DELFINO (Dolfin), Federico
Nacque a Padova nel 1477, come suggerisce la maggior parte dei biografi, ad eccezione di Bernardino Baldi che lo chiama "gentilhuomo venetiano", volendo così alludere alla famiglia patrizia Dolfin di Venezia. Il Tomasini, tra i codici posseduti dal padovano Nicolò Trevisan, annovera un manoscritto copiato dal D. nel 1490: "Mag. Pauli Pergulensis Tractatus de sensu composito et diviso. manu Federici Delphinis. an. 1490". A questa data, anche se accettata come indicativa, risulta che il D. si dedicava, o per interesse personale o per ragioni di scuola, alla trascrizione di un trattato logico di Paolo della Pergola: se ne può dedurre quindi che egli abbia compiuto i suoi studi a Padova dedicandosi in particolare alla logica e alle matematiche.
Pare che il D., come scrive Papadopoli, abbia esercitato per quindici anni l'arte della medicina a Venezia riscuotendo notevole successo per l'esattezza dei suoi pronostici, ma attirandosi altresì l'accusa di magia che per poco non lo condusse in carcere; da qui la fuga da Venezia e il ritorno a Padova. Nel 1520 presso lo Studio di Padova venne offerta al D., con uno stipendio di 40 fiorini, la cattedra di matematica: essa comprendeva "letture due", in quanto gli insegnamenti di matematica erano stati riuniti sin dal 1506. Nel 1521 lo stipendio gli fu elevato a 60 fiorini; sappiamo inoltre che il D. si dimise dalla sua cattedra il 4 giugno 1531 per poi essere riassunto il 25 ottobre successivo con uno stipendio di 100 fiorini, che nel 1542 fu aumentato a 120 fiorini.
Una lunga amicizia legò il D. a Pietro Bembo. Lo stesso Bembo ne parla in una lettera del 26 giugno 1536 inviata da Padova al matematico messinese Francesco Maurolico che in una lettera del 4 maggio 1536 lamentava lo scarso studio di Euclide e dell'astrologia, ancora ferma alle tavole alfonsine (le quali "multis magnisque mendis foedantur"). Il Bembo contraddice l'impressione sfavorevole del Maurolico proponendo la figura del D., "clari in Mathematicis disciplinis viri iudicio", che egli conosce da molti anni e che "in ludo Patavino publice iuventutem coeli conversiones et astrorum cursus et rationes docet" (Epistolarum familiarum libri VI, Venetiis 1552, p. 340). Ancora durante il suo soggiorno a Padova il Bembo ricorda il D. in una lettera del 5 febbr. 1537 (ibid., p. 317) indirizzata a Cosimo Gheri, vescovo di Fano. Al Bembo il D. dedica la sua opera Tractatus proportionum. IlBembo infine fa menzione del D. nel suo testamento (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. XI, 25 [= 6671] e Milano, Bibl. Ambrosiana, ms. S 98 sup., ff. 218r-219v), dove stabilisce che il D. poteva rimanere nella sua casa in nome della loro amicizia.
Solo attraverso testimonianze indirette si può ricostruire l'attività didattica del D.: la sua fama di matematico e astrologo fu notevole, come viene spesso confermata da discepoli e contemporanei. Tra i discepoli ricordiamo Bernardino Telesio, Luca Girolamo Contarini, Giovan Battista Amico, Felice Accoramboni, Daniele Barbaro, Alessandro Piccolomini. A Padova in quegli anni si era formata una certa tradizione di studi matematici che prendeva in esame i testi di Platone e in particolar modo di Aristotele: accanto allo Studio era sorta inoltre nel 1540 l'Accademia degli Infiammati e il Barbaro e il Piccolomini furono tra i promotori. Il D. nel 1540 curò la seconda edizione del Tractatus algorismi (Venetiis 1540) di Prosdocimo de Beldemandis, già stampato a Padova nel 1483; le opere di Prosdocimo avevano un'ampia circolazione a Padova, a quanto risulta dal numero dei manoscritti, ed erano commentate e studiate presso l'università se, come si apprende dalla prefazione, il D. si occupò della stampa del Tractatus algorismi "ad instantiam meorum scholarium hunc algorismum maxime desiderantium". Lo stesso D. possedette un codice contenente tre opere astrologiche di Prosdocimo, oggi presso la Bibl. Laurenziana di Firenze ms. Ashb. 208 (già 134 e 140), dove si legge "Hic liber est mei Federici Delphini, quem donavit mihi dominus Bartolomeus Cherubinus phisicus socius meus" (p. [426]).
