ETNOGRAFIA
Pubblicare un’etnografia. Fare etnografia: l’evoluzione della metodologia di ricerca dell’antropologia culturale. Bibliografia
In termini generali, il termine etnografia indica la rappresentazione (in forma non solo testuale, ma anche museografica, audiovisiva e così via) dei fenomeni, delle dinamiche e dei contesti culturali che è al cuore della missione disciplinare dell’antropologia culturale. Gli antropologi culturali usano correntemente tale termine per riferirsi a due processi distinti, ma entrambi incentrati su attività di ‘inscrizione’, ‘interpretazione’ o ‘traduzione’ del flusso delle realtà sociali e culturali che prendono come oggetto di studio. In primo luogo, la parola rimanda alla prospettiva metodologica che questa disciplina adotta per costruire il proprio sapere, incentrata sulla ‘ricerca sul campo’: un periodo di esperienza diretta e condivisione del contesto culturale che si vuole comprendere (questo s’intende con l’espressione fare etnografia). In secondo luogo, indica il risultato di questo processo di ricerca: la descrizione dei suoi risultati, ossia la pubblicazione di un’etnografia.
Pubblicare un’etnografia. – L’etimologia del termine etnografia (dal greco èthnos «popolo, nazione» e gràphos «scrivo») rimanda all’ambizioso tentativo di produrre descrizioni capaci di rendere conto di ogni aspetto della dimensione culturale della vita di interi popoli. Fino alla metà del 20° sec., all’insegna del principio dell’olismo, l’antropologia culturale ha espresso questo sforzo nella pubblicazione di una serie di monografie etnografiche: volumi dedicati alla descrizione della vita sociale e culturale di singoli gruppi umani (delimitati di volta in volta, in termini non sempre espliciti, sulla base della definizione di confini ‘etnici’, geografici o politici). Il modello monografico era sorretto da una visione positiva della scienza antropologica come sapere cumulativo idealmente basato sulla possibilità di giungere a descrizioni ‘neutrali’ di realtà ‘oggettive’.
A partire almeno dagli anni Sessanta del Novecento, tuttavia, una serie di concause (tra le quali, in particola re, la decolonizzazione dei territori che avevano a lungo rappresentato il principale bacino di ricerca degli antropologi culturali, la cosiddetta ‘crisi della rappresentazione etnografica’, la diffusione di una prospettiva ‘postmoderna’ e la nascita dell’antropologia interpretativa e di quella femminista e di genere) hanno minato le certezze di stampo modernista e positivista della disciplina. Il processo di autocritica e riflessione che ne è derivato, centrato su questioni epistemologiche ed etiche, ha illuminato il carattere dialogico, intersoggettivo del sapere antropologico, le dimensioni politiche della ‘relazione etnografica’ (in particolare, l’esistenza di un consistente dislivello di potere sociale, economico e politico tra i detentori dell’‘autorità etnografica’ e gli ‘oggetti’ delle loro rappresentazioni), nonché l’autorialità e le retoriche della scrittura etnografica, spingendo la disciplina a significativi rinnovamenti teorici e metodologici.
Clifford Geertz, padre dell’antropologia interpretativa, ha ulteriormente contribuito a questo processo di trasformazione facendo della postura riflessiva (che assegna al ricercatore la responsabilità di serbare consapevolezza e di dare visibilità, nella restituzione del suo lavoro, alle condizioni e al peso della propria stessa presenza sul campo) un elemento chiave della ricerca e delle pubblicazioni etnografiche contemporanee. In questa prospettiva, l’etnografo rinuncia al tentativo di attribuirsi e restituire una prospettiva neutrale, impegnandosi piuttosto a descrivere i contesti culturali così come questi vengono co-costruiti anche dalla sua stessa presenza.
Anche la traduzione del tempo della ricerca in un eterno presente etnografico associata al modello monografico classico è stata oggetto di forti critiche, per la collocazione, che ne è derivata, di alcuni gruppi umani in una temporalità mai coeva a quella del ricercatore (J. Fabian, Time and the other. How anthropology makes its object, 1983; trad. it. Il tempo e gli altri. La politica del tempo in antropologia, 2000). Ne consegue che oggi anche l’individuazione di strategie per un’efficace restituzione delle diverse temporalità che caratterizzano l’esperienza e il sapere etnografici (basati su un periodo prolungato di ricerca applicata tanto al piano diacronico quanto a quello sincronico di fenomeni culturali in continua trasformazione e sulla pubblicazione dei suoi risultati, che difficilmente avviene subito a ridosso della sua conclusione) è cruciale per gli autori di opere etnografiche.
Il fermento che da tempo interessa le forme di restituzione dei risultati della ricerca etnografica non ha ancora prodotto un modello alternativo di pubblicazione stabile e condiviso quanto lo è stato quello della monografia classica, ma ha dato nuovo slancio e forza alle proposte alternative alla resa testuale e monologica del sapere etnografico. Sul primo fronte spiccano le proposte associate al rilancio e al rinnovamento di forme di rappresentazione multimediali, audiovisive e museografiche dei fenomeni culturali e, sul secondo, le pratiche collaborative finalizzate alla costruzione di opere etnografiche ‘polifoniche’. Al modello monografico e monologico si sono comunque diffusamente sostituite pubblicazioni incentrate su specifici temi, fenomeni e processi culturali, microculture, storie di vita, ma anche su ‘autoetnografie’ espresse da diversi attori sociali e/o dagli stessi antropologi.
