CARNEVALI, Eutimio
Nacque a Pesaro l'8 sett. 1776 (come si ricava dalla documentazione archivistica e non tre anni dopo, come vorrebbero i suoi biografi ottocenteschi) da Pietro Antonio e da Anna Maria Fabbrini. Di origine sociale oscura, compì studi regolari, frequentando anche la facoltà di legge, a Roma. Ma non consta che conseguisse la laurea, probabilmente perché fu distratto dagli avvenimenti rivoluzionari.
La famiglia, composta di altri due fratelli e da unasorella che nel fervore giacobino depose l'abito monacale, sarà in grado negli anni del Regno d'Italia di soccorrerlo finanziariamente, permettendogli così di aspirare agli alti gradi della carriera negli uffici statali. Tuttavia le loro rendite, anche più tardi, resteranno modeste: qualche fondo nella campagna pesarese, nel Maceratese e nel Ravennate, più una cointeressenza in una società costituita nel 1810 per l'acquisto di caseggiati demaniali.
Avendo aderito fin dal 1797 alle idee rivoluzionarie, il C. si distinse subito nella municipalità democratica pesarese per il suo zelo patriottico, ottenendo l'incarico di pronunciare il discorso di inaugurazione del circolo costituzionale. Repubblicano intransigente, non risulta tuttavia che entrasse a far parte del partito dei "terroristi", in cui spiccava Federico Cavriani. Al principio del 1798 caldeggiò anzi con particolare foga l'alleanza fra la Cisalpina e la Francia, mostrandosi particolarmente consapevole dei limiti e della precarietà del movimento rivoluzionario nazionale (cfr. il Ragionamento sulla ratifica del trattato d'alleanza e di commercio tra la Repubblica Francese e Cisalpina e il Quadro dei patriotti, discorsi pronunciati entrambi nel circolo costituzionale durante l'anno 1798 e dati alle stampe per conto della municipalità [Pesaro 1798]).
Caduta la Pesaro democratica nel 1799 sotto i colpi delle bande degli "insorgenti", il C., che nel luglio dell'anno precedente aveva ricoperto per ultimo la carica di moderatore del circolo costituzionale, non patì, pare, alcuna rappresaglia. Poté anzi conservare l'impiego che aveva ottenuto nell'amministrazione comunale, a patto di astenersi da quel momento da ogni forma di attività politica. A partire dall'anno 1802 il C. entrò alle dipendenze del ministero dell'Interno della Repubblica Cisalpina, trovando impiego nella viceprefettura di Ravenna col grado e la qualifica di segretario aggiunto. Risulta dai suoi attestati di servizio che il C. compì in quegli anni un duro e delicato lavoro, date le condizioni ancora precarie degli uffici governativi periferici, poveri di personale. La sua competenza amministrativa gli venne riconosciuta nel 1806 con la promozione a prosegretario generale e il trasferimento nel dipartimento del Mella. Qui svolse anche funzioni di viceprefetto (Verolanuova), fu delegato aggiunto alla libertà della stampa e infine ebbe la promozione a caposezione presso la prefettura di Brescia. Fattosi notare dal ministro dell'Interno Ludovico di Breme, nel 1808 venne chiamato a Milano, dove si stava apprestando la riforma delle amministrazioni locali. Collaborò così con Benedetto Bono, nella Direzione generale dei comuni, alla compilazione del Codice dei podestà e sindaci (Milano 1811). Dopo essere stato insediato a capo di una sezione del ministero, il C. per ragioni oscure non ottenne altri avanzamenti di carriera e quando nel 1810 fece ogni tentativo per essere nominato assistente al Consiglio di Stato non venne praticamente preso in considerazione.
Con la medesima qualifica di caposezione restò in servizio fino al 1814, quando gli venne notificato il licenziamento in virtù delle nuove disposizioni sugli impiegati "forestieri". Grazie alle amicizie e alla sua anzianità di servizio negli impieghi statali, nel 1816 ottenne però facilmente di essere riabilitato dal papa. Fu anzi inviato in missione a Milano in occasione della delicata operazione di liquidazione del debito pubblico gravante sull'ex Monte Napoleone e subito dopo fu promosso ispettore alle ipoteche per le Marche. Trasferitosi a Macerata ebbe quindi l'ispettorato per tutto lo Stato pontificio e al culmine della carriera fu compensato per i suoi servizi col titolo di conte.
