ESQUILINO
. Uno dei colli di Roma. Il nome nasce come aggettivo di Esquiliae, e quindi nell'età più antica non si trova mai solo, ma riunito con un sostantivo: collis, mons, lucus, forum, porta. Soltanto nell'Impero acquista il significato di sostantivo, e viene a comprendere tutte le sommità di cui era composta la regione, cioè l'Oppius, dove sono oggi la R. Scuola d'ingegneria e il parco che conserva il nome antico, il Cispius, dove sorge la basilica di S. Maria Maggiore, e l'Esquilino propriamente detto, cioè il pianoro che si stende fra la basilica suddetta e S. Giovanni in Laterano; il Fagutal, così detto da un bosco di faggi, è talvolta considerato come un'altura a sé, talvolta come una parte del colle Oppio, e cioè come il suo sperone occidentale, nel luogo dove ora è la basilica di S. Pietro in Vincoli.
Nell'età repubblicana il Cispio e l'Oppio erano dentro la cinta serviana, mentre il resto era fuori, e ciò ha fatto pensare ad alcuni che il nome di Esquilinus possa derivare da ex-colere: "colui che è fuori dell'abitato" in contrapposizione con inquilinus "colui che abita dentro". Altri, con più ragione, hanno messo in relazione Esquiliae, e quindi Esquilinus, con Urbiliae e Cutiliae, riconoscendovi un nome derivato di città e immaginando così un pagus distaccato dalla primitiva città palatina. Comunque, questo luogo fino all'età di Augusto fu considerato come extraurbano, e perciò fu adibito a sepoltura dei poveri come campo comune (cfr. Hor., Sat., I, 8). Il Lanciani osserva che la zona destinata ai puticoli, o fosse sepolcrali, non costituiva che una piccola parte di quella vastissima necropoli che dal campus Viminalis sub aggere giungeva fin presso l'anfiteatro castrense. Con l'ingrandirsi della città, la necropoli venne a trovarsi in mezzo all'abitato, cosicché, oltre ad essere poco igienica, essa ostacolava lo sviluppo della città; Mecenate, ottenuto il terreno da Augusto, iniziò una vasta opera di bonifica, ricolmando la zona malsana con uno spesso strato di terra, e al disopra piantò i suoi famosi giardini.
Altri ricchi signori e liberti seguirono il suo esempio, e così furono fondati poco dopo i giardini Maiani e i Lamiani, nella zona tra le vie Labicana e Merulana; quelli di Torquato, presso la Porta Maggiore; quelli di Statilio Tauro (senatore sotto Claudio) presso la chiesa di S. Eusebio; quelli di Epafrodito e di Pallante, liberti di Nerone, tra la Porta Maggiore e l'Arco di Santa Bibiana, forse gli stessi che passarono nel secolo III in proprietà dell'imperatore Licinio Gallieno; e quelli Variani, parte dentro e parte fuori delle mura di Aureliano, fra la Porta Maggiore e la basilica di S. Giovanni in Laterano, dove Sant' Elena fissò la sua dimora nel Palatium Sessorianum (v. sotto).
Nella grande villa, che entrò a far parte del fisco imperiale forse già al principio del secolo II d. C., esisteva un piccolo anfiteatro, oggi ancora in parte visibile presso la basilica di S. Croce in Gerusalemme, incorporato nelle mura di Aureliano; una grande aula fu trasformata da S. Elena nella basilica suddetta; v'erano ancora uno stabilimento termale restaurato dalla stessa madre di Costantino, e un circo, o ippodromo, sulla spina del quale sorgeva l'obelisco che Pio VII portò ad ornamento del Pincio. Degli altri giardini poche rovine rimangono in piedi: il grande ninfeo, erroneamente detto Tempio di Minerva Medica, che fece parte della villa di Gallieno, opera celebrata per la costruzione caratteristica della vòlta e per la pianta singolare; il cosiddetto Auditorio di Mecenate ritenuto dal Mau, a causa delle sue decorazioni, una serra di fiori; e i cosiddetti Trofei di Mario, nella piazza Vittorio Emanuele, che sono forse una mostra dell'acqua Giulia, a ornamento della quale erano quei trofei collocati poi da sisto V sulla balaustra della piazza del Campidoglio. Non tutta la necropoli, però, fu nell'Impero ricoperta; la parte meno popolare, che si svolgeva a sud e a est del campo comune, fra la piazza Vittorio Emanuele e la porta Maggiore, dove erano i sepolcri dei liberti di alcune famiglie signorili, fu rispettata e rimase in efficienza per tutto l'Impero; gli scavi eseguiti in varie epoche hanno condotto alla scoperta dei grandi colombarî degli Arruntii, degli Statilii e dei Clodii, e recentemente del sepolcro degli Aurelii, oltre a molti altri sepolcri minori.
