FEDERICO d'Antiochia
Era figlio naturale dell'imperatore Federico II e di Maria (Matilde) d'Antiochia, appartenente a una nobile famiglia del Regno di Sicilia e figlia, forse, di Roberto d'Antiochia, dalla quale F. derivò il nome. L'anno preciso della sua nascita non è noto ma, considerato che quasi tutti i figli illegittimi nacquero nei periodi in cui l'imperatore non era sposato, si può presumere che essa avvenisse negli anni tra il 1222 e il 1224. Le leggende e la propaganda antimperiale che, probabilmente a motivo del nome della madre, vogliono F. nato in Palestina da una donna musulmana non meritano credito, com'è anche priva di fondamento la notizia secondo la quale F. sarebbe nato dalla relazione di Federico Il con Plaisance, figlia del principe Boemondo "le Borgne" di Antiochia. F. nacque invece sicuramente nell'Italia meridionale, dove trascorse la sua gioventù.
Oltre a un figlio nato dal matrimonio con la principessa inglese Isabella (o Elisabetta), la cui esistenza è stata messa in dubbio da alcuni studiosi (è ricordato in un unico documento, nel quale viene indicato soltanto con l'iniziale F.), due figli illegittimi dell'imperatore soltanto portano il nome tradizionale nella dinastia sveva: F., appunto, e Federico di Pettorano (nato verso il 1212-13 e morto dopo il 1240), a quanto pare il più anziano dei figli naturali di Federico II, con il quale F. non deve essere confuso. Federico di Pettorano, sebbene fosse nato da una donna di alto rango, discendente da una famiglia comitale normanna, sembra essere stato trascurato dal padre, dal quale ottenne, come magro appannaggio, solo il castello di Pettorano sul fiume Gizio presso Sulmona. Deluso dallo scarso interesse paterno, Federico di Pettorano sembra essersi lasciato coinvolgere in trame contro l'imperatore. Fuggi quindi alla corte di Federico III di Castiglia (che aveva sposato una figlia del re Filippo di Svevia), dove si perdono le sue tracce.
Tra il 1236 e il 1245 F. sposò Margherita Conti di Poli. Non è possibile stabilire la data esatta, ma il fatto che già nel 1258 il figlio Corrado sposò Beatrice Lancia, lascia pensare che il matrimonio dei genitori avvenisse verso il 1239-40. Margherita era figlia del nobile romano Giovanni Conti signore di Poli (era figlio di Riccardo, fratello di Innocenzo III) e varie volte senatore di Roma, il quale aveva proprietà allodiali e feudali nel Lazio e in Sabina (intorno a Poli, Guadagnolo, Saracinesco, Anticoli Corrado, Roviano, Arsoli, Camerata Nuova). Nel 1229-30 Giovanni Conti figura tra i seguaci di Federico II, il quale nel 1320 gli concesse, in cambio della contea di Fondi, quella di Albe, nei dintorni di Avezzano, più vicina alle sue proprietà. Il matrimonio di F. con la figlia del potente feudatario faceva parte della strategia con la quale l'imperatore cercava di legare alla propria persona gli esponenti della nobiltà romana oppositori del papa. Grazie alla dote e all'eredità di Margherita F. e i suoi discendenti vennero in possesso di importanti castelli e diritti signorili nel Lazio nordoccidentale e nell'Abruzzo, nel conteso territorio di confine tra il Patrimonio di S. Pietro e il Regno, e precisamente intorno all'antica via Valeria che nel Medioevo costituiva ancora un'importante via di collegamento.
Di tutti i figli naturali dell'imperatore F. fu una delle figure più affascinanti. Come il fratellastro Enzo, di poco più grande, era apprezzato dal padre come valente ed energico condottiero e amministratore. Nel contesto della riorganizzazione dell'Italia imperiale, iniziata nel 1237, fu incaricato, come altri figli e generi di Federico II, di importanti funzioni militari e amministrative, soprattutto nell'Italia centrale. La sua claudicazione non sembra essergli stata di impedimento nell'esercizio di queste funzioni.
