GUARDASCIONE, Ezechiele
Nacque a Pozzuoli il 2 sett. 1875 da Vincenzo, proprietario terriero e da Rosa. La sua formazione giovanile come pittore si svolse sotto la guida di F. Palizzi, all'Istituto d'arte di Napoli, all'epoca in cui ancora vi insegnava D. Morelli. Tale insegnamento lo condusse a preferire il tema del paesaggio e a sviluppare una ferma attenzione al colore, inteso come dato forte di costruzione dell'immagine e sondato nei rapporti tonali. Visse sino alla fine del secolo a Pozzuoli, partecipando alla vita culturale della cittadina e intrecciando fertili rapporti con colleghi artisti e letterati, ospiti della sua casa che svolse funzione di cenacolo culturale. Risale al 1898 la partecipazione del G. all'Esposizione nazionale di Torino con il dipinto Nel pantano, raffigurante una veduta della tenuta reale di Licola (Napoli, palazzo della Provincia), che ottenne il primo premio.
In data imprecisata, ma probabilmente nei primi anni del Novecento, sposò Giovanna Scattoni, di nobili origini, dalla quale ebbe due figli, Vincenzo e Francesco. A partire da questo periodo il G. alternò l'attività di pittore a quella di critico, insegnante e promotore della cultura artistica napoletana, dedicandosi con sempre maggior impegno a questi campi e riducendo la partecipazione alle esposizioni collettive.
Nel 1911 il G. espose alla XXXIV Promotrice Salvator Rosa Il porto, che fu premiato dal R. Istituto d'incoraggiamento e acquistato dal presidente Achille Minozzi. Il dipinto, impostato secondo un taglio orizzontale che suggerisce quiete e attesa, presenta barche e zattere alla banchina nell'ora serale. Le marine e le scene di porto furono i temi preferiti di quegli anni. Dello stesso periodo e di affine sensibilità è Sera, custodito dalla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma, in cui delle baracche di pescatori sono avvolte dalle ombre crepuscolari.
Negli anni immediatamente precedenti e successivi alla prima guerra mondiale partecipò sporadicamente a esposizioni collettive di interesse nazionale (nel 1921 espose quattro dipinti alla Biennale nazionale di Napoli); ma gli interessi dell'artista si rivolsero prevalentemente alla critica: conobbe Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, che gli accordarono la loro protezione e amicizia.
Al 1924 risale la prima partecipazione del G. alla XIV Biennale di Venezia, dove presentò il dipinto intitolato Sera a Pozzuoli (oggi nella Galleria nazionale d'arte moderna); lo stesso anno pubblicò a Bari il saggio Gioacchino Toma. Il colore in pittura, teso a rivalutare la figura del pittore ottocentesco, che riscosse un certo successo editoriale e l'apprezzamento di storici e critici d'arte.
Il G. volse in senso positivo le critiche che nei decenni precedenti avevano decretato un declino critico della figura di Toma e tra queste, in primo luogo, quella relativa alla sua austerità cromatica (che ne fa un pittore atipico dell'Ottocento napoletano), sobrietà che da Morelli in poi era stata largamente contestata. Il G. individuò nel frequente ricorso ai toni di grigio da parte di Toma non già una lacuna nell'uso del colore, quanto piuttosto l'efficace espressione di ambientazioni intime e di stati d'animo sommessi.
Tra coloro che si interessarono al saggio del G. spicca Ugo Ojetti, con il quale egli intrattenne, a partire da questa data, una lunga corrispondenza. Il carteggio inedito (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna, Archivio storico, Fondo Ojetti) evidenzia la profonda ammirazione del G. per il celebre critico e la costante ricerca della sua approvazione.
Nel 1927 il G. redasse per l'Enciclopedia Italiana, su commissione di Ojetti, la voce biografica sul pittore Costanzo Angelini; nell'anno successivo, traendo spunto da una riflessione sugli scritti di Ojetti e dagli scambi epistolari con quest'ultimo, il G. pubblicò un articolo fortemente critico sull'opera di Vincenzo Gemito.
Il breve saggio, apparso sul secondo numero della Rivista di cultura, suscitò nell'ambiente artistico napoletano delle vivaci proteste, culminate nella richiesta, da parte della Federazione provinciale dell'artigianato, di estromettere il G. dalla Biennale di Venezia, dove era stato selezionato quell'anno con un quadro intitolato Castello e barche. Nello studio su Gemito il G. intese ridimensionare la figura dell'artista più anziano nel momento della sua massima celebrità, pur riconoscendone la felicità degli esiti nei ritratti di popolane e in talune sculture: in ispecie il G. - uomo antiretorico e spregiatore dell'ipocrisia in arte - riteneva sopravvalutate le doti di Gemito quale disegnatore, così come le famose superfici materiche delle sue sculture, ispirate alla luce dei dipinti di Mariano Fortuny. A una lettura odierna il saggio pressoché dimenticato del G. appare frutto di un punto di vista originale e coraggioso per il tempo in cui vide la luce, oltreché godibile sotto il profilo letterario per il lessico ricco e avvincente. L'eco del contenuto dell'articolo dovette essere grande se in una lettera a Ojetti del 12 apr. 1928 il G. afferma essere stato a Roma da Cipriano Efisio Oppo, allora direttore della Quadriennale di Roma, per trovare protezione dopo le polemiche sorte dalla pubblicazione del saggio e di essersi rivolto anche a Margherita Sarfatti. La partecipazione alla Biennale del 1928, oltre a essere coronata dalla vendita del dipinto esposto (acquistato da Attilio Piscitelli) - come attestato dalla lettera che il G. scrisse a Ojetti ringraziandolo per le belle parole di recensione - vide il pittore impegnato al fianco di Ojetti nella selezione dei dipinti napoletani del XIX secolo, per la mostra sulla pittura ottocentesca italiana che vi si tenne.