Nonostante i numerosi giardini ricordati e il cimitero pubblico, l'Esquilino era il quartiere più popolato della città, comprendendo 3859 insulae e 380 domus, ripartite in 15 vici: aveva inoltre 15 edicole di divinità, 26 magazzini di generi commestibili, 75 bagni, 74 fontane e 15 pistrina. Era attraversato da tre grandi strade che partivano a raggiera dalla Porta Esquilina (oggi arco di Gallieno): la Via Tiburtina, la Via Labicana, che, giunta sotto la Porta Maggiore, si divideva in due rami, uno dei quali raggiungeva Labico e l'altro, per Gabi, Preneste; infine la via rappresentata dalla moderna Via Labicana, di cui ignoriamo il nome antico, che congiungeva il Colosseo col Laterano. L'Esquilino era la regione più ricca di acque, perché di qui entravano in città i principali spechi, che conducevano l'acqua a Roma. Nella località detta ad Spem Veterem, da un antico tempio della Speranza, ben sette acquedotti s'incrociavano, alcuni sotterranei, come l'aqua Appia e l'Anio Vetus, altri sopra terra, in manufatti ad archi, come la Marcia, la Tepula, la Iulia, la Claudia e l'Anio Novus.
Tra gli edifici pubblici va ricordata la Domus aurea di Nerone, eretta dopo l'incendio neroniano in sostituzione della Domus transitoria, immensa villa che occupava tutto il colle Oppio, il Fagutale, e buona parte del Palatino e del Celio. Vespasiano ne demolì una parte e Traiano la soppresse interamente, innalzandovi al disopra le nuove terme, di cui si ammirano avanzi nella Villa Brancaccio, nel giardino della Scuola di ingegneria e nell'attiguo parco comunale; anche del palazzo neroniano si conservano notevoli avanzi al disotto del parco suddetto, i quali permettono di ricostruire quasi tutta la pianta del fabbricato, consistente in un rettangolo allungato, diviso in due parti eguali da un grande atrio trapezoidale.
L'edificio era perfettamente orientato da nord a sud, col fronte a mezzogiorno; la parte occidentale era destinata all'abitazione dell'imperatore e della sua corte, e vi si distinguono due appartamenti simmetrici, fra i quali, al centro, si apriva un porticato. La metà orientale aveva una forma più irregolare, ed era destinata alle cerimonie ufficiali. Sappiamo che gli architetti della Domus aurea furono due romani: Severo e Celere, e il decoratore fu un certo Fabullo o Famulo, pure romano.
Sulla sommità dell'Oppio era il Portico di Livia, famoso per le preziose opere d'arte che ne adornavano gli ambulacri e per i giardini che circondavano il tempio nel centro; sulle pendici meridionali erano i castra Misenatium, cioè la residenza del distaccamento di marinai della flotta misenate, incaricati della manovra del velario nel Colosseo; infine sulle pendici orientali sorgevano il tempio di Iside e Serapide, e il ludus magnus, grande edificio di forma ellittica, destinato a palestra. Il Cispio era piuttosto occupato da abitazioni private; abbiamo tuttavia ricordo di un tempio dedicato a Giunone Lucina, presso l'angolo formato dalla via Giovanni Lanza con la via dei Quattro cantoni; dei bagni di Nerazio Ceriale, console nel 358 d. C.; della famosa basilica di Giunio Basso, trasformata poi in chiesa cristiana da papa Simplicio, e dedicata al nome di S. Andrea (468-483), e di altri edifici minori il cui luogo non si può bene identificare, come l'aedes Mefitis, il lucus Poetelius, i castra fontanorum, ecc. Va ricordata infine la scoperta dei celebri affreschi con le scene dell'Odissea (ora nel Museo Vaticano), avvenuta fra i resti di un'antica casa nella Via Graziosa presso via Cavour, nel 1845, e quella dell'ara di Mercurio Sobrio nella Via di S. Martino ai Monti, dove è ancora visibile nelle cantine del palazzo segnato col n. 8.
Bibl.: H. Jordan-Ch. Huelsen, Topographie der Stadt Rom in Altertum, III, i, Berlino 1907, p. 342 segg.; R. Lanciani, Ruins and Excavations of ancient Rome, New York-Boston 1897, passim; S. B. Platner-Th. Ashby, A topographical Dictionary of ancient Rome, Oxford 1929, p. 202 segg.; E. De Ruggiero, Diz. Epigr. di Antich. Romane, s. v. Esquiliae e Esquilinus.