Nella Milano napoleonica il C., che si dilettava di poesia, era entrato a far parte di numerose accademie letterarie, senza tuttavia acquistare alcuna notorietà. Fin dal principio del secolo lavorava alla traduzione in versi sciolti de I Giardini dell'abate Giacomo Delille.
Per questa fatica non ottenne, come sperava, la dedica di Melzi d'Eril, ma nel 1810 fu ammesso a far parte del Collegio dei dotti, figurando nelle liste del dipartimento del Metauro. La traduzione fu stampata a Brescia nel 1808 dall'editore N. Bettoni, che il C. aveva conosciuto negli anni del suo impiego in quella città e col quale strinse poi duratura amicizia.
Il Bettoni nel 1812 gli commissionò la biografia di G. Filangieri per le Vite e ritratti d'illustri italiani (Padova-Milano 1812-20) e nel 1828 dedicò al C. la sua Ultima lettera tipografica da Milano, nella quale per altro discorreva soltanto delle proprie burrascose vicende editoriali. Autore anche, nel 1513, di un Omaggio dell'Italia alla Maestà di Napoleone I, in versi, il C. negli anni Venti e Trenta lasciò la poesia per gli studi economici, con i quali acquistò una certa notorietà in ambito provinciale.
Membro dell'Accademia dei Catenati di Macerata e degli Incolti di Cingoli, vi sostenne le teorie liberoscambiste, professandosi seguace della teoria della distribuzione di Jean-Baptiste Say (Se il commercio arricchisca alcune nazioni a danno delle altre, e se tutte ad un tempo le arricchisca, edito poi in Giornale Arcadico, 1828, t. 38, pp. 1-19; Sul ristagnodell'industria e del traffico, e sull'aumento dei poveri, ibid.1829, t. 41, pp. 1-16; Se e come si debba proteggere l'industria nazionale, ibid., 1830, t. 47, pp. 286-300 t. 48, pp. 3-15). Al C. è stato anche attribuito un articolo (siglato C.E.P.) comparso sull'Ape italiana nel 1823 (I, pp. 293-309) relativo alla mendicità. Ma gli unici interventi del C. su periodici di una certa importanza culturale sono l'articolo Sull'agricoltura italiana, in Giornale agrario toscano, 1839, t. 13, f. 52 e la sua continuazione Sulla antica agricoltura in Italia e sui nuovi metodi per migliorarla, in Giornale agrario lombardo-veneto, 1843, t. 20, pp. 3-28, nei quali, pur non negando validità alle innovazioni agronomiche, difendeva i sistemi di conduzione tradizionali. Il suo articolo del 1830 sull'industria nazionale venne anche favorevolmente recensito da G. Sacchi sugli Annali universali di statistica, 1831, t. 30, pp. 8-12.
Il G. morì a Macerata nel 1845, segretario della locale Società di agricoltura e industria, che aveva contribuito a promuovere.
Fonti e Bibl.: Pesaro, Bibl. Oliveriana, mss. 458 (v. II), 963, 966 (v. IV), 1549, 1762, 1899; Arch. di Stato di Milano, Autografi, 119;Ibid., Studi p.m., 285 e 296; Ibid., Ufficiregi p.m., 413 e 493; Ibid., Uffici regi p. spec.22; Almanacco reale per l'anno 1810, Milano s.d., p. 94; Giornale Italiano (Milano), 26 giugno 1812; Biographie des hommes vivants, I, Paris 1816-1817, p. 49; Biogr. degl'Italiani viventi, Lugano 1818, I, pp. 151 s.; F. Coraccini, Storia dell'amministraz. del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, p. LXXV; D. Diamilla Müller, Biografie autografe ed inedite di illustri Italiani di quosto secolo, Torino 1853, pp. 382-85 ; N. Bianchi, I Circoli costituz. durante la prima Repubblica cisalpina nella Romagna, nelle Marche e nell'Umbria, in Rass. stor. del Risorg., VI(1919), p. 407; S. Caponetto, Il giacobinismo nelle Marche. Pesaro nel triennia rivoluzionario, in Studia Oliveriana, X (1962), pp. 88 s., 93-97, 100.