CORRADINI, Enrico
Nato a Samminiatello presso Montelupo in provincia di Firenze il 20 luglio 1865, è il fondatore del nazionalismo italiano. Laureato in lettere a Firenze, pubblicò nel 1892 un giornale letterario, Germinal, e partecipò a quel rinnovamento della cultura che pochi anni dopo ebbe il suo centro nel Marzocco. Le critiche letterarie e teatrali che scrisse allora manifestavano il suo desiderio di ricondurre il teatro italiano, sugli esemplari classici e su quelli moderni dell'Ibsen e del Maeterlinck, alle sue origini poetiche e drammatiche; ed egli stesso mostrò di voler portare sulle scene i grandi contrasti dello spirito con i suoi drammi In riva all'Arno e Dopo la morte, dal quale il D'Annunzio prese l'idea della Gioconda. Nei suoi romanzi fu allora, come tutti, dannunziano, più di forme ad ogni modo che di spirito (Santamaura, 1896; La Gioia, 1897; La veramità, 1898).
La sconfitta di Adua suscitò in lui e nei suoi amici, che avevano difeso ed esaltato il Crispi contro la democrazia italiana, la coscienza d'un dovere da compiere: rieducare il nostro popolo alle tradizioni classiche; far sentire alle nuove generazioni che l'Italia è erede di Roma; restaurare l'autorità e la forza dello stato; creare una nuova classe politica che potesse dar nuovo ordine costituzionale al nostro popolo. Sin da allora sentiva che gl'individui non possono aver pienezza di vita fuor della nazione e che dove non è forza e autorità di stato non può essere né libertà né forza di cittadini. La guerra russo-giapponese gli suggerì quella sua teoria della "morale guerresca" che venne poi contrapponendo alla "morale umanitaria" come dottrina suscitatrice di tutte le virtù, sino al sacrificio per la grandezza della patria. Il C. dal '96 in poi si rinnova: scrive drammi, taluni dei quali derivano ancora qualche accento dal D'Annunzio, come La Leonessa (1899), ma che rivelano il proposito di portare sulla scena personaggi di profonda vita drammatica, come sono quelli del Giacomo Vettori (1901), del Giulio Cesare (1902), di L'apologo delle due sorelle (1904) e di Carlotta Corday (1908). In Giulio Cesare egli vuol mostrare l'eroe di Roma, immanente nella storia d'Italia, quasi contrapponendo la sua concreta figura di eroe a quella astratta del superuomo dannunziano. E fonda allora una rivista, Il Regno (1903), nella quale sviluppa combattivamente le sue idee nazionaliste. Gli articoli pubblicati in questo tempo sono raccolti ne La vita nazionale (1907) e ne L'ombra della vita (1908). Nel 1909 andò nel Brasile e nell'Argentina, e ritornò persuaso che fosse necessario sostituire alla politica d'emigrazione una politica d'espansione, adoperando a profitto d'Italia le energie italiane che i popoli stranieri adoperavano a profitto proprio. La teoria nazionalista del C. è ormai compiuta: nazione "proletaria", l'Italia deve inquadrare produttori e lavoratori nei sindacati nazionali che coordinino la loro attività ai fini supremi dello stato; e deve preparare la guerra per la conquista di territorî coloniali. L'associazione nazionalista fu fondata nel 1910; l'anno dopo uscì il primo numero dell'Idea nazionale, e subito il C., capo del nuovo partito, incominciò la propaganda per l'impresa di Tripoli che fu compiuta negli anni seguenti. Sono di questi anni i due romanzi La Patria lontana (1910) e La guerra lontana (1911), le raccolte di articoli e di discorsi Il volere d'Italia (1911), L'ora di Tripoli (1911), La conquista di Tripoli (1912), Sopra le vie del nuovo impero (1912) e il dramma Le vie dell'oceano (1913). Negli anni innanzi la guerra europea il C. dedusse dalle sue idee l'opposizione del nazionalismo non solo al socialismo e alla democrazia, ma anche al liberalismo, e nel congresso di Roma (1912) proclamò la lotta contro questi partiti e la massoneria. E nel 1914 preparò gli animi all'intervento; seguendo poi con la sua parola di fede, di critica e di consiglio le vicende della vita italiana durante la guerra: ricordiamo di lui Nazionalismo e democrazia (1913), il nazionalismo italiano (1914), Per la guerra d'Italia, La marcia dei produttori, Discorsi nazionali, Il regno della borghesia produttiva, Pagine degli anni sacri (1915-20). Dopo la guerra il C., che in un nuovo congresso nazionalista (Milano '22) aveva disegnato un programma di rinnovamento corporativo e antiparlamentaristico, diede il proprio consenso al fascismo, perché vide nelle sue masse lo spirito nazionalista, e volle che i nazionalisti entrassero nel nuovo partito. Da allora ha pubblicato, L'unità e la potenza delle nazioni (1922) che riassume in un compiuto ordine le sue idee; Discorsi politici (1923) che raccoglie tutti i suoi discorsi del decennio innanzi; La riforma politica in Europa (1929) che traccia una "teoria biologica" dello stato e dell'individuo e illustra la funzione sociale della proprietà privata; un rifacimento del Giulio Cesare (1926) e tra l'altro una nuova opera teatrale, L'aurea leggenda di Madonna Chigi (1931), che ha avuto buona fortuna sulle scene. È senatore dal 1923, ministro di stato dal 1928.
Bibl.: P. L. Occhini, E. C. e la coscienza nazionale, Firenze 1915; F. Ercole, Le profezie del fascismo, in Politica, 1924; U. d'Andrea, I precursori: E. C., Milano 1928; G. Bellonci, Prefaz. alla raccolta di scritti di E. C. La rinascita nazionale, Firenze 1929; L. Amoruso, Il sindacalismo di E. C., Palermo 1930.