L'Esquilino cristiano e medievale. - Il ricordo della prima età cristiana nella regione è consegnato ai titoli di Equizio e Silvestro e di Eusebio. Sotto la chiesa di S. Martino ai Monti si notano tuttora i resti di un'abitazione romana, circa del sec. III d. C., che forse accolse una parte della comunità locale al tempo delle persecuzioni. Il praedium Equitii, ricordato dal Liber Pontificalis, è certo questo palazzo. Ma il detto Liber attribuisce a S. Silvestro la fondazione vera e propria del titulus. L'oratorio dedicato a S. Silvestro si costrui a un livello superiore: sue tracce possono rinvenirsi fin dal secolo V. Alcuni resti pittorici (secoli VIII-IX) sono visibili nella cripta (già titolo di Equizio). Accanto a questo gruppo fu eretta la basilica di S. Martino di Tours le cui notizie risalgono al pontificato di Simmaco (498-514). Essa si è conservata, pure assai trasformandosi, specie dal sec. XVI a oggi. Presso questo insieme monumentale è anche il resto di un monastero le cui origini sono molto antiche, se pure nelle vestigia attuali è difficile scorgere murature che risalgano più in là del sec. IX.
Il titolo di Eusebio, già ricordato in un'epigrafe cemeteriale del 474, ha una menzione nel Martirologio Geronimiano, dove si accenna al conditor tituli, Eusebio. La basilica attuale (che deve nascondere al disotto i resti del titolo primitivo) ha la data di riconsacrazione del 1238. Alcune pitture del sec. XIII sono oggi scomparse. Dovremmo anche ricordare un terzo titolo, quello di Prassede. Esso è ricordato fino dal sec. V in epigrafi e in sottoscrizioni conciliari. Poiché la basilica attuale non presenta alcuna traccia anteriore a Pasquale I (817-824) e il Liber Pontificalis dice che questo Papa eresse la basilica in alium non longe demutans locum, resta il problema di conoscere ove fosse questo più antico centro di culto. Nella basilica odierna è notevolissima la decorazione musiva dell'abside e dei due archi trionfali (uno avanti al transetto) dovuta a Pasquale I. Egli pure fece costruire lo stupendo oratorio di S. Zenone. Sotto l'altar maggiore della basilica si apre una cripta ove furono deposte reliquie di martiri tratte dai cimiteri suburbani. Molte opere d'arte del basso Medioevo, del Rinascimento, dell'età barocca adornano questa chiesa insigne, che già fu avvicinata da un chiostro e dalle turrite dimore dei Frangipani.
Una basilica, in cui sono tuttora tracce evidenti della primitiva costruzione costantiniana, è quella di S. Croce in Gerusalemme. Essa si trova nell'ambito del palazzo imperiale detto Sessorium, ove risiedeva S. Elena, madre di Costantino. Questo palazzo dovette ricevere una parte cospicua del lignum crucis, e forse un oratorio a più basso livello, oggi trasformato, può rappresentare la traccia di un'aula antecedente alla basilica in cui fu depositata la preziosa reliquia. Tutto, del resto, attende un chiarimento da scavi. La basilica fu decorata nel sec. V, ai tempi di Valentiniano III. Durante il Medioevo la basilica Heleniana o Sancta Hierusalem, che aveva originariamente una sola navata, venne scompartita in tre navate (età di Lucio II); il restauro di Benedetto XIV (1743) ridusse la chiesa allo stato attuale. La reliquia del titulus crucis fu ritrovata nei lavori del 1492; dopo questa epoca la chiesa ebbe notevoli abbellimenti.
L'Esquilino può vantare anche una basilica dedicata agli apostoli Pietro e Paolo, già sin dal sec. IV. Vi si venerò assai per tempo la reliquia delle catene di S. Pietro, che secondo alcuni sarebbe venuta da Gerusalemme. Ma può darsi che il centro di culto sia collegato al ricordo della prossima prefettura urbana, ove era il tribunale ordinario davanti a cui si svolgevano le cause dei martiri. La basilica Apostolorum, di cui un presbyter sottoscrive al concilio d'Efeso del 431, fu ricostruita sotto Sisto III (432-440) col concorso dell'imperatrice Eudossia, consorte di Valentiniano III (onde il nome di titulus Apostolorum in Eudoxia o ad Vincula). Fu trasformata nel Rinascimento e più nell'età barocca.
Un interessante esempio di basilica privata pagana, forse del sec. IV, donata e trasformata per gli usi cristiani, era quello della chiesa di S. Andrea Catabarbara Patricia, distrutta fra il sec. XVI e il XVIII, sì che ora a fatica se ne sono riconosciute alcune fondazioni sotto l'ex-ospedale di S. Antonio. Restano in varie collezioni (Museo Capitolino e palazzo Del Drago) alcune delle tarsie marmoree con soggetti profani, che l'adornavano. Questo edificio, eretto dal console del 317 Giunio Basso, era posseduto da un nobile goto, Flavio Valila, che lo donò a papa Simplicio (468-483); questi lo ridusse a basilica. Vicino fu eretta nel Medioevo una chiesuola con un ospedale dedicata a S. Antonio.
