PAOLUCCI, Fabrizio
– Nacque a Forlì il 2 aprile 1651 dal conte Cosimo Paolucci di Calboli e da Luciana Albicini.
Pronipote del cardinale Francesco Paolucci (1581-1661), fu a questi affidato per essere indirizzato alla carriera prelatizia. Si trasferì così già all’età di otto anni a Roma, dove seguì un corso di studi che lo portò dal Collegio romano ad addottorarsi in utroque alla Sapienza il 23 febbraio 1674. Poco dopo fu ordinato in sacris. Per un decennio non ebbe alcuna carica ufficiale: si impegnò in opere pie, nel servizio religioso presso la romana Casa della missione dei lazzaristi e fu coinvolto nella Conferenza dei concili, un’accademia ecclesiastica che si riuniva nella sede di Propaganda Fide.
Il 9 aprile 1685 fu designato vescovo di Macerata e Tolentino e il 6 maggio fu consacrato a Roma dal vicario dell’Urbe cardinale Gasparo Carpegna. Le fonti lo descrivono quale pastore umile, austero, dedito alla pastorale. Istituì in Macerata l’Ospedale degli invalidi e contribuì alla fondazione del monastero femminile del Corpus Domini. Introdusse infine in diocesi i sacerdoti della Congregazione della missione di san Vincenzo de’ Paoli, visitò frequentemente l’area di sua giurisdizione e tenne due sinodi, i cui atti vennero dati alle stampe. Durante il suo vescovato accolse il granduca di Toscana Cosimo III, in viaggio verso Loreto, che mostrò di apprezzare l’accoglienza ricevuta. Nel 1691, alla morte del cardinale Gianfrancesco Ginetti, arcivescovo di Fermo, ricevette in carico quale amministratore apostolico quella diocesi (responsabilità che ricoprì fino al 1795) e anche lì si dimostrò scrupoloso: fondò un monastero femminile domenicano, promosse la fabbrica di due conventi e dedicò alla diocesi più di una visita.
Innocenzo XII gli consentì di tornare temporaneamente a Roma quando fu colpito dalla morte accidentale di un fratello prelato. L’incidente, secondo Lorenzo Cardella (1794, p. 57), gli avrebbe garantito la simpatia del papa, che lo volle nel febbraio 1696 assistente al trono pontificio e, il 24 di quello stesso mese, lo nominò nunzio a Colonia (ebbe modo di seguire da lì le vicende della pace di Rijswijk). L’anno successivo, nel concistoro del 22 luglio, Innocenzo XII lo riservò cardinale in pectore. Il suo nome fu reso pubblico il 19 dicembre 1698 e il 5 gennaio 1699 ricevette il cappello cardinalizio e il titolo dei Ss. Giovanni e Paolo. Dal gennaio di quell’anno era stato intanto trasferito alla guida della diocesi di Ferrara con il titolo personale di arcivescovo, e nello stesso giorno il pontefice lo destinò in Polonia quale nunzio straordinario alla Dieta per l’elezione del nuovo re, Augusto II di Sassonia, il quale, una volta abiurato il luteranesimo, si riconciliò con Roma anche grazie all’opera del legato.
Terminata la missione e rientrato a Ferrara, poco poté fare in quella diocesi, richiamato a Roma per il conclave che avrebbe portato sul trono di Pietro Clemente XI (Giovanni Francesco Albani). Fu questa la svolta della sua carriera. Il pontefice lo volle infatti suo segretario di Stato (la data della nomina è 3 dicembre 1700), ruolo che tenne fino alla morte del papa, il 19 marzo 1721. Albani lo volle al fianco sapendolo a lui totalmente devoto e stimandolo, come molti altri, uomo di eccellente valore e capacità. Seguì l’acquisizione di molte altre cariche: propenitenziere maggiore (25 gennaio 1709), penitenziere maggiore (28 giugno 1710 - 1721), camerlengo del Sacro Collegio (25 gennaio 1706 - 21 febbraio 1707).