Altre notizie ci provengono dalla testimonianza dei suoi discepoli: Daniele Barbaro nella sua traduzione di Vitruvio (I dieci libri dell'architettura, Vinegia 1556, pp. 221-27) pubblica una "tavola delle longhezze, larghezze, parti et grandezze delle stelle", che assegna all'anno 1520, compilata "dal mio precettore Messer Federico Delfino" e "stimata giustissima e ben fatta" (ibid., p. 221; cfr. 2 edizione, Vinegia 1567, p. 302 e tavole a pp. 364-75). Alessandro Piccolomini inoltre descrive alcune osservazioni astronomiche condotte dal suo maestro intorno agli anni 1538-40; a proposito dell'ora precisa in cui il sole arriva ai punti equinoziali egli ricorda l'esperimento compiuto alla sua presenza dal D. e dal maestro Berardino "con uno strumento a guisa di quadrante, che sa di semidiametro almeno quattro piedi, o più" (La prima parte delle Theoriche o vero Speculationi de i Pianeti, Vinegia 1568, f. 5r). Lo stesso esperimento compiuto "40 iam fere annis elapsis Patavii" è ricordato ancora dal Piccolomini con parole di stima e di affetto (De nova ecclesiastici calendarii ... restituendi forma, Senis 1578, p. 29): per quanto riguarda il calcolo dell'anno solare - questione particolarmente viva negli anni precedenti alla riforma del calendario - il Piccolomini aggiunge che il suo maestro corregge le tavole alfonsine e adotta la soluzione dell'astronomo arabo (al-Battani) le cui dottrine godevano notevoli consensi nella prima metà del sec. XVI. Anche Felice Accoramboni, a Padova intorno al 1540, dichiara di seguire, per quanto riguarda il problema delle maree, la soluzione del suo maestro, "qui optime hunc effectum observavit per multos annos" (De fluxu et refluxu maris, in Interpretatio obscuriorum locorum et sententiarum omnium operum Aristotelis, Romae 1590, p. 455). Nel 1545 Giacomo Gabriele lo ricorda come "huomo certo a questa nostra etate rarissimo" (Dialogo nel quale de la sphera e de gli orti et occasi de le stelle minutamente si ragiona, Vinetia 1545, ff. 9v-10r). Nessuna opera del D. fu pubblicata durante la sua vita.
Il D. morì a Padova il 7 febbr. 1547; dal Papadopoli apprendiamo che fu sepolto in questa città "sine titulo ad D. Clementis in foro Nobilium".
Nel 1559 i matematici dell'Accademia Veneta o della Fama pubblicarono in 1.100 esemplari il De fluxu et refluxu aquae maris e il De motu octavae sphaerae (Venetia 1559), in un unico volume, utilizzando i caratteri di Paolo Manuzio e li dedicarono al cardinale Francesco Tournon, in occasione di un suo viaggio a Venezia: nella prefazione, in cui non manca l'accenno a Bernardo Tasso, i matematici dichiarano di aver ricevuto il manoscritto da Luca Gerolamo Contarini, "cui praeceptor fuit Delphinus ipse" (f. asr). Queste due opere furono poi pubblicate in appendice al De Holometri fabrica di Abel Foulon dall'editore Perna (Basileae 1577, ff. 34r-64r).
