PAZZI, Enrico
PAZZI, Enrico. – Nacque a Ravenna il 20 giugno 1818, da Pietro e da Giuseppa Baldani.
Dopo aver frequentato le scuole primarie, dimostrando fin da piccolo spiccate capacità per il disegno, fu introdotto, a soli undici anni, nel laboratorio del decoratore ravennate Giuseppe Ruffini e in seguito a bottega da Mariano Ghirotti, noto in città come ebanista.
A soli quindici anni, nel 1833, iniziò a frequentare l’Accademia di belle arti di Ravenna, diretta dallo scultore Ignazio Sarti. Fu proprio il rapporto conflittuale con Sarti a causare nel 1841 l’espulsione di Pazzi dall’Accademia; soltanto grazie alla mediazione del cardinale Luigi Amat, legato di Ravenna, Pazzi fu più tardi riammesso.
In questo periodo giovanile l’artista iniziò la sua attività artistica e a farsi conoscere negli ambienti culturali ravennati. Nel 1843 su richiesta del sindaco Carlo Arrigoni, eseguì alcuni acquerelli dai mosaici ravennati.
L’esperienza maturata durante gli anni di Accademia spinse Pazzi a partecipare nel 1845 al concorso per l’alunnato con una borsa di studio del valore di 10 scudi mensili, che vinse con l’opera (andata dispersa) Adamo ed Eva piangenti sul cadavere di Abele. Com’era abitudine, Pazzi si sarebbe dovuto recare a Roma per gli studi di perfezionamento, ma egli stesso racconta come riuscì ad ottenere di poter proseguire gli studi a Firenze («essendo stato consigliato da un’autorità di recarmi piuttosto a Firenze anziché colà, perché inviso al governo pontificio, dietro dimostrazione che l’aria di Roma mi era pregiudicievole alla salute, ottenni di recarmi a Firenze»; Pazzi, 1887, 1991, p. 24; Pozzolini Siciliani, 1899; si rimanda a questi due volumi per tutte le informazioni e notizie generali riguardanti Pazzi). Di certo sappiamo che egli apparteneva alla Giovine Italia.
Il trasferimento nel 1845 a Firenze significò per Pazzi una nuova primavera. Fu nella città toscana che, assieme al collega e amico Luigi Majoli, aprì uno studio che segnò l’inizio di un’intensa e straordinaria attività artistica e che contribuì a proiettarlo nei circoli risorgimentali toscani.
Fin dai primi anni a Firenze si pose sotto la guida di Giovanni Dupré, al tempo già affermato scultore.
Il rapporto tra Dupré e Pazzi fu costellato da una miriade di episodi in cui quest’ultimo ebbe sempre un atteggiamento polemico nei confronti del suo maestro, pur non mancando mai di sottolineare la perizia e la qualità tecnica dei suoi lavori.
Intanto arrivò il 1848, e le notizie che giungevano sui moti risorgimentali e la prima guerra d’indipendenza fecero fermentare gli ambienti patriottici e democratici fiorentini; Pazzi decise di partecipare attivamente ai moti rivoluzionari. Fu in questa sollevazione che lo scultore, assieme a Luigi Majoli, si recò a Bologna ponendosi sotto il comando del patriota Livio Zambeccari. Alla fine del 1849 la fiamma rivoluzionaria si era ormai spenta in tutta Italia, e Pazzi rientrò a Ravenna per presentare il bassorilievo in gesso dal titolo Galla Placidia cacciata dal fratello Onorio (oggi in deposito a Ravenna, presso il Liceo artistico “L. Nervi”), allo scopo di ottenere il rinnovo dell’assegno di alunnato. Il bassorilievo, eseguito in gesso, venne accolto con viva ammirazione dalla Commissione esaminatrice che, il 17 dicembre 1849, deliberò di concedere allo scultore ravennate per altri tre anni un assegno pari a quindici scudi mensili e decise di acquistare il bassorilievo per la propria gipsoteca l’11 febbraio 1851 (Bernicoli, 1921, p. 232).
L’apprezzamento da parte della comunità di Ravenna si rinnovò nel 1852, quando Pazzi ricevette da monsignor Stefano Rossi, delegato apostolico della città e della provincia, l’incarico di eseguire il cenotafio del religioso Antonio Cesari (Ravenna, duomo), noto dantista che era venuto a mancare nel 1828 durante un pellegrinaggio verso la tomba di Dante Alighieri (Viroli, 1997, p. 76).