Tra la fine del 1244 e l'inizio del 1245 F., allora poco più che ventenne, compare come vicario generale nella Marca d'Ancona. Dopo una breve permanenza presso l'esercito di Enzo (a Pontenure vicino a Piacenza), nel luglio 1245, a Cremona, il padre lo armò cavaliere. Tra il febbraio 1246 e fino al novembre 1248 è ricordato come vicario generale in Toscana e nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia ("in Tuscia et ab Amelia usque Cornetum et per totam Maritiman"). In seguito, fino alla fine del 1250, il suo vicariato comprendeva soltanto la Toscana, mentre la parte meridionale era amministrata da Galvano Lancia.
La Toscana con la città di Firenze, dove F. tra il 1246 e il 1250 esercitò anche le funzioni di podestà imperiale, era la regione imperiale più importante dell'Italia centrale, sia dal punto di vista militare sia da quello economico. F. esercitò i suoi ampi poteri con quella mescolanza di efficienza e di violenza che sembra fosse una sua caratteristica. Riorganizzò le tradizionali strutture dell'amministrazione imperiale, che ora comprendeva anche il contado di Firenze, in modo più funzionale e rigido, così da potere attingere direttamente alle risorse materiali e militari delle città toscane. I Comuni vennero costretti a fornire truppe sia per la guerra dell'imperatore nell'Italia settentrionale, sia per le spedizioni militari all'interno della Toscana, e sottoposti a continue richieste di denaro e di tasse: la più tartassata era Siena, per la quale la temporanea cessione delle miniere d'argento di Montieri nella diocesi di Volterra costituì un ben magro compenso. F. ordinò persino ai Comuni di richiamare gli studenti e i mercanti che risiedevano a Bologna ostile all'imperatore.
Nei confronti dei Fiorentini, ai quali Federico II aveva presentato il figlio come l'immagine di se stesso, e durante le campagne militari in Toscana F. usò la mano pesante. A Firenze di solito non esercitava personalmente la podesteria, ma la delegava a dei vicari. La città, lacerata da lotte intestine, era passata dalla parte dell'imperatore soltanto perché paralizzata sul piano politico. In un primo momento F. cercò di mediare tra le fazioni per ristabilire la pace, ma non vi riuscì. Non esitò quindi a destituire i capitani del Popolo simpatizzanti dei guelfi e li punì severamente, comportandosi alla stregua di un signore. Infine, all'inizio del 1248, bandì dalla città i guelfi e fece distruggere le case dei loro capi, che inseguì fin dentro le città e i castelli dove avevano cercato rifugio e aiuto.
Nella sua provincia F. esercitò il governo spostandosi continuamente, come del resto richiedeva la lotta contro gli avversari. Spesso si recava nelle maggiori città della sua provincia (a Siena, Prato, Arezzo) e nei centri tradizionali dell'amministrazione imperiale (San Miniato, Fucecchio, Borgo San Genesio, San Quirico d'Orcia, Poggibonsi); le sue campagne militari lo portavano anche più lontano- a Orbetello e Magliano (novembre-dicembre 1246), a Castiglione del Lago e Perugia (maggio-giugno 1247), nel contado di Orvieto (autunno 1247), in Lunigiana (tra l'estate 1246 e l'estate 1247). Tra l'estate del 1249 e la primavera del 1250 un'altra spedizione lo condusse nuovamente in Umbria e in Maremma.
Uno dei punti di appoggio più importanti del vicario era Siena, che quasi sempre gli fornì l'aiuto più efficace. Proprio a Siena nel marzo 1247 F. si incontrò con il padre in viaggio verso Lione, dove però l'imperatore non giunse perché la rivolta di Parma lo trattenne in Italia. L'unica volta durante il suo vicariato in Toscana che F. passò l'Appennino fu proprio per soccorrere il padre durante il difficile assedio di Parma, nell'agosto 1247. Nel campo davanti alla città assediata F. incontrò gli uomini più vicini all'imperatore, il fratellastro Enzo, i marchesi Manfredi Lancia e Oberto Pelavicino, Ezzelino da Romano, Pietro Ruffo e Taddeo da Sessa. Allora F. venne indicato per la prima volta come conte di Albe, il che indica che gli erano stati riconosciuti i diritti di successione. Presto però dovette precipitosamente ritornare in Toscana per impedire che Firenze cadesse in mano ai guelfi guidati dal legato pontificio ottaviano degli Ubaldini.
