VERZI, Ernesto
VERZI, Ernesto. – Nacque a Firenze il 4 marzo 1872 da Liberale e da Maddalena Malenotti.
Iniziò a lavorare in giovane età come operaio meccanico e incisore di metalli; entrò così in contatto con il mondo dei metallurgici, una delle categorie più influenti nel nascente sindacato. L’impegno nel movimento operaio si sviluppò con il suo trasferimento a Roma, dove visse insieme alla sua famiglia, composta dalla moglie Erminia De Clemente e da tre figli. Nella capitale fu attivo anche come militante del Partito socialista italiano. Di orientamento riformista, con una condotta sempre improntata alla moderazione, strinse forti legami anche con la corrente ‘sindacalista’ locale, in particolare con Giuseppe Parpagnoli e Romolo Sabatini.
Il nome di Verzi è legato indissolubilmente alla Federazione italiana operai metallurgici (FIOM), costituita al Congresso di Livorno (16-18 giugno 1901) e di cui fu il primo leader, fino al 1907. Si affermò subito come il dirigente più autorevole della FIOM. A lui, infatti, toccò la relazione introduttiva (Costituzione della Federazione nazionale), nella quale mise in guardia soprattutto dal pericolo di frammentazione del proletariato, a causa della diffusione delle piccole imprese; a tale proposito insisté sulla necessità di agire non solo nel campo della resistenza, ma anche della cooperazione. A Livorno svolse anche la relazione sul Progetto di Statuto federale, da cui emergeva la volontà di dare vita a un’organizzazione centrata sull’operaio qualificato, capace di guidare le lotte, migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche attraverso i concordati e contribuire allo sviluppo della legislazione sociale. Tuttavia, la notevole eterogeneità della categoria, i diffusi atteggiamenti corporativi, l’accentuato spontaneismo delle sezioni locali, insieme all’inevitabile reazione del mondo imprenditoriale, costrinsero la FIOM sulla difensiva. Così, come ammise lo stesso Verzi nella Relazione morale e finanziaria presentata al II Congresso di Milano (17-20 maggio 1903), il bilancio dell’attività federale era insoddisfacente. Il problema principale, per il sindacalista, andava imputato all’indisciplina degli operai dequalificati e di gran parte delle camere del lavoro. Perciò occorreva centralizzare le decisioni e unificare i lavoratori su battaglie generali, come per esempio per la riduzione dell’orario a nove ore giornaliere.
Nonostante l’esito negativo dello sciopero generale di Roma del 1903 (al quale Verzi, nonostante la contrarietà iniziale, aveva poi partecipato in nome dell’unità operaia), nei mesi seguenti, senza mai rinunciare ai metodi riformisti, continuò a dialogare con alcuni ambienti rivoluzionari, costruendo un’inedita convergenza con il gruppo di Enrico Leone, per dare vita a un sindacalismo ‘puro’, che potesse essere insieme riformista e rivoluzionario. Il disegno mirava a realizzare una sorta di ‘via italiana al laburismo’, basata su tre obiettivi: l’affermazione del primato dell’organizzazione operaia sul partito, l’elaborazione di un autonomo programma politico da parte sindacale e il riconoscimento dell’egemonia delle federazioni. Il momento di maggiore visibilità del progetto si ebbe al congresso operaio di Genova del 1905; tuttavia, l’ostilità di diversi ambienti politici e sindacali (sia riformisti sia rivoluzionari) fece tramontare presto l’ambizioso piano.
A quel punto fu proprio Verzi a spiazzare i suoi interlocutori proponendo, all’inizio del 1906, la sostituzione del Segretariato centrale della resistenza (fondato nel 1902 per dirimere i contrasti tra federazioni e camere del lavoro) con un nuovo soggetto, la Confederazione del lavoro, incaricata di dirigere l’insieme del movimento. Iniziò così per il leader della FIOM un anno intenso, al centro della scena sindacale (tanto che il ministero degli Interni iniziò a schedarlo proprio allora). Membro del Consiglio superiore del lavoro dal 1903 al 1906, fu dunque tra i dirigenti più impegnati nella preparazione del I Congresso della Confederazione generale del lavoro (CGdL) tenutosi a Milano (29 settembre-1° ottobre 1906); in quell’assise tenne la relazione introduttiva, in cui, pur ribadendo i cardini del sindacalismo riformista, auspicò un confronto costruttivo con i ‘sindacalisti’ sulla base della comune critica al capitalismo. Tuttavia, la ferma volontà del gruppo dirigente riformista di rompere con il fronte rivoluzionario fece fallire l’ipotesi unitaria. Verzi, comunque, entrò a far parte del direttivo confederale, ricevendo l’incarico di seguire, insieme ad altri, i complessi rapporti con i partiti (in particolare con il Partito socialista italiano).