Particolare e degna di nota, negli anni Venti e Trenta, la sua attività di scenografo e decoratore di saloni secondo un gusto neobarocco.
A Napoli dipinse le sovrapporte del caffè Gambrinus con paesaggi (in situ) e affrescò con scene capresi d'ispirazione settecentesca il vestibolo della Banca commerciale italiana nello storico palazzo Zevallos Stigliano, attribuito a Cosimo Fanzago. Sue sarebbero state le perdute decorazioni dell'hôtel-des-Palmes di Palermo, delle terme di Fiuggi e del Palace hôtel di Roma. La sua produzione pittorica, invece, si era come cristallizzata in una forma arcaizzante e polita, in cui paesaggi del golfo di Napoli e delle isole vicine, soggetto quasi esclusivo, erano presentati, rischiarata la tavolozza degli anni precedenti, secondo inquadrature convenzionali rese con una pennellata veloce e liquida.
Convinto fascista, nel corso degli anni Trenta il G. dovette rivestire un ruolo culturale maggiore di quanto fino a oggi emerso, attivandosi per iniziative a favore dell'Opera nazionale fascista e scrivendo su riviste vicine al partito o propriamente organiche. Tra il 1934 e il 1935 il G. firmò alcune pagine critiche già di rilevante interesse storico, che apparvero nella rivista guidata da Giovanni Preziosi, La Vita italiana. Tra esse si ricordano: Quale sarà la pittura del Novecento? (giugno 1934), violento attacco all'arte novecentista, colpevole secondo il G. di spacciare per originalità istanze di stile e di contenuto già appartenute a precedenti movimenti e risolte storicamente; Il palazzo del littorio (XXII, dicembre 1934, n. 261); La II Quadriennale d'arte (XXIII, marzo 1935, n. 264). Fu uomo eclettico e incline al cambiamento. Si dilettò di poesia vernacolare e raccolse un'importante collezione di statuine settecentesche da presepe, oggi dispersa, con la quale allestì presepi scenografici a scopo benefico per le opere assistenziali del partito: a Milano nel 1930 e nel 1934 (anno in cui pubblicò a Napoli un piccolo libro dal titolo Il presepe), quindi presso i Mercati Traianei a Roma (1931 e 1936) e ancora a Bari (1938), riscuotendo un grandissimo successo. Il G. sfruttava inoltre queste manifestazioni di richiamo per promuovere la sua pittura. Nel 1936 espose alcuni paesaggi a Milano presso la Casa d'artisti, presentato da E. Somarè, mostra che gli valse l'acquisto di due dipinti da parte del Museo civico d'arte moderna; nel 1938 a Bari vi fu una sua personale.
Riporta C. Malaparte, in un ritratto del G. che tratteggiò nel Corriere della sera, che il pittore realizzò un grandissimo telone decorativo (m 20×20) per la Triennale d'Oltremare tenutasi a Napoli nel 1940, dove raffigurò "una prospettiva marina, con navi, e moli, e torri, e monti a picco e nuvole", secondo i temi a lui congeniali e con una tavolozza delicata di verdi e azzurri. L'opera, perduta, fu forse l'ultimo grande impegno pittorico del G., che nel 1943 scrisse per l'editore fiorentino Sansoni il volume Napoli pittorica. Ricordi d'arte e di vita, in cui raccolse memorie autobiografiche e alcuni articoli sull'Ottocento pittorico napoletano - epoca che egli riteneva di massima gloria artistica - già apparsi in rivista.
Il G. morì a Napoli il 23 nov. 1948.
Personaggio stravagante, il G. è una figura ancora da indagare; la causa principale del disinteresse storiografico e critico seguente è da ricercare verosimilmente nella sua compromettente piena adesione al fascismo.
Fonti e Bibl.: E. Giannelli, Artisti napoletani viventi, Napoli 1916, p. 275; C. Malaparte, Il corpo di Napoli, in Il Corriere della sera, 21 marzo 1940; A. Schettini, Ricordo di E. G., in Il Corriere di Napoli, 25 nov. 1948; C. Barbieri, Tre pittori scomparsi, in Il Risorgimento, 11 genn. 1949; Musei e gallerie di Milano, Galleria d'arte moderna, Opere del Novecento, Milano 1974, ill. nn. 619 s.; Pinacoteca provinciale di Bari, Le collezioni dell'Ottocento e primo Novecento (catal.), a cura di C. Farese Sperken, Bari 1977, p. 54 ill. n. 181; P. Ricci, Arte e artisti a Napoli (1800-1943), Napoli 1981, ad indicem; G. Cassese, in La pittura in Italia. Il Novecento. 1900-1945, II, Milano 1993, p. 918 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 166.