ENFITEUSI (XIII, p. 983; App. I, p. 561)
Il cod. civ. del 1942, disponendo sulla materia con gli articoli 957-977, ha innovato sulla disciplina data all'istituto nel codice oggi abrogato, in primo luogo considerando l'enfiteusi non un contratto, ma un diritto reale su cosa altrui.
Dell'enfiteusi si può dare oggi, in mancanza di una definizione, che il codice evita, il seguente concetto: essa è un rapporto, in forza del quale un soggetto (enfiteuta) acquista, in perpetuo o per un certo tempo (ma non inferiore ai venti anni), gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo (di regola, fondo rustico) e delle sue accessioni, sul tesoro ivi trovato e sulle utilizzazioni del sottosuolo (miniere, cave e torbiere) in conformità del r. decr. 29 luglio 1927, n. 1443. Di contro a tali diritti, e come corrispettivo di essi, l'enfiteuta è obbligato a migliorare il fondo; a pagare al concedente un canone periodico, che può consistere in una somma di danaro ovvero in una quantità fissa di prodotti naturali; a pagare le imposte e gli altri pesi che gravano sul fondo; a fare periodicamente atto di ricognizione del diritto del concedente. L'enfiteusi può, invece che ad unico titolare, spettare a più soggetti (coenfiteusi). È vietata la subenfiteusi.
Come è stato alla base della genesi dell'enfiteusi, così alla base della sua conservazione è il progresso tecnico ed economico dell'agricoltura, con evidenti vantaggi di ordine sociale. Ma non vi è estraneo lo stimolo individuale; esso è costituito dal fatto che la concessione del fondo assicura all'enfiteuta - o al suo erede, o al terzo acquirente - il vantaggio della fertilità del fondo, conseguente al miglioramento obbligatorio di esso. Inoltre, influisce la prospettiva dell'affrancabilità del fondo da parte dell'enfiteuta.
Tuttavia, bisogna riconoscere, che nelle plaghe (specialmente dell'Italia settentrionale) dove la terra è intensamente coltivata da tempo e dove, perciò, non è suscettibile di profondi miglioramenti, l'enfiteusi è scarsamente praticata. Essa vive nell'Italia centrale e, più specialmente, nell'Italia meridionale e insulare, dove abbondano terre incolte e latifondo. Ma alla rarefazione delle enfiteusi hanno contribuito, sotto l'impero del cod. civ. abrogato, ragioni più profonde, per lo più di ordine tecnico-giuridico: la fissità del canone (mentre il reddito del fondo è variabile), la libertà di alienazione del proprio diritto, attribuita all'enfiteuta e, soprattutto la circostanza che, mediante l'esercizio dell'affrancazione, l'enfiteuta può far cessare il rapporto di enfiteusi con l'estromettere il concedente e col corrispondergli una somma, costituente la capitalizzazione del canone: il che vale, in sostanza, espropriare il concedente e consolidare in uno i due poteri. Infine, la svalutazione della moneta, incoraggiando le affrancazioni, scoraggia i possibili nuovi concedenti.
A molti di tali inconvenienti avevano cercato di rimediare leggi particolari con portata regionale; ma, più radicalmente, ha provveduto (salvo che per l'ultimo) il nuovo codice, stabilendo che: a) il canone è rivedibile (e nel senso dell'aumento e nel senso della diminuzione) ogni dieci anni, sotto particolari presupposti; b) l'alienazione del diritto dell'enfiteuta può essere vietata (in tutto o in parte) nell'atto costitutivo per un tempo che non ecceda i venti anni, ed è attribuita al concedente la preferenza (a parità di condizioni) nell'acquisto del diritto dell'enfiteuta, se questi lo alieni; c) l'affrancazione non può avvenire - per legge - prima che siano decorsi venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi e può inoltre pattuirsi che decorra un termine di durata superiore ai venti anni, purché non superiore ai quaranta.
L'enfiteusi si acquista per titolo (contratto, o eredità, o legato), o per usucapione o per legge (successione legittima o necessaria, a causa di morte). L'enfiteusi si estingue per devoluzione (ossia, retrocessione) del fondo, che può aver luogo (su iniziativa del concedente), se l'enfiteuta deteriori il fondo o non adempia all'obbligo di migliorarlo, ovvero sia in mora nel pagamento di due annualità consecutive del canone, ovvero infine sia stata espressamente pattuita clausola risolutiva a favore del concedente. Si estingue, ancora, per affrancazione da parte dell'enfiteuta: nel caso di conflitto tra devoluzione (al concedente) e affrancazione (da parte dell'enfiteuta) prevale, di regola, l'affrancazione; da tale prevalenza, i più desumono che l'enfiteuta sia, già prima dell'affrancazione, proprietario virtuale, dipendendo da lui tradurre (mediante affrancazione) tale sua situazione in quella di proprietario in atto. L'enfiteusi si estingue, infine, per usucapione del diritto del concedente da parte dell'enfiteuta; per il sopravvenire del termine finale di concessione; per non uso o rinunzia al proprio diritto o abbandono del fondo da parte dell'enfiteuta; per perimento totale del fondo.
Bibl.: D. Simoncelli, Dell'enfiteusi, in Commentario al libro della proprietà, Firenze 1942, pp. 540-584; R. Trifone, Dell'enfiteusi, in Commentario del cod. civ., Bologna-Roma 1947, pp. 1-113; F. Messineo, Manuale di dir. civ. e commerc., 7ª ed., Milano 1946, II, pp. 141-151.