FATTORINI
Famiglia toscana, attiva per almeno quattro generazioni, dalle ultime decadi del sec. XV fino al termine del XVI, nell'ambito della produzione ceramica.
L'appellativo Fattorini risulta definitivamente assunto come cognome soltanto nel corso del sec. XVII dai discendenti, impegnati peraltro in attività estranee alla maiolica. I documenti citati all'interno della voce senza altra indicazione si intendono riportati in Cora-Fanfani, 1982.
Pietro (o Piero), figlio di Filippo di Dimitri Schiavone, un immigrato proveniente dalla Dalmazia. e di Usanna, nacque intorno al 1445. Prevalentemente di natura biografica sono le testimonianze scaturite dalle ricerche documentarie, effettuate da Gaetano Milanesi negli archivi toscani e rese note dal Guasti (1902).
Citato con la qualifica di orciolaio in due atti, stipulati nel 1466 e nel 1481, in un documento del 1480 è ricordato come abitante a Montelupo, assieme al fratello Filippo di ventidue anni, la moglie Chosa, la madre Usanna e la figlioletta Caterina, in una casa di proprietà del cognato Scharamuccia, dipendente di Lorenzo di Piero de' Medici. La famigliola, accresciutasi per la nascita di altri figli, nell'anno 1487 abitava ancora a Montelupo, ma una postilla aggiunta alla registrazione qualche anno più tardi rende noto: "stan ogi a Cafagiuolo e fano stoviglie".
Più significativo un documento che risale al 1490: un atto registrato dal notaio ser Piero di Brando Gherardini evoca l'accordo tra Francesco d'Antonio degli Antinori di Firenze ed un gruppo di ventitré orciolai, tra cui Pietro di Filippo, per una fornitura di "omne laborerium vasorum", vale a dire di tutti i vasi che questi fabbricavano, cioè "laborerium dozinale" (maioliche comuni), "laborerium quod appellatur domaschinum" (vasi decorati alla damaschina), "laboreriuni quod nuncupatur vantagginum" (lavori non meglio identificati, anche se di pregio, poiché più costosi degli altri tipi), durante l'arco di tre anni, fino al 1493.
Al silenzio che accompagna le esperienze condotte negli anni immediatamente successivi fa poi seguito una importante memoria: nell'inventario redatto alla morte di Giovanni di Pier Francesco de' Medici nel 1498 è elencatoAra l'altro un palazzo a Cafaggiolo cui era annessa una fornace col portico per cuocere vasellame e che "tien a pison Piero e Stefano fornaxari". Tale referto testimonia il trasferimento dei F. presso la celebre manifattura di maioliche sorta forse per iniziativa di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, detto il Popolano, destinata a divenire nel giro di pochi lustri una esclusiva manifattura di raffinate maioliche. Il trasferimento è confermato da un'altra testimonianza (1506), più ricca di particolari, edita dal Guasti (1902, p. 96), nella quale entrambi gli artefici sono citati come provenienti da Montelupo.
Attende ancora conferme documentarie il supposto soggiorno a Firenze verso il 1492 dei due maestri, forse chiamati da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici a condurre una officina ceramica. La scomparsa di Pietro di Filippo viene collocata intorno al 1507, anno in cui risulta citato il solo fratello Stefano.
Ancora incerto è il catalogo ascrivibile al ceramista; il ritrovamento di alcuni esemplari siglati con l'iniziale "P" talvolta paraffata, simili nella tipologia sia alla produzione montelupina di fine Quattrocento sia ai più antichi esemplari sicuramente attribuibili a Cafaggiolo, ha lasciato pensare potesse trattarsi di maioliche realizzate dallo stesso Pietro.
Il fratello Stefano nacque tra il 1458 ed il 1461. L'anno di nascita può essere variamente calcolato in base all'età affermata in due documenti del catasto di Montelupo (del 1469 e del 1480) in contraddizione tra loro. Citato nei documenti assieme al fratello Pietro, con il quale condivise le prime esperienze, Stefano a partire dal 1507 divenne responsabile, assieme al nipote Filippo di Pietro (nato verso il 1483), della fornace mugellana. All'officina proprio in quell'anno fu commissionata la fornitura di 62 albarelli col beccuccio da sciroppo di mezzo quarto e 15 da un quarto per la farmacia dell'ospedale di S. Maria Nuova. Di questa serie restano alcuni esemplari in collezioni private, identificati grazie all'emblema della gruccia ed al rnonogramma "SP", adottato da Stefano. Altri documenti degli anni 1510, 1514, 1517, 1519, 1521 attestano ulteriori forniture di vasellame: scodelle, piattelli, catinelle e tazzoni per Giuliano di Piero da Gagliano forse affini ad esempi con ornati alla porcellana (il tema ornamentale di maggiore successo in quegli anni) siglati "SP", in collezioni pubbliche e private. Nel 1521, come rivela una lettera indirizzata a Francesco da Empoli abitante in casa Medici a Firenze, Stefano aveva in animo di chiudere la fornace, forse per sopraggiunte difficoltà. L'ultimo documento che lo riguarda, relativo all'affitto di una vigna nel podere mediceo, risale allo stesso anno; la sua scornparsa viene collocata entro il 1532 circa. A lui probabilmente va assegnata la più antica produzione della manifattura di Cafaggiolo, condotta nell'ambito di un gusto che tendeva ad imitare la porcellana, e affine a quella coeva di Montelupo, dalla quale si distingue, in assenza di marche, per la colorazione rosata del biscotto e per il rivestimento ad ingobbio sotto smalto.