Il De fluxu et refluxu, scritto in prima persona ("ego Federicus Delphinus, artium et medicinae et mathematicarum disciplinarum doctor, decrevi... eas diligenter et scribere... ut doctrina ista... sit manifestior", f. 1r), è posteriore al De motu come si deduce da riferimenti interni (f. 1r). Nel De fluxu il D. attribuisce la causa dell'alta e della bassa marea del mare all'influsso del Sole e della Luna: infatti esamina le varie posizioni del Sole e della Luna (quadratura, congiunzione, opposizione) e le mette in collegamento con i fenomeni del "crementum" e "decrementum" delle acque, non tralasciando di riportare alcune espressioni in "lingua veneta". Inoltre il D. prende in esame altre tre cause concomitanti per le maree, e cioè il luogo geografico, l'influsso di altri corpi celesti, in particolare Giove e Venere, e la presenza dei venti. Nel De motu octavae sphaerae il D. discute le opinioni di Tolomeo, degli astrologi arabi come Albatenius, al-Farabi, Alcabizio (al-Qabisi), di alcuni commentatori, cioè Pietro d'Abano, Giovanni di Sacrobosco e Georg Peurbach; oltre alle tavole alfonsine cita anche Thabit ibn Qurra e il padovano Nicolò Conti, autori entrambi di un trattato sul "recessus et accessus" della 8a sfera. In quest'opera il D. presenta infatti un excursus storico a proposito del numero delle sfere, dell'effittica della 8a sfera e del suo spostamento rispetto all'asse della 9a sfera; esamina inoltre i vari tipi di moto attribuiti alla 8a sfera, cioè al cielo delle stelle fisse, con particolare riferimento a Tolomeo e Peurbach: il D., per lo più contrario alla posizione degli arabi, accoglie spesso le proposte di Peurbach.
Del D. rimane un Tractatus proportionum conservato in due codici miscellanei, entrambi autografi, nel ms. C X 27 della Bibl. comunale di Siena (ff. 161r-175v) e nel ms. VIII D 73 della Bibl. naz. di Napoli (ff. 14v-22v). Il Tomasini aveva segnalato due codici del De proportione o De proportionibus, uno appartenente alla biblioteca di Giovanni Rodio, l'altro a quella di Nicolò Trevisan che la aveva ereditata dal padre Bernardino Trevisan, famoso matematico e insegnante presso l'Accademia degli Infiammati. Nel Tractatus proportionum il D. riprende la tradizione euclidea: gli Elementa erano infatti il testo base dell'insegnamento della geometria e lo stesso D. fornisce alcune citazioni dai libri I (capp. 2 e 47) e X (capp. 3 e 17). La "proportio" è esaminata nei suoi vari aspetti, sia "stricte" sia "large sensu": nonostante l'accenno al diametro incommensurabile del quadrato e al fatto che la geometria si occupi "tam de proportione rationali quam irrationali", la maggior parte del trattato riguarda la "proportio" aritmetica razionale, distinta in "equalitatis" e "inequalitatis", la quale ultima si suddivide a sua volta in cinque specie ("multiplex", "superparticularis", "superpartiens", "multiplex superparticularis" e "multiplex superpartiens"). Il D. fa riferimento anche al concetto di "proportionalitas", distinta in aritmetica, geometrica e armonica, e al problema dei "proportionabilia", suddivisi anch'essi in aritmetici e geometrici.
Una serie di tavole astronomiche del D., diverse da quelle pubblicate dal Barbaro, sono conservate nel ms. IX G 19 della Bibl. naz. di Napoli con il titolo Astronomica profitentis de Figuris Orbium coelestium et motuum eorum: esse riguardano i moti del Sole, della Luna, di Venere e Mercurio, la teoria dell'eccentrico, dell'epiciclo, dell'eclissi di Luna e di Sole e del moto di "accessus" e "recessus" dell'8ª sfera.
