ROSSI, Ernesto
– Ultimo di cinque figli maschi (Emilio, Egidio, Eugenio ed Enrico), nacque a Livorno il 29 marzo 1827, da Giuseppe, ex ufficiale napoleonico divenuto commerciante di legname, e Teresa Tellini. Insieme ad Adelaide Ristori e a Tommaso Salvini fu uno dei grandi attori del teatro italiano dell’Ottocento ma, a differenza degli illustri colleghi, non era figlio d’arte. Studiò con i padri barnabiti al collegio di San Sebastiano, nel quale organizzava con i compagni recite per diletto. Una precoce passione per il teatro lo spinse a recitare nelle compagnie filodrammatiche livornesi, accettando qualsiasi parte e diventando un generico di «primo cartello» (Rossi, 1885, p. 59). Terminato il liceo, il padre, avverso alle smanie teatrali del figlio, premeva affinché si iscrivesse all’Università di Pisa per studiare da avvocato. Riuscì tuttavia a farsi scritturare nella compagnia Calloud come primo amoroso, dopo avervi debuttato nella parte del Barone nel Ventaglio di Carlo Goldoni, e in quella di Paolo in Francesca da Rimini di Silvio Pellico, sostituendo un attore malato.
L’arrivo in compagnia di Gustavo Modena rivelò al giovane Rossi un nuovo stile che coniugava il «bello» e il «vero» nell’arte scenica (Rossi, I, 1887, p. 40). Modena infatti fu paladino di una recitazione che prendeva le distanze sia dalla declamazione neoclassica della generazione alfieriana, sia dalle convenzioni sceniche dei comici professionisti. I due anni passati nella stessa compagnia influenzarono profondamente l’arte di Rossi, che raccolse i primi successi recitando accanto al maestro d’elezione nei drammi di Vittorio Alfieri Oreste, nel ruolo eponimo, e Saul, nel ruolo di David. Specialmente nell’Oreste seppe disegnare un personaggio ancorato alla dimensione umana, vittima di emozioni violente e imprevedibili, suscitando l’approvazione di pubblico e critica e soprattutto l’apprezzamento di Modena. Il giovane attore si distingueva per eleganza, avvenenza, e per una recitazione appassionata in grado di passare con facilità dai registri tragici a quelli comici, grazie ai suoi talenti da generico.
Come Modena, fu un attore patriota. Nel 1848 prese parte alle Cinque giornate di Milano, ma ben presto, e a differenza del maestro, abbandonò l’impegno politico. Rimasto senza una scrittura (Modena aveva sciolto la compagnia per partecipare ai moti), si unì alla compagnia Moncalvo, dove incontrò il caratterista «spigliatissimo» Giovanni Leigheb (Rossi, 1885, p. 81), con il quale fondò una compagnia attiva fino al 1851. Rossi rivestiva i ruoli di primattore e direttore, mentre Leigheb quelli di brillante e amministratore.
Nel 1852, lasciò il «socio di piaceri e sventure» (Rossi, I, 1887, p. 58) per unirsi alla celebre Reale Sarda, compagnia «stabile e primaria» sostenuta dal governo con un sussidio annuo di 25.000 lire. Firmò un contratto da primattore con paga annua di 5500 lire. Raggiunta una certa agiatezza, Rossi sposò la mantovana Evelina Pellegrini, che gli restò accanto fino alla morte e dalla quale ebbe due figli: Evelina, che sposò Angelo Modigliani, ed Ernestino, morto giovanissimo. Nel 1854 la Reale Sarda, pur mantenendo il titolo onorifico e l'uso del teatro Carignano di Torino, rimase senza sussidio. L’anno seguente Ristori, nuova primattrice, e Luigi Bellotti Bon (figliastro di Francesco Augusto Bon e anch’egli allievo di Modena) tentarono di far fronte all’ammanco economico intraprendendo una tournée a Parigi, dove Rossi riscosse enorme successo interpretando Paolo nella Francesca da Rimini di Pellico.
Dopo la tournée, si unì alla compagnia Asti insieme al brillante Gaetano Gattinelli. Ben presto ne divenne unico socio istituendo la Compagnia Drammatica di proprietà di Ernesto Rossi diretta da Gaetano Gattinelli. Attento alle doti e alle potenzialità dei suoi scritturati, spinse Cesare Rossi, che disimpegnava le parti da brillante, a specializzarsi nei ruoli di generico (padri tiranni e secondi caratteristi), determinandone la successiva fortuna. L’interesse per lo studio della recitazione lo accompagnò fino al tramonto della sua carriera: nel 1893 propose l’istituzione di un «liceo drammatico» atto a formare le successive generazioni di attori (Rossi, 1893, p. 25).