Un esempio significativo è costituito dal boccale del British Museum, decorato con motivi alla porcellana in blu cobalto, recante l'emblema di una torre e due galli affrontati (forse Torregalli), dipinto in policromia. Secondo il Del Vita (1922), si deve a Stefano il perfezionamento della tecnica che prevedeva l'applicazione del lustro in terza cottura, attualmente documentato da alcuni piatti e brocchette, in raccolte pubbliche e private, elaborati a Cafaggiolo entro il primo quarto del Cinquecento (Cora-Fanfani, 1982, nn. 20-23, 73, 75 s., 100). Non è tuttavia da escludersi l'ipotesi, recentemente formulata dall'Alinari (1990), che un vasaio pittore proveniente dall'Umbria, trasferitosi presso l'officina mugellana, avesse dato vita a questo genere che sembrerebbe essere decollato in ritardo rispetto a quello di Deruta.
Iacopo, figlio di Stefano, nacque verso il 1490. Era primogenito di sette figli - suoi fratelli furono Michele, Leonardo, Giovanni, Domenico, Matteo e Sandro, negli anni Trenta tutti attivi a Cafaggiolo, eccetto Leonardo (Guasti, 1902) - ed è generalmente considerato il principale responsabile dell'impresa, nonché l'artista che più si è distinto tra gli altri familiari. A lui vengono, infatti, assegnati quasi tutti i più significativi lavori condotti presso l'officina durante il secondo e terzo decennio del Cinquecento. Cora e Fanfani (1982), riprendendo l'osservazione del Falke (1933), che notava una ispirazione costante ai capolavori di Sandro Botticelli, hanno supposto che Iacopo ne avesse frequentato, da giovanissimo, la bottega, passando poi a quella di Filippino Lippi. Nel celebre piatto (Londra, Victoria and Albert Museum), istoriato con un vasaio che dipinge alla presenza dei committenti, forse Pierfrancesco de' Medici il Giovane e sua moglie Maria Soderini, si tende a riconoscere l'autoritratto di lacopo.
Stilisticamente affini sono altri tre piatti istoriati, rispettivamente raffiguranti Diana ed Endimione (Lisbona, Fondazione Calouste Gulbenkian), il guerriero stante ispirato al S. Giorgio di Donatello e Giuditta con la fonte Afra (Londra, Victoria and Albert Museum). Nonostante quest'ultimo sia marcato sul verso con l'iscrizione "Jap in Chafagguolo", l'Alinari (1990, p. 167) ha suggerito per questi lavori l'intervento di un pittore omonimo. Tale opinione, ancora tutta da verificare, valuta la circostanza che, benché Iacopo fosse ancora attivo nel 1576 (Guasti, 1902, p. 126), durante la fase tarda la produzione della officina era ben lontana dall'altissimo livello raggiunto nei primi decenni dei Cinquecento. Del resto anche altri raffinati esemplari, alcuni tondini con cavetto decorati alla porcellana (Cora-Fanfani, 1982, figg. 43 s., 48, 51, 53, 58, 60) e tre vivaci piatti a grottesche (ibid., fig. 4 Alinari, 1990, fig. 7), egualmente siglati "SP" o "firmati" da Iacopo, sembrerebbero essere tutti databili in una medesima fase, nella seconda metà del primo quarto del secolo. Questi lavori, infatti, oltre ad una grafia comune, "intensa e caratteristica" (Alinari, 1990, p. 167), rivelano stringenti analogie tecniche; privi di ingobbio, presentano uno smalto molto brillante e cremoso e il biscotto quasi sempre color ocra intenso. A questo gruppo omogeneo di mirabili maioliche vanno anche affiancati altri esemplari in cui è evidente la compartecipazione di un altro artefice alla decorazione dell'opera. L'intervento di Iacopo pare essersi limitato, ad esempio, alla figura dell'imperatore nel piattello (Londra, British Muscum) con il profilo di Giulio Cesare, circondato da sfingi, ed alla scena istoriata nel piatto con il Corteo trionfale (Londra, Victoria and Albert Museum).