Dal Tomasini, che fornisce l'elenco della biblioteca di Nicolò Trevisan, apprendiamo che il D. scrisse anche Propositiones quaedam tertii libri de Monte Regio cum expositione Federici Delphini IX Capituli Almagesti. IlPapadopoli inoltre fa riferimento a due trattati, Annotaxiones in Tabulas Alphonsinas e Librum de Phaenomenis sublunaris et Astronomica Paralaxi, di cui però non abbiamo nessun altro riscontro. Il Facciolati invece attribuisce al D. due opere, il Tractatus super loca Mathematica in Topicis et Elenchis Aristotelis e l'Oratio pro idea Methodi, che sono in realtà di Pietro Catena, successore del D. presso la cattedra di matematica.
Fonti e Bibl.: Oltre alle opere citate nel corso della voce sono da vedere: I. Ph. Tomasini, Bibliothecae manuscriptae publicae et privatae, Utini 1639, pp. 111 s., 136; G. Gilbert, De mundo nostro sublunari philosophia nova, Amstelodami 1651, p. 298; I. Ph. Tomasini Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 338; B. Baldi, Cronica de' matematici, Urbino 1707, p. 112; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 305; D. G. Morhof, Polystor literarius, philosophicus et praticus, II, Lubecae 1732, p. 365; I. Facciolati Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, pp. 320 s.; I. G. Lunze, Academica Veneta seu Della Fama, Lipsiae 1801, pp. 129-36; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., I, Venezia 1824, p. 166; A. A. Renouard, Annales de l'Imprimerie des Aldes, Paris 1825, pp. 231 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, pp. 324-27; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., III, Milano 1833, p. 495; A. Favaro, Intorno alla vita e alle opere di Prosdocimo de' Beldomandi …, in Bull. di bibliogr. e di storia delle scienze matem. e fisiche, XII (1879), pp. 46-53; Id., Le matematiche nello Studio di Padova dal principio del sec. XIV alla fine del XVI, in Nuovi Saggi della R. Accad. di scienze lettere ed arti in Padova, IX (1883), pp. 54 ss., 77-81 (dove pubblica le notizie riguardanti il D. dal codice 6 Stipendi dei Professori, Mancanze, Rotoli per l'Università Artista, 1509-1644 dell'Arch. univ. di Padova); Id., Appendice agli studi intorno alla vita e alle opere di Prosdocimo de' Beldemandi …, in Bull. di bibl. e di storia delle scienze matem. e fisiche, XVIII (1885), pp. 413 s.; C. Paoli, I Codici Ashburnhamiani della R. Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Roma 1891, p. 221; B. G. Dolfin, I Dolfin (Delfino) patrizii veneziani nella storia di Venezia dall'anno 452 al 1923, Milano 1924, pp. 40, 54 s.; L. Thorndike, A History of magic and experimental science, V, New York 1941, pp. 327 s.; VI, ibid., pp. 28, 382; F. Cerreta, A. Piccolomini letterato e filosofo senese del Cinquecento, Siena 1960, pp. 20 s., 36, 54; P. Paschini, Daniele Barbaro letterato e prelato venez. nel Cinquecento, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XVI (1962), p. 72; G. Crapulli, Mathesis Universalis. Genesi di un'idea nel XVI sec., Roma 1969, pp. 42 ss., 46; P. L. Rose, The Accademia Venetiana: Science and Culture in Renaissance Venice, in Studi veneziani, XI (1969), p. 198; Id., The Italian Renaissance of Mathematics. Studies on Humanists and Mathematicians from Petrarch to Galileo, Genève 1975, pp. 11, 22, 53, 162, 284 ss., 290; Id., Professors of Mathematics at Padua University 1511-1588, in Physis, XVII (1975), pp. 301 s.; C. B. Schmitt, Science in the Italian Universities in the Sixteenth and early Seventeenth Centuries, in The Emergence of Science in Western Europe, a cura di M. P. Crosland, Oxford 1975, p. 47; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 426, 429; II, pp. 151 s.