ROSSI, Ernesto
Attore, nato a Livorno il 27 marzo 1827, morto a Pescara il 4 giugno 1896. Figlio di Giuseppe, negoziante di legname ch'era anche stato ufficiale nell'esercito napoleonico, dovette nella sua adolescenza lottare vivacemente contro il padre, che non lo voleva attore ma avvocato, e che lo minacciò di severe sanzioni quand'egli osò sostituire sulle scene di Livorno un attore della compagnia Calloud nel Ventaglio di Goldoni e nella Francesca del Pellico. Ma, nel 1846, favorito dalla madre e dal nonno, fuggì di casa per seguire una compagnia di guitti; e poco appresso riuscì a farsi accettare precisamente nella compagnia Calloud; poi in quella di Gustavo Modena; nel 1848 in quella del Moncalvo. Nel 1849 era capocomico in società con Giovanni Leigheb; nel 1850, primo attore a vicenda con Giuseppe Peracchi nella Compagnia reale sarda. Finalmente, dopo una viva lotta col Peracchi, riuscì a provocare l'allontanamento del rivale, e rimase primo attore "assoluto", guadagnandosi fama incontrastata. Nel 1855 fu a Parigi con la Ristori e col Bellotti-Bon; poi fece compagnia con Laura Bon e col suo omonimo, l'attore comico Cesare Rossi; poi fu con Cesare Dondini e la Pedretti, presto sostituita dalla Pezzana; infine col Trivelli. Fece altri giri all'estero: nel 1868 in Francia, in Spagna, in Portogallo; nel 1871-72 nell'America Meridionale; poi in Austria, Ungheria, Germania, ancora Parigi, Belgio, Olanda, Russia (1878-79-81), Romania, Austria, Egitto, e di nuovo America Meridionale; nel 1883 negli Stati Uniti d'America, da New York a San Francisco. Settantenne, fece un ultimo viaggio in Russia; e morì, quasi improvvisamente, al suo ritorno in Italia.
Grandissimi furono gli onori tributati dal pubblico e dalla critica a questo attore, che divise il primato della scena italiana del suo tempo con la Ristori e con Tommaso Salvini: dei tre si ricorda appunto una memoranda Francesca del Pellico, in cui la Ristori era Francesca, il Rossi Paolo, e il Salvini Gianciotto. Bellissimo della persona, acclamato dalle folle, esaltato dalla critica, amato da molte donne, fu il primo ad avere il più gran sentimento di sé, della sua prestanza, del suo fascino; il che, se in vecchiaia contrastò alquanto con l'inevitabile decadenza, nella sua giovinezza e nella sua maturità fu non ultima causa dei suoi trionfi. Tutto il repertorio italiano e straniero, da Machiavelli e Goldoni a quello del tempo suo, tragico e comico, l'ebbe interprete applauditissimo; ma egli ha legato il suo nome soprattutto alle interpretazioni shakespeariane Otello, Macbeth, Re Lear, Riccardo III, Romeo e Giulietta, Giulio Cesare, La Tempesta, e particolarmente Amleto, nel quale i suoi contemporanei lo pregiarono altamente. Edmondo de Amicis dedicò un saggio all'analisi della sua dizione del Canto XXIV dell'Inferno di Dante; Sully-Prudhomme scrisse per lui un sonetto rimasto celebre. Nella sua prepotente ambizione, che non mancò di suscitargli contro risentimenti e inimicizie, volle anche essere critico e commediografo (si può ricordare una sua commedia, Adele); vagheggiò una riforma delle scuole di recitazione; pubblicò un volume di Studi shakespeariani (Firenze 1885), una traduzione del Giulio Cesare di Shakespeare, e tre grossi volumi intitolati Quarant'anni di vita artistica.
Bibl.: Oltre all'autobiografia citata: G. Costetti, La Compagnia Reale Sarda, Milano 1893; Brizio e Curti, Biografia di E. R., s. a.