Il conflitto tra guelfi e ghibellini che acquisì grande rilievo politico in virtù della lotta tra papa e imperatore rese più difficile il compito di F. nella provincia affidata al suo governo. Egli si appoggiò ai ghibellini (e soprattutto a Siena), che lo sostenevano spesso soltanto per calcolo e non per convinzione, ma non poté impedire la ribellione di Firenze in seguito all'inattesa sconfitta delle sue truppe presso Figline, uno dei capisaldi imperiali, nell'estate del 1250. Cacciati i rappresentanti del vicario generale, nella città si costituì un nuovo governo (il governo del "Primo Popolo"). La situazione precipitò dopo la morte dell'imperatore, avvenuta il 13 dic. 1250. Galvano Lancia e F. ne furono avvisati pochi giorni dopo (tra il 18 e il 20 dicembre), ma non riuscirono ad evitare il tracollo dell'amministrazione imperiale in Toscana. F. tuttavia non abbandonò immediatamente la provincia, come fece invece la maggior parte dei suoi funzionari e collaboratori regnicoli. La sua presenza in Toscana è infatti attestata fino all'autunno 1251- Solo nel febbraio 1252 lo troviamo in Capitanata, nell'entourage dire Corrado IV, suo fratellastro.
Durante la Curia celebrata a Foggia all'inizio del 1252 Corrado IV riconfermò a F. la contea di Albe e gli concesse inoltre le contee di Celano (parte, come Albe, dell'antica contea dei Marsi) e di Loreto Aprutino, che dovevano però essere ancora conquistate. Dopo la morte di Federico II la contea di Celano era stata occupata da Tommaso di Celano, vecchio antagonista di F., e da suo figlio Ruggero, al quali nel 1247 Innocenzo IV aveva restituito i feudi confiscati dall'imperatore. La contea di Loreto era stata invece concessa da Federico II, a quanto sembra, al genero Tommaso (II) d'Aquino, al quale Corrado IV la tolse, probabilmente durante la Curia di Foggia, dopo che anche Tommaso era passato dalla parte di Innocenzo IV, il quale nel giugno 1251 gli aveva confermato il possesso di questa contea. Con l'aiuto probabilmente di Gualtiero di Manopello F. riconquistò la contea di Loreto Aprutino tra il 1252 e il 1253 (il castello di Loreto cinto d'assedio era stato l'ultimo a cadere mentre nulla di preciso si sa della riconquista della contea di Celano; le operazioni militari condotte nella zona a partire dall'estate 1252, invece, si inserivano nel contesto più vasto dell'offensiva pontificia contro le regioni settentrionali del Regno.
Con la concessione a F. di queste contee Corrado IV riprese la vecchia strategia dell'imperatore di assegnare le contee abruzzesi più importanti ai membri della famiglia regnante e ai loro parenti più stretti. Oltre ad Albe, Celano e Loreto anche la contea del Molise rimase legata direttamente alla dinastia sveva: re Enzo, che l'aveva detenuta, la lasciò nel suo testamento al figlio di F., Corrado. Altri feudi e diritti erano in possesso della famiglia Lancia, alla quale apparteneva la madre del futuro re Manfredi.
Benché fosse favorito da Corrado IV, per il quale combatté strenuamente sul confine settentrionale del Regno, in Abruzzo, F. sembra invece aver nutrito simpatie più sincere per Manfredi, altro suo fratellastro. Sin dal 1252 troviamo vari esponenti della famiglia Lancia nella cerchia di F., tra i quali al primo posto Galvano, che insieme con lui era stato a lungo vicario imperiale in Toscana e dei quale il figlio di F., Corrado, sposerà la figlia Beatrice. I Lancia speravano evidentemente di riottenere insieme con F. i feudi nel Regno e le cariche in Toscana, ma in una congiuntura di improvvisi e imprevedibili mutamenti di fronte, queste aspirazioni sembrano aver suscitato in Corrado IV dubbi sulla loro lealtà. Furono colpiti dal bando nel 1253, dopo la definitiva rottura tra Manfredi e Corrado IV, ed allora F. noleggiò due navi genovesi, sulle quali Federico e Galvano Lancia si imbarcarono a Tropea per abbandonare il Regno.