Fare etnografia: l’evoluzione della metodologia di ricerca dell’antropologia culturale. – L’e. intesa come insieme di metodologie connesse alla ricerca sul campo ha iniziato a imporsi in ambito antropologico tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento del secolo scorso. A connotare da allora l’esperienza etnografica è in particolare l’osservazione partecipante, che richiede al ricercatore di condividere le attività della vita quotidiana del gruppo umano che si pone come oggetto di analisi, al fine di giungere a riconoscere il «punto di vista del nativo», la sua «visione del mondo» (B. Malinowski, Argonauts of Western Pacific, 1922; trad. it. 1973), pur conservando la distanza necessaria a formulare analisi più ampie, anche comparative, e comunque ulteriori rispetto a quelle prodotte dagli stessi attori sociali. A questo centrale processo di condivisione di contesti ed esperienze di vita è associata una serie di tecniche di documentazione fondate sul dialogo (intervista etnografica e rilevamento di storie di vita in primis) e la scrittura (note e diario di campo) che sempre più spesso ispirano le metodologie di diverse altre discipline, in particolare quelle della sociologia e della psicologia.
Gli oggetti, la metodologia, l’epistemologia e l’etica dell’e. intesa come ricerca sul campo sono però in continua evoluzione. In questi ultimi anni, in particolare, la ricerca etnografica: 1) si sforza di rispondere alla sempre più evidente interconnessione dei fenomeni e degli attori culturali e al respiro globale di entrambi, avendo ormai superato una visione del terreno di ricerca inteso come ‘località’ dai confini stabilmente e/o implicitamente delimitabili (sulla base di confini ‘etnici’, geografici o politici) e basandosi piuttosto su strategie di costruzione del ‘campo’ capaci di assecondare la mobilità nello spazio dei propri oggetti di indagine e di rendere conto del carattere ‘multisituato’ dei fenomeni e dei processi culturali (G.E. Marcus, Ethnography through thick and thin, 1998); 2) è sempre più spesso applicata, più che all’analisi di interi sistemi di vita, a quella di specifici e puntualmente situati (nel tempo e nello spazio) temi, processi e fenomeni culturali; 3) si applica normalmente anche a contesti urbani occidentali; 4) esplora contesti virtuali, almeno a partire dalla pubblicazione del volume del 2008 di Tom Boellstorff intitolato Coming of age in Second life. An anthropologist explores the virtually human, basato su un lavoro di ricerca etnografica incentrato sulla condivisione della vita di una comunità virtuale; 5) comincia a fare uso, nel dialogo con gli attori sociali, anche delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (somministrando questionari e condividendo primi risultati, analisi e ipotesi di ricerca con i suoi oggetti via posta elettronica, ambientando interviste etnografiche in rete, comunicando attraverso i social network e così via); 6) è sempre più condizionata dalla centralità della dimensione etica della ricerca per cui, in particolare, non può prescindere dall’acquisizione del consenso informato da parte delle persone interessate dal processo di ricerca e si basa sulla costruzione di una relazione etnografica fondata sulla fiducia reciproca e sull’aspettativa di una qualche forma di ‘restituzione’ dei suoi risultati agli attori sociali che ha interessato; 7) considera diffusamente il lavoro etnografico come uno sforzo collaborativo, un processo di interpretazione condiviso con gli stessi attori sociali; 8) vede infine il ricercatore sempre più spesso assumere anche il ruolo di sostenitore dei diritti dei suoi interlocutori sul ‘campo’.
Bibliografia: Etnografia. Scritture e rappresentazioni dell’antropologia, a cura di U. Fabietti, V. Matera, Roma 1997; Handbook of ethnography, ed. P.A. Atkinson, A. Coffey, S. Delamont et al., London 2001; L. Piasere, L’etnografo imperfetto, Roma-Bari 2002; Incontri etnografici. Processi cognitivi e relazionali nella ricerca sul campo, a cura di C. Gallini, G. Satta, Roma 2007; Tra casa e bottega. Passioni da etnografo, a cura di V. Padiglione, Roma 2007; Fieldwork is not what it used to be. Learning anthropology’s method in a time of transition, a cura di J.D. Faubion, G.E. Marcus, Ithaca-London 2009; Vivere l’etnografia, a cura di F. Cappelletto, Firenze 2009; Etnografi in famiglia. Relazioni, luoghi e riflessività, a cura di V. Padiglione, S. Giorgi, Roma, 2010; La ricerca sul campo in antropologia. Oggetti e metodi, a cura di C. Pennacini, Roma 2010; P. Clemente, Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita, Ospedaletto 2013; F. Remotti, Fare umanità. I drammi dell’antropo-poiesi, Milano 2013.