Con la sua compagnia portò finalmente in scena l’amato Shakespeare, legando indissolubilmente il suo nome all’opera del poeta inglese. La sua devozione fu tale da chiamare la residenza di famiglia a Livorno ‘Villa Shakespeare’. Nella primavera del 1856 interpretò l’Otello al Teatro Re di Milano, e quindici giorni dopo l’Amleto. Distaccandosi dall’approccio romantico allora dominante, volto a disegnare caratteri idealizzati, pose le basi per un’interpretazione più realistica. L’azione coeva e rivale di Rossi e Salvini (il quale però aveva un’idea più classica e monolitica dei personaggi) fu determinante nella diffusione del repertorio shakespeariano, riuscendo laddove Modena e la sua generazione avevano fallito, come testimoniò il fiasco dell’Otello nel 1842, interrotto prima della fine.
Rossi trionfò in Italia e all’estero con un repertorio dedicato ad Alfieri, Friedrich Schiller, Johann Wolfgang von Goethe, Pellico, Goldoni, Eugène Scribe, Alexander Dumas padre, Théodore Barrière (I falsi galantuomini, tradotto dallo stesso Rossi) e naturalmente Shakespeare (Otello, Amleto, Romeo e Giulietta, Macbeth, Re Lear). La creazione più riuscita fu il personaggio di Amleto; come già per Oreste, Rossi puntò a cogliere l’essenza umana del personaggio (Monaldi, 1896, p. 40). Alla stregua di Otello per Salvini, Amleto rimase il suo cavallo di battaglia e conquistò le platee di tutto il mondo.
Nel 1861 assunse la direzione della compagnia Dondini, ma già nel 1864 tornò a fondare una propria compagnia drammatica.
Il suo repertorio arrivò a contare più di 130 testi; oltre agli autori già citati, spiccavano Vincenzo Monti, Giovanni Battista Niccolini, Voltaire, Pierre Corneille, Carlo Marenco, Paolo Giacometti, Leone Fortis, ecc. Nel maggio del 1865 prese parte alle celebrazioni dantesche con la Ristori, Salvini e Gattinelli, recitando alcuni canti della Divina Commedia. Da qui l’idea di portare in scena la Francesca da Rimini di Pellico al teatro Niccolini di Firenze, con Ristori nel ruolo di Francesca, Salvini in quello di Lanciotto e Rossi in quello di Paolo. Nel 1873 recitò ancora accanto a Salvini, che gli fece da comprimario nell’Oreste assumendo il ruolo di Pilade, che era stato di Modena.
Nel 1867, Fanny Sadowsky invitò la compagnia di Rossi a recitare per un anno al decaduto teatro del Fondo di Napoli. Per risollevarne le sorti e suscitare l’attenzione del pubblico, Rossi mise in scena una rivista musicale dal titolo Colpe e Speranze – Bizzarria umoristica, di autore anonimo dietro al quale si celava lui stesso. Il successo fu tale che la rivista tenne cartellone per tutto il carnevale. Non fu l’unica esperienza autoriale: compose altri lavori drammatici come Adele (1858), Consorzio parentale (1874) e Il comico in villeggiatura (s.d.).
Tra il 1866 e il 1896 intraprese lunghe tournée in Europa, Sudamerica e Nordamerica.
Recitò quasi sempre nella sua lingua madre, e riscosse grandi successi portando in scena traduzioni in italiano di testi stranieri anche nei loro paesi d’origine. In Germania, accettò l’invito a rappresentare l’Otello con la compagnia dei Meininger; ostinatamente legato all’idioma natio, ottenne di esibirsi in italiano, mentre il resto dell’ensemble recitava in tedesco. Il duca di Meiningen ne rimase così soddisfatto da non accorgersi «dell’amalgama delle due lingue» (Rossi, 1887, p. 181). Furono poche le eccezioni alla norma: ad esempio, per il duecentosessantesimo anniversario dalla nascita di Corneille acconsentì a portare in scena il Cid in lingua originale, ma solo a Bordeaux.