Negli anni successivi Pazzi si confermò scultore emergente, ponendosi in contrasto con la scuola del suo maestro Dupré, verso il quale nutriva una sincera stima, ma da cui preferì allontanarsi, perseguendo una strada differente, meno accademica e proiettata verso un’arte che esprimesse anche una scelta di contenuto patriottico.
Nel 1852, per la famiglia Corradini di Ravenna, modellò la statua Mosè fanciullo calpesta la corona del faraone, ed ebbe la possibilità di presentare una replica in bronzo all’Esposizione internazionale di Melbourne del 1854, che gli valse un premio; il modello in gesso puntinato fu donato nel 1891 all’Accademia provinciale di belle arti di Ravenna.
È nel corso di questi anni che lo scultore conobbe Giosuè Carducci, con il quale nacque un sodalizio di lunga durata.
L’incontro con il poeta e scrittore di Valdicastello avvenne nel 1855 mentre Pazzi portava a termine, nel suo studio, il busto in gesso di Vittorio Alfieri. Carducci all’epoca aveva raccolto attorno a sé alcuni amici che polemicamente si stavano esprimendo contro le forme letterarie e artistiche del Romanticismo, e che diedero vita al cenacolo culturale degli “Amici pedanti”. Nacque in Carducci l’idea di dare alle stampe un libretto le cui immagini, riproduzioni di ritratti marmorei compiuti da Pazzi (di Alfieri, Foscolo, Leopardi, Monti e Parini), fossero accompagnate da una serie di poesie o canti composti per l’occasione dagli Amici pedanti: purtroppo, seppur il Carducci scrisse un’ode dedicata al lavoro di Pazzi (in Juvenilia, 1880), questo articolato programma non si concretizzò (Fanti, 2010, pp. 203-208).
Nel 1857 Pazzi maturò la rottura definitiva con il suo maestro Dupré a causa della realizzazione di un Presepio in stile robbiano per la signora Laura Bianchi di Siena. L’opera era stata commissionata a Dupré, che aveva coinvolto il suo allievo nel lavoro, ma alcune divergenze nate per il compenso e l’attribuzione del lavoro, e dettagliatamente descritte da Pazzi nella sua autobiografia, portarono ad un raffreddamento del loro rapporto.
All’apertura del cantiere per la facciata della basilica di S. Croce a Firenze (1853-63), Pazzi fu ingaggiato per eseguire alcune formelle del portale esterno di sinistra, entro le quali scolpì medaglioni con profeti.
Sempre per la basilica fiorentina (ma stavolta per l’interno di essa), Pazzi lavorò al medaglione di Antonio Targioni Tozzetti (1857) e portò a termine il monumento di Girolamo Segato (1886) lasciato incompiuto da Lorenzo Bartolini.
A partire dall’ottobre del 1861 l’artista entrò a far parte della loggia massonica Concordia di Firenze (di cui fu membro fino alla morte); nello stesso anno il Comune di Russi volle ricordare con un monumento l’illustre concittadino Luigi Carlo Farini e Pazzi realizzò l’opera che venne solennemente inaugurata nel dicembre del 1862 nella residenza municipale di Russi (Piraccini, 2012, pp. 53 s.).
Oramai Pazzi alternava la sua attività di scultore per committenze private (busti e tombe) con quella di scultore di opere pubbliche. Va ricordato, in proposito, il grande clamore e le polemiche che suscitò la statua di Dante Alighieri, il suo lavoro più noto, eretta nel 1865 per celebrare il VI centenario della nascita del poeta a Firenze. Pazzi aveva sviluppato l’idea di innalzare un monumento a Dante fin dal 1851, anno in cui modellò un primo bozzetto da proporre al comune di Ravenna, ma, a causa delle difficoltà economiche in cui versava la città, l’opera non poté essere lì realizzata. L’idea di un monumento dedicato a Dante non venne abbandonata da Pazzi; a distanza di alcuni anni, nel 1857, decise di iniziare a modellare una nuova statua dedicata al sommo poeta: ma fu solo con la caduta del Granducato di Toscana e il successivo spostamento della capitale del Regno d’Italia da Torino a Firenze che l’artista potè vedere realizzata la sua scultura.
Per l’esecuzione della colossale statua il comune di Firenze diede in uso a Pazzi un ampio locale nel palazzo della Crocetta; la statua di Dante, collocata al centro di piazza S. Croce, fu presentata alla città il 14 maggio 1865 (Paccassoni, 2005). Purtroppo lo scultore non poté essere presente alla cerimonia di inaugurazione perché pochi giorni prima aveva ricevuto notizia di un aggravarsi delle condizioni di salute dell’anziano padre. Pazzi si recò celermente a Ravenna, ma, una volta giuntovi, trovò il padre già deceduto.