Dopo la morte di Corrado IV (maggio 1254) F. fu citato da Innocenzo IV ad Anagni, insieme con Manfredi ed altri nobili del Regno, ma le trattative fallirono. Manfredi, i marchesi di Hohenburg e F. furono scomunicati e privati dei loro feudi.
Nell'ottobre 1254 F. aiutò Manfredi durante la fuga dalla corte pontificia a Teano attraverso l'Appennino conclusasi con il fortunato colpo di mano contro Lucera del 2 novembre; ma già il 12 nov. 1254 Innocenzo IV improvvisamente lo qualificava "fidelis noster" e lo riconosceva come conte di Albe, Celano e Loreto, senza menzionare diritti di altri. R possibile che F., di fronte alla situazione politica poco chiara, abbia intavolato trattative personali con il papa per garantirsi il possesso dei suoi feudi, ma non è neanche escluso che il papa stesso, riconoscendogli le contee, abbia cercato di staccarlo da Manfredi, come aveva fatto precedentemente con Galvano Lancia.
Tuttavia, dopo l'elezione di Alessandro IV, quando nella Prima metà del 1255 Manfredi riportò i primi successi in Puglia e in Calabria, F. combatteva di nuovo a fianco del fratellastro contro le truppe del legato pontificio ottaviano degli Ubaldini e di Bertoldo di Hohenburg, passato dalla parte del papa. Nell'agosto 1255 partecipò all'assedio di Foggia, protrattosi a lungo. Morì durante questo assedio, negli ultimi mesi del 1255 o all'inizio del 1256, vittima di un'epidemia che colpì entrambi gli eserciti, e lo stesso Manfredi. F. infatti non viene più menzionato in occasione della Curia riunitasi ai prinii giorni di febbraio a Barletta, quando Manfredi premiò tutti i fedeli che lo avevano aiutato nella difficile impresa della conquista del Regno.
La constatazione che il carattere e le capacità paterni si espressero meglio nei figli naturali che in quelli legittimi dell'imperatore vale, come per Manfredi e per Enzo, anche per F., sebbene in misura minore. Nella difficile situazione creatasi dopo la congiura del 1246 Federico II si appoggiò infatti a Enzo e a F., affidando loro la difesa e l'amministrazione dell'Italia imperiale. F., che come il fratellastro Enzo era stato scomunicato dal concilio di Lione, non deluse le aspettative del padre, amministrando la Toscana in condizioni molto difficili. Se dopo la morte del padre a volte si trovò in conflitto di lealtà verso gli eredi legittimi dell'imperatore, non fu certamente il solo tra i partigiani dell'Impero a comportarsi così. Come Enzo anche F. si fregiava del titolo reale senza che questo, a differenza del fratello, gli fosse stato conferito formalmente. Come re F. viene qualificato in alcune cronache e in vari documenti dei Comuni toscani, dove si leggono formule come "dominus rex", "dominus Federighus filius domini imperatoris et rex" o "re Federigo". Si trattava di un titolo consuetudinario e onorifico attribuitogli in segno del rispetto dovuto al figlio dell'imperatore, in analogia con il titolo reale di Enzo. Per quel che riguarda gli interessi letterari, F. non fu certo all'altezza del padre e del fratellastro. Secondo la critica più recente è poco probabile che le tre note canzoni attribuite nella tradizione manoscritta a "re Federigo" siano opera di Federico d'Antiochia.
Mentre la dinastia sveva nella linea legittima si estinse con la morte di Corradino nel 1268, la discendenza illegittima, di cui fu capostipite F., continuò ancora per molte generazioni. Nelle genealogie italiane vengono attribuiti a F. fino a otto figli. Sono documentati però soltanto Corrado, nato verso il 1240-41 e morto dopo il 1301, e Filippa, nata verso il 1242, che nel 1258 sposò il gran camerario di Manfredi, Manfredi Maletta, e morì nel carcere di Carlo d'Angiò nel 1273. Forse F. aveva ancora un'altra figlia di nome Maria, moglie di Barnabo Malaspina.