Ma la basilica più importante dell'Esquilino è quella di S. Maria Maggiore. Riguardo alle sue origini, si pensa tuttora alla basilica liberiana: la tarda leggenda ha colorito la figura di un patrizio Liberio che, su ispirazione della vergine, avrebbe eretto una basilica nel luogo ove era caduta in agosto una neve miracolosa. Ma è stato già notato che l'inciso sulla basilica Liberii è nel Liber Pontificalis applicato a S. Maria Maggiore soltanto nella redazione più recente. Interessante il fatto che questa basilica di Liberio sarebbe dovuta stare iuxta macellum Libiae, e il mercato di Livia era non lungi di qui, ma non proprio vicino. Più interessante l'altro accenno del mons superagius, che è la sommità del colle su cui si eleva la basilica: sui fianchi di questo colle sorgevano infatti i resti dell'aggere Serviano. In realtà la basilica (come appare dall'unità delle sue strutture originarie), dovette essere costruita tutta da Sisto III, che la decorò con stupendi mosaici di cui restano quelli dell'arco trionfale (esaltanti la Madre di Dio) e parzialmente quelli delle pareti laterali della nave media raffiguranti scene bibliche. Il mosaico absidale è del tempo di Niccolò IV: rappresenta l'Incoronazione della vergine ed è opera di Iacopo da Torrita. Anche del sec. XIII è il mosaico della facciata che narra la storia di Liberio patrizio: è opera di Filippo Rusuti. In questa basilica furono per tempo venerate le reliquie della Natività, come ad es. il cunabulum Domini, onde il nome del Presepe si aggiunse in alcuni documenti all'appellativo della basilica. Al Medioevo appartengono il pavimento cosmatesco (molto rifatto), le pitture a fresco del sec. XIII-XIV, di cui esistono vestigia nel transetto (opera di un cavalliniano, forse), l'altissimo campanile costruito intorno al 1377 (sotto Gregorio XI), il portico di facciata, precedente all'attuale, eretto da Eugenio III. Il Rinascimento e il Barocco diedero ancora stupende opere alla basilica (v. roma). Molto venerata è una icone bizantina della Vergine di datazione assai incerta, tanto da oscillare fra il sec. IX e il XIII.
Altri minori (ma sempre assai antichi e importanti) centri di culto dell'Esquilino sono la diaconia dei Ss. Vito, Modesto e Crescenzia e la chiesa di S. Bibiana presso la porta Tiburtina. Molte chiese insigni e monasteri sono da tempo scompami (si cita il monastero di S. Lucia Renati presso i cosiddetti Trofei di Mario, ricordato dai Dialogi di Gregorio Magno).
V. tavv. XLIX e L.
Bibl.: Per la basilica dei Ss. Silvestro e Martino: A. Silvagni, in Archivio della R. Società Romana di Storia patria, XXXV (1912). - Per S. Eusebio: L. Duchesne, in Mélanges de l'Éc. franç. de Rome, VII, 1887, p. 223; F. Lanzoni, in Rivista di Archeol. crist., 1925, pp. 241-243. - Per S. Prassede: P. Fedele, in Arch. Soc. rom. st. p., XXVII (1904), p. 27 segg.; XXVIII (1905), p. 41 segg.; A. Muñoz, in Dissertaz. Pont. Accad. rom. di Archeol., serie 2ª, XIII, 1918, p. 126 segg. - Per S. Croce in Gerusalemme: S. Ortolani: S. C. in Ger., Roma s. a.; G. Biasiotti e S. Pesarini, in Studi Romani, I, iv, p. 264 segg.; B. Bedini, Le reliquie sessoriane della Passione del Signore, Roma s. a. - Per S. Pietro in Vincoli: [H. Grisar], in Civiltà Cattolica, serie 17ª, III, 1898, pp. 205-221; O. Marucchi, Basiliques et églises de R., 2ª ed., Roma 1909, pp. 311-319. - Per S. Andrea Catabarbara: O. Marucchi, Basiliques, pp. 337-342; L. Duchesne, in Mélanges de l'École franç. de Rome, XXVII, 1907, p. 487 segg.; Ch. Huelsen, nell'ediz. del Libro di Schizzi di Giuliano da Sangallo, Lipsia 1910, testo, p. 47. - Per S. Maria Maggiore: G. Biasiotti, La Basilica esquilina di S. Maria e il palazzo apostolico apud S. Mariam Maiorem, Roma 1911; id., in Bollettino d'Arte del Min. P. I., serie 1ª, 1915, pp. 20-32 e 136-148; id., in Mélanges de l'Éc. fr. de R., XXXV, 1915, pp. 15-40; E. Lavagnino e V. Moschini, Santa Maria Maggiore, Roma s. a. - Per tutte queste e le altre chiese, v. pure: Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma, Firenze 1927, passim.