Alessandro (Sandro), altro figlio di Stefano di Filippo, citato in un documento assieme ai fratelli, come abitante a Cafaggiolo nel 1538, è stato ipotizzato dal Guasti (1902, p. 253) che possa identificarsi con l'artefice che era solito siglare con le iniziali "Af" la propria produzione. Si tratta di alcuni eccellenti istoriati, condotti alla maniera urbinate con una tavolozza pastosa a dominante cromatica gialla e bruna. Nel Museo del Bargello a Firenze è custodito il grande piatto raffigurante Perseo che interrompe il banchetto di Polidette mostrando la testa di Medusa. Una scena di Combattimento tra Greci e Romani è invece proposta da un altro esemplare, anch'esso di notevoli dimensioni (Parigi, Petit-Palais); la scena della Contesa tra Apollo e Pan è raffigurata nel piatto della raccolta del Victoria and Albert Museum di Londra.
A questi lavori recanti il monogramma citato assieme alla scritta "in Cafagiolo" (come pure il piatto raffigurante la Cena di Simone, vendita Hannaford, Sotheby's, 17 ott. 1969) se ne affianca un altro istoriato, siglato e datato 1547. Raffigurante il Giuramento di Muzio Scevola, tale opera (Oxford, Ashmolean Museum) risulta però eseguita a Gagliano, lasciando quindi supporre una eventuale attività di Alessandro nella località toscana dove sorgeva la villa Ubaldini, presso la quale era ubicata una fornace per la cottura delle maioliche. Allo stesso maestro va riferita una targa nella chiesa di Pulicciano, ritrovata dall'Alinari (1984), siglata e datata 1558.
Fonti e Bibl.: G. Guasti, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramiche in Toscana, Firenze 1902, ad Indicem; A. Del Vita, Raccolte italiane di maioliche…, in Dedalo, II (1922), pp. 520-523 (per Stefano e Iacopo); L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane, Milano 1924, pp. 44 s. (per Pietro, Stefano e Iacopo); B. Rackham, Catalogue of Italian maiolica, London 1940, pp. 104 s. (per Iacopo e Alessandro); A. Minghetti, I ceramisti italiani, Roma 1946, pp. 176 s. (per Pietro, Stefano e lacopo); J. Giacomotti, Les majoliques des Musées Nationaux, Paris 1974, p. 117 (per lacopo e Alessandro); G. Cora-A. Fanfani, La maiolica di Cafaggiolo, Firenze 1982, pp. 171, 176 e passim; A. Alinari, Cafaggiolo, per un'indagine archeologica, in Faenza, LXXII (1986), p. 916; Id., Maioliche marcate di Cafaggiolo, Firenze 1987, p. 35; Id., La ceramica di Cafaggiolo fra 1498 e 1570…, in Castelli e la maiolica cinquecentesca italiana…, Pescara 1990, pp. 166-169, 171 s. (per lacopo e Alessandro); C. Ravanelli Guidotti, La donazione A. Fanfani (catal.), Faenza 1990, pp. 96 s. (per Iacopo e Alessandro).
Si veda, inoltre, in particolare: per Pietro, O. von Falke, Die Maiolikasammlung Alfred Pringsheim in München, The Hague 1923, II, tav. 86, fig. 162; per Iacopo, B. Rackham, Italian maiolica, in Faenza, XVIII (1930), pp. 89, 141; O. von Falke, Der Maiolikmaler Jacopo von Cafaggiolo, in Pantheon, XI (1933), pp. 111-116; G. Ballardini, Corpus della maiolica italiana, Roma 1933; Id., La maiolica italiana dalle origini alla fine del Cinquecento, Firenze 1938, p. 36 e passim; per Alessandro, J. V. G. Mallet, C. D. E. Fortnum and theItalian maiolica of the Renaissance, in Apollo, CVIII (1978), p. 403; C. Join Dieterle, Musée du Petit-Palais. Catalogue des céramiques, I, Paris 1984, p. 68; A. Alinari, Una targa di Cafaggiolo rintracciata, da salvare, in Atti del Convegno internazionale della ceramica, XVII, Albisola 1984, pp. 149-154; L. Arbace, Il conoscitore di maioliche italiane del Rinascimento, Milano 1992, pp. 25, 201.