Rientrato a Firenze, lo scultore riprese la sua attività eseguendo numerosi ritratti marmorei e statue, e qui, nel 1867, ebbe l’occasione di acquistare la cosiddetta “Rotonda”, in via del Castellaccio, in pieno centro cittadino, che restaurò e destinò a nuovo studio.
Nel 1872 gli fu commissionato un altro monumento in memoria dello statista Luigi Carlo Farini, da erigersi a Ravenna.
L’opera, già pronta nel 1876, fu però inaugurata soltanto nel 1878: per l’occasione fu conferita a Pazzi la croce di commendatore dell’Ordine della Corona. Collocata nel piazzale della stazione ferroviaria, il 4 settembre1944 la statua venne distrutta da un’incursione aerea; tuttavia di essa abbiamo ancora il modello originale, in gesso, custodito nel cimitero di Russi; in seguito fu realizzata una copia in marmo del monumento, a firma di Giannantonio Bucci, che venne ricollocata nel piazzale della stazione ferroviaria di Ravenna nel 1995 (Piraccini, 2012).
Forte fu l’amicizia che legò Pazzi ai fratelli Gioacchino e Achille Rasponi; per la moglie di quest’ultimo, Pulcheria Ghika, scolpì nel 1871 un ritratto (in coll. priv. a Savignano sul Rubicone; Viroli, 1997, pp. 80-82)
Su indicazione di Gioacchino Rasponi, nel 1872 lo scultore presentò un bozzetto per la messa in opera di un grandioso monumento equestre, raffigurante il principe di Serbia Michèle Obrenović III (morto assassinato nel 1868), destinato alla città di Belgrado. Il bozzetto fu accolto con entusiasmo, e Pazzi ottenne dunque l’incarico. Nell’ottobre 1874 partì da Firenze per effettuare un primo sopralluogo a Belgrado; il modello venne consegnato alla Fonderia Miller di Monaco di Baviera nel 1878, e la statua fu montata a Belgrado per l’inaugurazione che ebbe luogo il 18 dicembre 1882 (Belgrado, piazza della Repubblica).
Nel frattempo a Firenze, per volontà del senatore Atto Vannucci, Pazzi aveva scolpito una statua di Savonarola a grandezza naturale che, il 25 giugno 1882, fu inaugurata nel Salone dei Cinquecento. Più tardi, nel 1921, la statua fu spostata al centro dell’omonima piazza di Firenze.
Dal 1882 una terribile malattia agli occhi colpì Pazzi provocandogli un repentino indebolimento della vista, fino alla perdita completa dell’occhio sinistro.
A causa di questa infermità fu costretto a ridurre la sua attività; molti dei lavori successivi furono da lui eseguiti nell’atelier in collaborazione con diversi studenti: Pazzi realizzava i bozzetti e i modelli in scala delle opere, mentre gli allievi si occupavano di tutto il resto.
Questo forzato allontanamento dal lavoro spinse Pazzi a mettere in atto un suo antico progetto, cioè quello di creare a Ravenna un Museo civico bizantino, successivamente istituzionalizzato come Museo nazionale, che raccogliesse e conservasse testimonianze materiali dell’arte bizantina che nella sua città natale si trovavano disperse e abbandonate in luoghi privi di tutela.
Le prime notizie relative a questo intento risalgono al 1877 ma fu necessario aspettare il 1881 perché Pazzi presentasse al Comune di Ravenna il suo progetto. Creatasi una commissione speciale, nel 1883, Pazzi venne nominato direttore e iniziarono i lavori di attuazione. Dopo alcuni anni, nel 1885, il comune di Ravenna, dietro sollecitazione di Pazzi, riuscì a ottenere dei fondi dal Ministero della Pubblica Istruzione per cui, con regio decreto, sancì la nascita del Museo nazionale di Ravenna (Paccassoni, 2002).
I lavori furono seguiti da Pazzi stesso, che, pur risiedendo a Firenze, spesso si recava nella città natale, ospite della famiglia Rasponi-Murat.
Il Museo fu inaugurato nel 1887; nello stesso anno Pazzi diede alle stampe il suo libro autobiografico Ricordi d’arte di Enrico Pazzi statuario. Pazzi mantenne l’incarico di direttore del Museo nazionale di Ravenna fino all’estate del 1898, anno in cui lasciava la direzione del museo al più giovane Corrado Ricci.