Quale segretario di Stato Paolucci si trovò ad assistere papa Clemente XI in un tempo difficilissimo. La guerra di Successione spagnola, con l’ondeggiare indeciso del pontefice tra borbonici e asburgici; il contrasto con l’imperatore Giuseppe I, ostile al Papato, che invase lo Stato della Chiesa (1708); la questione della Monarchia sicula; quella della bolla Unigenitus; il rafforzarsi della vocazione degli Stati a controllare ogni aspetto dell’attività delle Chiese e a considerare il papa niente di più che un comprimario nella scena europea. Le lettere spedite da Paolucci a vescovi e prelati soprattutto italiani durante questo periodo testimoniano come anche in Italia si moltiplicassero gli sforzi dei singoli principi per erodere le prerogative ecclesiastiche. Sentendo vicina la morte, Clemente XI volle esprimergli tutta la riconoscenza e gratitudine per il servizio che gli aveva prestato. Il riconoscimento poté considerarsi pienamente meritato: Paolucci fu uno dei pochi segretari di Stato a ricoprire con efficienza e dignità tale ruolo nel tempo che va dall’abolizione della figura del cardinal nipote con Innocenzo XII, nel 1692, fino all’esperienza in tale funzione di Ercole Consalvi che affermò definitivamente la centralità di quella figura nel governo della Santa Sede.
Paolucci fu tra i candidati al Papato nel conclave che elesse Innocenzo XIII. Parve a lungo favorito, in virtù della straordinaria esperienza accumulata, per l’indole pacifica e per il suo zelo pastorale, ma fu bloccato dall’esclusiva dell’ambasciatore imperiale e dalla diffidenza francese, ispirata al desiderio di discontinuità con la politica del pontefice defunto. Quando fu posto il veto austriaco, le votazioni lo avevano portato a soli tre voti di distanza dalla richiesta maggioranza dei due terzi degli elettori. Il nuovo pontefice lo volle quale vicario generale di Roma (11 maggio 1721) e in Curia Paolucci operò soprattutto in qualità di prefetto dell’importante congregazione dei Vescovi e regolari (dal 9 settembre 1721).
Benedetto XIII lo volle ancora quale suo segretario di Stato – ma Paolucci fu anche prefetto della Congregazione dei Riti, della congregazione Avignonese, segretario del S. Uffizio (dal 1725 fino alla morte) – e lo traslò alla diocesi suburbicaria di Porto, da cui passò al vescovato di Ostia e Velletri, sede del decano del Collegio cardinalizio. L’esperienza da segretario di Stato di Benedetto XIII, che lo stimava moltissimo, fu assai impegnativa. Paolucci si pose subito in urto con la cerchia di beneventani capeggiati da Niccolò Coscia, alla cui nomina a cardinale si oppose pubblicamente. Nel 1726 l’assenza di Paolucci, recatosi ad Albano per problemi di salute, consentì a Coscia e ai suoi di fare il pieno di nomine per sé e amici.
Stremato da tante battaglie – avrebbe già voluto ritirarsi nel 1724 –, Paolucci vide peggiorare rapidamente le proprie condizioni di salute. Morì il 12 giugno 1726, nel palazzo del Quirinale, e «colla sua morte cadde l’ultima barriera che impediva tuttora molti arbitri» (von Pastor, 1933, p. 510).
Fu sepolto nella chiesa romana di S. Marcello. Il monumento sepolcrale fu opera di Pietro Bracci, che nel 1725 aveva già realizzato un apprezzato busto del cardinale, tuttora nella romana chiesa dei SS. Apostoli. Paolucci dispose nel 1700 la costruzione a Forlì di un imponente palazzo familiare e di un’altrettanto significativa sede per i padri della Missione di san Vincenzo de’ Paoli, la cui costruzione iniziò nel 1713.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Arch. Concistoriale, Processus consist., 83, cc. 278r-284v; Segreteria di Stato, Colonia, 79-81; ibid., Vescovi e prelati, 177-185.
A. Barbiani, I lustri antichi e moderni della città di Forlì…, Forlì 1757, pp. 51 s.; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VIII, Roma 1794, pp. 55-59; G. Moroni, Dizionario d’erudizione storico-ecclesiastica, Venezia 1840-79, ad ind.; G. Rosetti, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì 1858, pp. 395-412; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1933, ad ind.; K. Eubel, Hierarchia catholica, V, Padova 1952, pp. 21, 201, 251; C. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus Congregationum, Tribunalium et Collegiorum Urbis 1629-1714, Rom-Freiburg-Wien 1991, p. 138; N. Del Re, La Curia romana: lineamenti storico giuridici, Città del Vaticano 1998, p. 89; C. Weber - M. Becker, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 715.