua autenticità, Pisa 1934); E.G. Parodi, La fortuna di D. e la riabilitazione di frate Ilario, in " Marzocco " 10 aprile 1910, 2; C. Lupo, L'elogio di D. a Federico II d'Aragona re di Sicilia e la data di composizione del III canto del Purgatorio, in " Arch. Stor. per la Sicilia Orientale " s. 2, III-IV (1928) 41-84; K.L. Hitzfeld, Studien zu den religiösen und politischen Anschauungen Friedrichs III von Sizilien, Berlino 1930; G. Billanovich, La leggenda dantesca del Boccaccio, in " Studi d. " XXVIII (1949) 45-144; A. De Stefano, Federico III d'Aragona re di Sicilia (1296-1337), Bologna 19562; P. Palumbo, Il " novissimo " Federico nel giudizio dantesco, in Atti del Convegno di studi su D. e la Magna Curia, Palermo 1967, 226-235; F. Giunta, D. e i sovrani di Sicilia, in " Boll. Centro Studi Filol. e Ling. Siciliani " X (1969) 29-45.