Pochi giorni dopo compiva un nuovo ‘capolavoro’ sindacale: il 27 ottobre, infatti, la FIOM firmò con la ditta Itala di Torino il più importante contratto collettivo dell’età giolittiana. L’accordo fissava i minimi salariali, stabiliva l’orario giornaliero di dieci ore, riconosceva la commissione interna, escludeva il ricorso allo sciopero (economico) e impegnava il sindacato, tramite un suo ufficio di collocamento, a fornire la manodopera all’azienda; in cambio, la Federazione doveva versare una cauzione a garanzia degli impegni presi. Tuttavia, dopo pochi mesi, a causa di alcuni scioperi e dell’irrigidimento aziendale, la situazione precipitò. Verzi, che nel frattempo era stato confermato al vertice della FIOM (III Congresso di Bologna, 29 settembre-2 ottobre 1907), non riuscì a gestire la controversia giuridica innescata dalla scelta dell’Itala di rescindere il contratto con la motivazione ufficiale del mancato versamento della cauzione; in realtà, il problema di fondo nasceva dall’incapacità del sindacato di impedire i conflitti operai. Infatti, al di là delle accuse di rapporti opachi con l’azienda torinese (che vennero soprattutto da ambienti del Partito socialista, ma che egli rigettò in modo sdegnato), Verzi fu sconfitto soprattutto sul terreno sindacale: da un lato, i vertici della CGdL non tolleravano più i suoi rapporti con i rivoluzionari romani; dall’altro, stava perdendo forza un modello sindacale elitario, certamente capace di introdurre elementi di modernizzazione nelle relazioni industriali, ma ancora troppo ancorato al vecchio sindacato di mestiere. Verzi, in una lettera a Rinaldo Rigola del 19 ottobre 1907, attribuì tutte le colpe ancora una volta all’indisciplina operaia; il segretario della CGdL tuttavia, preoccupato per la disputa giudiziaria con l’Itala, lo indusse alle dimissioni. In questo modo il suo libro I metallurgici d’Italia nel loro sindacato, pubblicato a Roma proprio nell’autunno del 1907, divenne di fatto una sorta di ‘testamento’.
Nel volume l’autore ricostruiva la storia sindacale dei metallurgici, sosteneva il valore decisivo dell’organizzazione, affrontava il nodo delicato degli scioperi e indicava la strategia da seguire per contrastare il capitalismo. Il libro rappresentava un vero e proprio manifesto del sindacalismo riformista, razionale e pragmatico, ma anche corporativo e tecnocratico, limitato a settori ristretti della classe operaia.
Dal 1908 le notizie su Verzi diventano frammentarie. Secondo fonti di polizia svolse ancora qualche comizio tra Roma e provincia, intrattenendo sporadici rapporti amicali con vecchi compagni. Di fatto si ritirò dalla scena pubblica, cambiando totalmente vita e stabilendosi infine in provincia di Siena, dove gestì un’azienda agricola. Con il fascismo al potere, nonostante il ritiro dall’attività politica, continuò a essere schedato per il suo passato militante; inoltre, in alcune segnalazioni degli anni Venti gli furono attribuite «tendenze massoniche». In ogni caso, poiché la vigilanza gli procurava non pochi problemi nell’attività economica, il 12 aprile 1933 decise di scrivere una lettera a Benito Mussolini; nella missiva, pur prendendo le distanze dal passato socialista, non negava il suo lontano impegno sindacale, ma rivendicava di non aver mai agito contro il fascismo. Qualche giorno dopo, con l’avallo del duce, veniva «radiato» dal Casellario politico centrale.
Morì a Roma il 26 maggio 1939.
Opere. Relazione morale e finanziaria del Comitato centrale, Roma 1903; Per una Confederazione del lavoro, in Avanti!, 11 febbraio e 25 febbraio 1906 (con C. Rossi); Congresso nazionale della resistenza, in La Confederazione del lavoro, nn. 10 e 11, 15 e 22 febbraio 1907; I metallurgici d’Italia nel loro sindacato, Roma 1907 (riedito nel 2001 per il centenario della FIOM, a cura di P. Boni, e nel 2008 per il centenario della CGIL, a cura di M. Antonioli); Relazione delle modificazioni allo statuto federale, Roma 1907 (con C. Rossi).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Casellario politico centrale, b. 5386; Documenti sequestrati alla sede centrale della FIOM a Torino 1901-1925, bb. 9-12.
La Confederazione generale del lavoro negli atti, nei documenti, nei congressi 1906-1926, a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad ind.; I. Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo, II, La Cgdl, Firenze 1973, ad ind.; A. Andreasi, V. E., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, V, T-Z, Roma 1978, pp. 220 s.; La FIOM dalle origini al fascismo 1901-1924, a cura di M. Antonioli - B. Bezza, Bari 1978, ad ind.; P. Boni, FIOM. Cento anni di un sindacato industriale, Roma 1993, ad ind.; A. Pepe, La Cgdl e l’età liberale, Roma 1997, ad ind.; P. Mattera, Le radici del riformismo sindacale. Società di massa e proletariato alle origini della Cgdl (1901-1914), Roma 2007, ad ind.; M. Antonioli, Alle origini della Federazione italiana operai metallurgici. Il sindacato di E. V. (1901-1907), in E. Verzi, I metallurgici d’Italia nel loro sindacato, Roma 2008, pp. 7-65; D. D’Alterio, La capitale dell’azione diretta. Enrico Leone, il sindacalismo “puro” e il movimento operaio italiano nella prima crisi del sistema giolittiano (1904-1907), Trento 2011, ad ind.; F. Loreto, Sindacalismi, sindacalismo. La rappresentanza del lavoro in Italia nel primo Novecento: culture, figure, politiche (1900-1914), Roma 2015, ad indicem.