Con l’avanzare degli anni, il suo repertorio si ridusse ai testi shakespeariani (a cui si aggiunsero Coriolano, Riccardo III, Il Mercante di Venezia) e a pochi altri lavori. Si aprì alla drammaturgia verista contemporanea, mettendo in scena opere come Cavalleria rusticana di Verga. Nel 1885 pubblicò Studii drammatici e lettere autobiografiche contenente l’analisi di personaggi shakespeariani e una sua traduzione del Giulio Cesare, la cui messinscena, nella quale sosteneva ora la parte di Antonio e ora la parte di Bruto, non riuscì a competere con la coeva creazione dei Meininger. Tra il 1887 e il 1889 pubblicò un’autobiografia in tre volumi. Il testo, prolisso e autocelebrativo, fu condannato dalla critica e dimenticato dal pubblico, ma costituisce una fonte preziosa per la storia del teatro dell’Ottocento, tanto che Luigi Rasi vi attinse per la compilazione del suo dizionario biografico (Rasi, 1905, p. 431).
Nel 1896, durante una tournée a Odessa, fu colto da un malore mentre recitava il Re Lear. Non gli fu purtroppo riservata la sorte che toccò a Molière; morì a Pescara il 4 giugno.
Prima di esalare l’ultimo respiro, disse alla moglie e ai figli: «Fossi morto a Odessa… Era il mio sogno morire sulla scena, […] fra lo splendore dei lumi, il fragor degli applausi, come […] un generale sul campo di battaglia» (Cauda, 1910, p. 23; Rasi, 1905, p. 423). I funerali si svolsero a Firenze; la Società di Previdenza degli artisti drammatici organizzò una commemorazione solenne alla quale presero parte i maggiori attori del tempo.
Ebbe successo soprattutto nei paesi in cui le opere shakespeariane erano poco conosciute, o rappresentate secondo gli stilemi del Romanticismo. Konstantin Stanislavskij, che lo definì «un genio del mestiere», lo incluse nel novero degli attori che influenzarono il realismo russo; infatti fu membro onorario della Società degli amici della letteratura russa (Mosca, 1896). Solo a Londra la critica fu in parte ostile: i toni dell’Amleto, portato in scena da Rossi nell’aprile del 1876, furono considerati irruenti ed esagerati (Rossi, 1887, p. 432-433).
Opere: Alcuni pensieri sull’arte drammatica (Torino 1861); Discorso improvvisato dall’artista E. R. nell’Ateneo di Barcellona la sera del 4 luglio 1868 sopra il teatro di Shakespeare e specialmente sopra la tragedia Amleto, sua interpretazione ed esecuzione, in Rivista contemporanea nazionale italiana, 1869, n. 58, pp. 38-56; Studii drammatici e lettere autobiografiche, Firenze 1885; Quarant’anni di vita artistica, I-III, Firenze 1887-89; Discorso pronunziato da E. R. per l’apertura del corso triennale alla Scuola di recitazione in Firenze il 22 ottobre 1888, Firenze 1888; Regolamento per la R. Scuola di recitazione di Firenze, Firenze 1888; Riflessioni sul teatro drammatico italiano, Livorno 1893; Cinquant’anni di vita artistica (composte secondo le memorie di E. R.), Pietroburgo 1896.
Fonti e Bibl.: Documenti, oggetti di scena, costumi e copioni sono conservati tra la Biblioteca comunale Labronica F.D. Guerrazzi a Livorno, il Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux a Firenze (Archivio contemporaneo Alessandro Bonsanti) e il Museo Biblioteca dell'Attore a Genova. Nel Fondo Rasi, presso la Biblioteca e Museo teatrale del Burcardo a Roma, sono presenti alcuni documenti autografi.
Per fonti e letteratura critica contemporanea si rimanda alle bibliografie in D. Orecchia, Il sapore della menzogna. Rossi, Salvini, Stanislavskij: un aspetto del dibattito sul naturalismo, Genova 1996 e in M. Schino, Racconti del Grande Attore, Città di Castello 2004. Ad esse, si aggiungano: L. Fortis, E. R. Ricordi di giovinezza, in La Vita Italiana, n.s., 1896, n. 3; E. De Amicis, Il canto XXV dell’Inferno e E. R., in Il Giornale, 10 giugno 1900; C. Guetta, E. R., appunti e ricordi, Livorno 1906; C. Lari, Il centenario di un attore: E. R. e gli artisti del suo tempo, in Comoedia, 1927, n. 6, pp. 11-12 e 43; A. Zanco, E. R., interprete e critico shakespeariano, in Rivista italiana del dramma, I (1939), n. 1; la voce a cura di G. Pastina per l’Enciclopedia dello spettacolo, Roma 1961. Tra i contributi più recenti si segnalano M. Lenzi, L’istrione iperboreo. Le figurazioni sceniche di Adelaide Ristori ed E. R. nel prisma della critica russa contemporanea. 1860-1896, Pisa 1993; S. Poeta, L'Amleto di E. R., in Ariel, XXIV (2009), n. 2-3, pp. 105-136.