BAISTROCCHI, Federico
Nacque a Napoli il 9 giugno 1871 da Achille e Elvira Santamaria, frequentò il collegio militare della Nunziatella e, iscrittosi all'Accademia di Torino, conseguì la nomina a sottotenente di artiglieria nel 1889. Destinato alle truppe d'Africa nel 1896, partecipò alle operazioni militari in Eritrea. Nel 1911-12 prese parte al conflitto italo-turco, meritandosi la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia e la promozione a maggìore per meriti di guerra.
All'inizio della prima guerra mondiale fu destinato in Albania, dove comandò un raggruppamento di artiglieria fino al maggio del 1916. Trasferito sul fronte italo-austriaco, percorse una rapida carriera di comando nell'arma, giungendo a comandare successivamente l'artiglieria del II corpo d'armata (maggio-novembre 1917), del gruppo corpi d'armata del settore centro della 2ª armata (novembre 1917), della 5ª armata (dicembre 1917-febbraio 1918) e della 7ª armata (dal 25 febbraio 1918 al termine dei conflitto).
Buon conoscitore della psicologia del soldato, rotto alle fatiche e alle astuzie delle guerre coloniali, pronto e deciso nel comando, egli seppe conquistarsi un notevole ascendente e una discreta popolarità presso le truppe combattenti. E per quanto la sua esperienza e il suo temperamento non gli rendessero congeniale la guerra di posizione, fu uno di quegli ufficiali che proprio per le loro qualità personali più si distinsero nei momenti critici di Caporetto e della resistenza sul Piave. Durante la ritirata di Caporetto il B. riuscì, "compiendo un'opera davvero titanica" - secondo l'espressione di G. Amendola -, a portare via quasi tutta l'artiglieria dalla Bainsizza, non meno di quaranta batterie di medio e grosso calibro, materiale successivamente perduto nel momento in cui giungeva al Tagliamento, per l'improvviso brillamento dell'ultimo ponte ordinato dal maggiore comandante la guardia.
Più volte promosso per merito di guerra, decorato di tre medaglie d'argento al valore militare, gli veniva affidato al termine del conflitto mondiale, col grado di generale di brigata, il comando di tutta l'artiglieria destinata alle operazioni in Libia.
Rimpatriato nel 1919, fu nominato comandante dell'artiglieria del corpo d'armata di Napoli. Di sentimenti chiaramente fascisti, approfittò della sua alta carica per facilitare la grande adunata fascista di Napoli del 24 ottobre 1922. Tre giorni prima della marcia su Roma - secondo il Diario del Balbo - prese contatti con i quadrumviri per assicurarli "che i reparti dell'esercito dislocati nel Mezzogiorno, seguono con grande simpatia il movimento fascista". Presentatosi quindi alle elezioni municipali di quella città risultò per ben due volte eletto, ottenendo poi la carica di assessore. Nel 1924 riuscì primo eletto nella lista fascista per la Campania e fu deputato per la XXVII, XXVIII e XXIX Legislatura (1924-1939).
Promosso generale di divisione nel 1926, assunse il comando della divisione militare di Napoli. Generale di corpo d'armata nel 1931 fu poi comandante del corpo d'armata di Verona.
Quando Mussolini, e per gli inizi di una ripresa della gara degli armamenti da parte delle potenze e per desiderio di svolgere una nuova politica militare, assunse personalmente, il 22 luglio 1933, il portafoglio della Guerra, chiamò a suo sottosegretario il B., noto per le sue capacità tecnico-militari e per il suo passato fascista.
Esperto conoscitore dei bisogni dell'esercito, preparò e sottopose al capo del governo un piano di riforme da attuarsi in due trienni: 1933-36 e 1936-39. Rammodernamento delle armi in dotazione alla fanteria, miglioramento delle artiglierie, meccanizzazione, motorizzazione, costituzione delle prime unità celeri corazzate ed autotrasportate, rappresentarono i cardini del programma che fu in parte realizzato. Nuove disposizioni circa il trattamento e l'addestramento delle truppe, la promozione e l'avanzamento degli ufficiali, contribuirono a migliorare l'efficienza dell'esercito e a renderlo più atto alle esigenze della guerra moderna. D'intesa col generale E. Caviglia propose la candidatura di Italo Balbo a capo di Stato Maggiore di tutte le forze armate, perché lo riteneva il solo uomo capace di attuare il suo piano di riorganizzazione delle forze armate. Ma la proposta non venne accettata da Mussolini e dal re ed ebbe per unica conseguenza di porre il B. in diretto antagonìsmo con Badoglìo, allora capo di Stato Maggiore Generale delle tre forze armate.