Dopo la morte di Corrado, avvenuta poco dopo il 1301, la discendenza di F. si divise in due rami, uno rimase nel Lazio (Anticoli, Piglio), l'altro si trasferì in Sicilia, dove ottenne da Pietro d'Aragona la contea di Capizzi. Significativi sono i nomi e i matrimoni dei figli di Corrado: Federico, nato non prima del 1259 e morto il 22 luglio 1305, ebbe un figlio di nome Corrado, nato verso il 1280 e morto dopo il 1320; Bartolomeo, nato fra il 1260 e il 1265 e morto nel 1311, fu arcivescovo di Palermo come anche suo fratello Francesco, nato verso il 1265-70 e morto nel 1320; Costanza, detta Antiochetta, nata verso il 1270-75, sposò nel 1291 Bartolomeo Della Scala e morì a Verona il 7 marzo 1304; Imperatrice, nata verso il 1275-80 e morta dopo il 1307- 10 a Verona, sposò invece Federico Della Scala; Giovanna, nata verso il 1280-85 e morta il 29 dic. 1352, nel 1308 fu data in sposa a Cangrande Della Scala. Si ricordano inoltre i figli Corrado, nato verso il 1275-80 e morto dopo il 1300, e Galvano, nato anch'egli verso il 1275-80 e morto nel 1305. Nell'Italia settentrionale e centrale la discendenza di F. si estinse soltanto nel sec. XV. In Sicilia invece si era già estinta nel sec. XIV.
Fonti e Bibl.: Ptolomaeus Lucensis, Historia ecclesiastica, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XI, Mediolani 1727, col. 1168; Bartholomaeus de Neocastro, Historia Sicula, a cura di G. Paladino, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XIII, 3, p. 2; Annales Placentini gibellini, a cura di G. H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Script., XVIII, Hannoverae 1863, pp. 496, 498, 507, 528; Annales Senenses, a cura di J. F. Böhmer, ibid., XIX, ibid. 1866, p. 230; Thomas Tuscus, Gesta imperatorum et pontificum, a cura di E. Ehrenfeuchter, ibid., XXII, ibid. 1872, p. 517; Matthacus Paris, Chronica maiora, a cura di F. Liebermann, ibid., XXVIII, ibid. 1888, p. 223; Epistulae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, Ibid., Epist., II, ibid. 1887, p. 292; III, ibid. 1894, pp. 64, 79, 158, 275 s., 279 s., 306; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum (1198-1272), a cura di L. Weiland, Ibid., Const., II, ibid. 1896, pp. 372 s.; Chronica fratris Salimbene de Adam Ordinis minorum, a cura di O. Holder-Egger, Ibid., Script., XXXII, Hannover-Leipzig 1905-1913, p. 471; Tholomaei Lucensis Annales, a cura di B. Schmeidler, Ibid., Script. rer. Germ., n.s., VIII, Berlin 1955, pp. 130-258; P. Collenuccio, Compendio delle historie del Regno di Napoli, Venezia 1543, ff. 95r, 97-99v, 103v, 107v; G.Villani, Cronica, a cura di F. Gherardi Dragomanni, 1, Firenze 1844, pp. 224, 254; Historia diplomatica Friderici secundi, a cura di J.-L-A. Huillard-Bréholles, I-VI, Paris 1852-1861, passim; Nicolaus de Iamsilla, Historia de rebus gestis Frederici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi..., in Cronisti e scrittori napoletani editi e inediti, a cura di G. Del Re, II, Napoli 1868, p. 141; Malaspina, Rerum Sicularum historia, ibid., pp. 201-408; J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, IV, Innsbruck 1874, pp. 407 s., 413 s., 417 s., 420; Acta Imperii inedita saeculi XIII, a cura di E. Winkelmann, I, Innsbruck 1880, pp. 348 s., 365 s., 533; J. Böhmer, Regesta Imperii, V, 1-3, a cura di J. Ficker-E. Winkelmann, ad Indicem; Les registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, Paris 1884-1921, nn. 2859, 5334, 6347, 7979, 8175, 8332, 8338, 8346; Chronicon Lauretanum, in Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, a cura di V. Bindi, Napoli 1889, pp. 587-589; Nicolaus de Carbio (Nicolò da Calvi), Vita Innocentii IV, a cura di F. Pagnotti, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XXI (1898), pp. 7-120; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, II, Berlin 1900, pp. 65 s., 82; III, ibid. 1901, p. 9; F. Schneider, Toscanische Studien, II, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, XI (1908), pp. 290 S. (IV); ibid., XII (1909), pp. 301-320 (V); ibid., XIII (1910), pp. 1 ss., 39, 70; Id., Nachlese in Toscana, ibid., XXII (1930-1931), pp. 83 s.; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, II, Napoli 1950, pp. 112, 293; G. Wolf, Die Testamente Kaiser Friedrichs II., in Stupor Mundi. Zur Geschichte Friedrichs II. von Hohenstaufen, Darmstadt 1966, P 711.