Anziano e quasi cieco, si spense nella sua abitazione fiorentina in via del Castellaccio il 27 marzo 1899.
La sua salma venne tumulata nel cimitero monumentale delle Porte Sante di San Miniato al Monte a Firenze, sul terrazzo della montagnola; in seguito, in epoca imprecisata, le spoglie furono trasferite in un modesto loculo a parete nello stesso cimitero (Torresi, 1999, pp. 56 s.)
Non avendo eredi diretti, nel testamento redatto il 1° aprile 1898, Pazzi volle legare la sua cospicua collezione di antichità e i suoi beni alla città di Ravenna. La sua biblioteca, le stampe e i mobili antichi furono donati al Museo Nazionale di cui era stato lungamente direttore, mentre la sua collezione di opere d’arte – composta da quadri e sculture in gesso – fu legata all’Accademia provinciale di belle arti di Ravenna. Inoltre stabilì,sempre per disposizione testamentaria, la creazione di un ente morale (Fondazione Pazzi) che avesse l’obbligo di conferire annualmente tre borse di studio del valore di Lire 1500, destinate a studenti poveri di Ravenna e di Firenze per il loro perfezionamento nelle belle arti. La Fondazione Pazzi, creata nel 1904, operò fino al 1919.
Fonti e Bibl.: Forlì, Biblioteca comunale A. Saffi, Fondo Piancastelli, Carte Romagna, E. P. (1848-1932), busta 618; Bologna, Casa Carducci, Corrispondenti, P. E. (1861-66).
Fondamentale per lo studio di Pazzi resta la sua autobiografia, E. Pazzi, Ricordi d’arte di E. P. statuario, Firenze 1887 (opera ristampata a cura di L. Scardino, Ferrara-Ravenna, 1991); contributi principali pubblicati prima e dopo tale testo sono:
F. Tribolati, Il primo busto del Leopardi in Italia, in Appendice alle letture di famiglia, II (1856), 11, pp. 692-696; Le feste per Farini, in L’illustrazione italiana, V (1878), 26, pp. 420 s., 426 s.; G. Carducci, LVIII. A E. P. quando scolpiva il busto di Vittorio Alfieri e altri d’altri illustri uomini, in Juvenilia, IV, Bologna 1880, pp. 155-160; Il monumento al principe Michele di Serbia a Belgrado, in L’Illustrazione italiana, X (1883), 5, pp. 75-77; F. Dini, Scultura: Dupré e P., in Rivista europea: rivista internazionale, XXXIII (1883), pp. 513-519; E. P., lo scultore del monumento a Dante, in L’Illustrazione italiana, XXVI (1899), 17, p. 275; C. Pozzolini Siciliani, E. P. scultore, estr. da Rassegna Nazionale, XXI (novembre 1899), pp. 1-10; G. Chiarini, Memorie della vita di Giosuè Carducci (1835-1907) raccolte da un amico, Firenze 1907II, pp. 57-92; S. Bernicoli, Atti dell’Accademia provinciale di belle arti in Ravenna: indice analitico generale dal 1829 al 1899, Ravenna 1921, pp. 231-233; L. Miserocchi, Ravenna e ravennati nel XIX secolo, Ravenna 1927, pp. 62 s., 164 s., 221; G. Viroli, Il gesto sospeso: scultura nel Ravennate negli ultimi due secoli, Ravenna 1997, pp. 74-94, 228, 231, 239; A.P. Torresi, E. P.: nuovi dati su uno scultore (1818-1899), in Libero: ricerche sulla scultura e le arti applicate del primo Novecento, 4 (1994), pp. 33-39; Id., Ricordando lo scultore E. P. nel centenario della sua morte (1899-1999), in Romagna arte e storia, XIX (1999), 56, pp. 53-58; S. Paccassoni, E. P. e il museo civico bizantino, in Ravenna, studi e ricerche, IX (2002), 2, pp. 315-344; Ead., L’impresa dantesca di E. P. “statuario”: un monumento per Santa Croce, in Romagna arte e storia, XXV (2005), 74, pp. 53-62; G. Fanti, E. P., testimonianze artistiche nel Risorgimento, in Ravenna, studi e ricerche, XVII (2010), 1/2, pp. 197-223; Monumenti tricolori. Sculture celebrative e lapidi commemorative del Risorgimento in Emilia e Romagna, a cura di O. Piraccini, Bologna 2012, pp. 53-56.