Dopo il voto del consiglio dei ministri del 18 sett. 1934 che istituiva l'insegnamento obbligatorio della cultura militare nelle scuole e i tre gradi di preparazione militare (premilitare dai 18 ai 21 anni; servizio di leva, servizio post-militare fino a dieci anni dopo il congedo), ebbe a interessarsi della organizzazione dell'ispettorato pre e post militare che si trovava alle dirette dipendenze del capo del governo.
Nominato nell'ottobre del 1934 anche capo di Stato Maggiore dell'esercito, fu inizialmente avverso alla spedizione d'Etiopia, in quanto riteneva che la forza d'invasione fosse insufficiente allo scopo e che la sua costituzione scompaginasse completamente il programma di riorganizzazione dell'esercito. Ma si lasciò facilmente convincere del contrario e favorì la costituzione di divisioni di camicie nere, inquadrate da ufficiali dell'esercito, che furono affiancate al corpo di spedizione.
Badoglio, tornato dall'Africa, sfruttò il successo per scalzare i generali fascisti dai posti chiave del ministero della Guerra e riuscì a scuotere la fiducia che Mussolini riponeva in Baistrocchi. Quest'ultimo fu perciò promosso generale d'artnata, il 15 aprile 1936, "per l'opera di preparazione e mobilitazione delle forze armate terrestri operanti in Africa orientale", ma cessò dalle cariche di sottosegretario alla Guerra e di capo di Stato Maggiore dell'esercito. Il re non volle congedarlo senza averlo nominato conte, con decreto del 7 ottobre 1937.
Come risulta dalla contestazione che seguì alla sua deposizione al processo Roatta, fu favorevole alla guerra di Spagna, pur temendo che tali operazioni ritardassero ancora l'attuazione del suo piano di rammodernamento delle forze armate.
Nel febbraio del 1938 pose la sua candidatura - secondo il Diario di Ciano - alla direzione del Commissariato per le fabbricazioni di guerra, che era stato creato il 23 sett. 1935. Ma sia per l'opposizione del Balbo (che sosteneva la candidatura del generale P. Gazzera), sia perché Mussolini lo riteneva "uomo attivo ma confusionario" e gli preferiva il vecchio generale A. Dallolio, non riuscì ad ottenere l'incarico e pare ne rimanesse parecchio amareggiato.
Nel 1939 fu fatto senatore e, il 18 ott. 1944, venne collocato nella riserva, per raggiunti limiti di età. Arrestato e detenuto dal 18 apr. 1945, imputato per i reati di "fascistizzazione dell'esercito", di "inserimento della milizia fascista nell'esercito", di "influenza dello squadrismo fascista nella tecnica militare e sugli ordinamenti", di "affarismo, intrigo e corruzione", fu processato dal tribunale militare territoriale di Roma, che ritenne di doverlo assolvere con formula piena (sentenza 22 sett. 1946).
Morì a Roma il 1° giugno 1947.
Fonti e Bibl.: Per i dati biografici vedi Ministero Difesa Esercito, Uff.Stampa; Chi è?, Roma 1940. Per l'episodio nella ritirata di Caporetto cfr. O. Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, a cura di B. Vigezzi, Milano 1960, p. 186. Per i contatti avuti a Napoli con i quadrumviri alla vigilia della marcia su Roma cfr. I. Balbo, Diario 1922, Milano 1932, p. 198. Per l'attività di sottosegretario alla Guerra e capo di Stato Maggiore dell'esercito vedi E. Canevari, La guerra italiana, retroscena della disfatta, Roma 1948-49, I, pp. 169, 203, 206, 368, 383, 385, 387 s., 393, 407, 410, 418, 421, 432 s., 530, 560; II, pp. 52, 228, 374; A. Tamaro, Venti anni di storia (1922-1943), III,Roma 1954, pp. 32, 104 s., 136, 146, 164, 172, 174 s., 186 s., 189, 200, 233, 272, 368, 370; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1956, pp. 738, 820 s., 969, 972. Sui suoi rapporti col re e col gruppo badogliano cfr. N. D'Aroma, Vent'anni insieme. Vittorio Emanuele e Mussolini, Bologna 1957, passim. Circa l'atteggiamento a favore della guerra di Spagna v. Il processo Roatta, Roma 1945, p. 82. Per la sua candidatura a commissario per le fabbricazioni di guerra cfr. G. Ciano, 1937-1938 - Diario, Bologna 1948, pp. 106-108. Contrastanti giudizi sulla figura e l'opera del B. in G. Zanussi, Guerra e catastrofe d'Italia (giugno 1940-maggio 1945), Roma 1946, pp. 40 s., 55, 69; Y. De Begnac, Palazzo Venezia. Storia di un regime, Roma 1950, p. 507; G. Leto, O.V.R.A., Fascismo ed antifascismo, Bologna 1951, p. 136.