J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, II, Innsbruck 1869, pp. 512 ss.; F.W. Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, Göttingen 1871, p. 551; P. Ridola, F. d'A. e i suoi discendenti, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XI (1886), pp. 198-284; C. Rodenberg, Innocenz IV. und das Königreich Sicilien 1245-1254, Halle a. S. 1892, pp. 11, 128, 174 s., 185, 196, 204; F. Schneider, Bistum und Geldwirtschaft. Zur Geschichte Volterras im Mittelalter, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, IX (1906), pp. 274, 282; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, II, 1, Berlin 1907, pp. 313 ss., 330, 342 s., 355, 358 ss., 373 s., 380; E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, I, pp. XCIV, CXXIII s., 153 ss., 178, 189, 266; II, pp. 315 ss., 323 (Corrado di Antiochia); H. Amdt, Studien zur inneren Regierungsgeschichte Manfreds, Heidelberg 1911, pp. 62 s.; F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, Dresden 1926, II, pp. 1377 s., 1387, 1389; III, pp. 31, 41, 52 ss., 60 s., 210, 214 (Corrado di Antiochia), 497 ss., 594, 608 (Corradino di Antiochia); H. E. Thoriiton, The poems ascribed to Frederick II and "Rex Fredericus", in Speculum, I (1926), pp. 87-100; Id., The authorship of the poems ascribed to Frederick II, "Rex Fredericus", and King Enzo, ibid., II (1927), pp. 463-469; E. Jamison, Iconti di Molise e di Marsica nei secoli XII e XIII, in Atti e mem. del Convegno storico Abruzzese-molisano, 25-29 marzo 1931, Casalbordino 1933, pp. 128, 131 ss., 137, 143; M. Ohlig, Studien zum Beamtentum Friedrichs II. in Reichsitalien von 1237-1250 unter besonderer Berücksichtigungder süditalienischen Beamten (diss.), Kleinheubach am Main 1936, pp. 13, 15, 20 S ., 31 ss ., 37 s., 49, 115; E. Maschke, Das GeschIecht der Staufer, München 1943, pp. 48, 129 ss., 190 ss.; H. M. Schaller, Friedrich von Antiochien, in Neue Deutsche Biographie, V, Berlin 1961, pp. 489 s.; N. Kamp Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, 1, München 1973, p. 28; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval, Roma 1973, pp. 376, 378, 406, 1078, 1134, 1155; R. Morghen, L'età degli Svevi in Italia, Palermo 1974, pp. 140, 148, 150, 155 (Corrado di Antiochia: 186, 188, 201, 209); H. Decker-Hauff, Dasstaufische Haus, in Die Zeit der Staufer. Geschichte, Kunst, Kultur (catal.), III, Stuttgart 1977, pp. 359 s., 362 s., 366 ss., 372 ss.; E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Milano 1978, pp. 178, 196, 295, 298 s., 368, 370 s., 454, 595, 645, 652 ss., 673, 731, 744 ss.; H. Bannasch, Friedrich von Antiochia, in Lexikon der deutschen Geschichte, a cura di G. Taddey, Stuttgart 1983, p. 411; J. Müller, Das Königreich Sizilien zur Zeit Konrads IV. (diss.), Trier 1987, pp. 182, 312, 363; Letteratura ital. (Einaudi), a cura di A. Asor Rosa, Gli autori, I, Torino 1990, pp. 768s.