ENDRIGHETTO di Bongaio (Hendrigetus, Hendreghettus de Bongai oppure de Mongai, Hendriget de Bongayo)
Figlio di Federico, nacque agli inizi del sec. XIV, ignoriamo esattamente quando, da nobile famiglia bellunese, che derivava il "cognomen toponomasticon" dal castello di Bongaio nella zona di Alpago.
Le relazioni e le scelte politiche di E. vanno ricollegate alla larga rete di solidarietà militari che, nel corso delle guerre contro Padova "guelfa" e Treviso postcaminese, Cangrande (I) Della Scala aveva stretto, tra gli altri, anche con vari esponenti della feudalità bellunese. (In questo contesto deve essere collocato anche il matrimonio - non databile con precisione - di E. con Iacopa da Vivaro, figlia di Marcabruno, uno dei massimi esponenti filoscaligeri e "ghibellini" di Vicenza; al riguardo va ricordato che un'altra figlia di Marcabruno, Speronella, sposò Guglielmo di Castelbarco). Dei contrasti tra le famiglie signorili locali lo Scaligero si avvalse infatti, nel quadro delle complesse vicende legate all'avvicendamento di Gorgia da Lusia sulla cattedra episcopale di Feltre-Belluno, per conseguire, nel 1321, il dominio sulle due città.
Nel 1324 E. ottenne infatti dal signore di Verona l'investitura della contea di Alpago, in precedenza affidata ai Doglioni. Vicario di E. in Alpago fu Roccolino Castiglioni, anch'egli esponente di una famiglia coinvolta nelle lotte di fazione e recententemente rientrata in città; in seguito E. si servi come vicario di Ainardino della Valle, pure di autorevole famiglia locale. Il nome di E. non compare negli anni successivi (1325-27) nelle fonti a noi note, quasi esclusivamente cronistiche, relative alle guerre di Cangrande contro Padova e Treviso. Che egli continuasse allora a far parte dell'entourage delloScaligero è tuttavia provato dalla sua partecipazione alla grande "curia" cavalleresca celebrata nel novembre del 1328 per la conquista di Padova: nel corso di essa E. fu armato cavaliere, assieme al cognato Vivario da Vivaro e ad altri trentasette più o meno noti personaggi.
Il controllo delle città e dei territori soggetti era affidato, nello "Stato" scaligero, oltre che all'opera di prestigiosi milites provenienti dall'ambiente di corte, anche all'attività intermediaria di membri eminenti delle élites locali, che conservarono in pieno la loro autorità: ciò accadde, nella Belluno scaligera, anche per E., il cui potere raggiunse in quegli anni il vertice. Confermato signore della contea di Alpago da Mastino (II) Della Scala, nel 1331 E. vi rinforzò le fortificazioni del castello di Sant'Andrea. Nel 1330 e nel 1335 è attestato anche come podestà di Primiero. Come osserva sbrigativamente, ma realisticamente, il cronista veneziano Iacopo Piacentino, "sub favore dictorum dominorum [Della Scala] in dicta civitate [Scil. Belluno] regebat".
La crisi della signoria scaligera durante la guerra veneto-florentino-scaligera, mise alla prova, nel 1337, l'abilità politica di E., "versutus et subdolus" secondo il citato cronista veneziano. Capitano di Belluno per conto di Mastino (II), nell'agosto di quell'anno assunse il diretto controllo della città ("insultans ad plateam Civie rapuit de manibus dd. de la Scala", scrive Guglielmo Cortusi) e si accordò con Carlo di Lussemburgo, aderente alla lega antiscaligera, giunto a Belluno dal Tirolo. Poté cosi conservare il governo della città nella posizione di vicario di Giovanni e Carlo di Lussemburgo, quando, il 31 agosto di quell'anno, costoro furono investiti dal vescovo del capitaniato di Belluno e Feltre. E. presenziò all'atto di investitura, cosi come il 12 settembre successivo assistette, come teste, all'atto di sottomissione del Cadore.
L'anno dopo, tuttavia, contatti veri o presunti da E. avviati con Ludovico il Bavaro, l'avversario dei Lussemburgo, al quale egli avrebbe offerto ttanquarn vero et naturali suo domino" Belluno e Feltre, e l'atteggiamento intransigente e autoritario da lui mantenuto, nel governo delle due città, anche nei confronti degli estrinseci ("non vicarius sed dominus poterat appellari, quia omnia regebat et administrabat pro libito voluntatis" osserva lacopo Piacentino) provocarono un nuovo intervento di Giovanni di Lussemburgo, conte del Tirolo, con un corpo di spedizione di 600 armati (6 aprile 1336): E. fu catturato e condotto prigioniero in Carinzia, secondo il bene informato lacopo Piacentino; più genericamente "in Alemania", secondo il Cortusi.
Le fonti note non ci hanno conservato alcuna notizia relativa ad E. per il decennio successivo a questi avvenimenti, decennio durante il quale egli restò probabilmente lontano da Belluno. La contea di Alpago, col mero e misto imperio, restò cionondimeno in mano alla sua famiglia, come mostra un documento del 1340 indirizzato a lacopa da Vivaro, moglie di E., dai due principi boemo-tirolesi. Nel 1347 Alpago era governata da un vicario di E., che curò il rafforzamento delle fortezze di Bongaio, Sant'Andrea e Sitrano.
Nell'agosto del 1347 E. compare, "pro Sacro Romano Imperio vicarius generalis", a reggere la città di Belluno e ad assicurare il libero transito dei mercanti tedeschi verso Venezia: si era evidentemente riconciliato con Carlo di Lussemburgo, che era stato eletto imperatore nel 1347, succedendo a Ludovico IV il Bavaro. Vicario di E. in Belluno fu un giureconsulto bolognese; forse nel 1348 aveva avuto anche il vicariato di Feltre. La ricomparsa sulla scena politica locale di E. dovette suscitare violenti risentimenti nella nobiltà locale. Sembra infatti attendibile la notizia, data dal Cortusi, secondo la quale egli fu ucciso nell'aprile del 1349 per mano di uno "Iacobus de Guaigno, obscurissime natus", che avrebbe allora anche precariamente assunto il dominio della città; l'intervento di truppe di Giacomo da Carrara, chiamato in soccorso dal capitano imperiale di Belluno, che era stato costretto ad asserragliarsi nel castello, portò presto al ristabilimento dell'ordine e alla cattura del ribelle Iacopo.
Le notizie in nostro possesso relative all'assassino di E. sono incerte e scarse. Secondo il Cortusi, Iacopo "de Guaigno" era il marito di una figlia del conte Guerra (recte Vinciguerra) Sambonifacio; ma sembra che egli abbia equivocato tra quest'ultimo e Guerra Avoscano, appartenente ad una grande famiglia bellunese ad E. ostilissima. Non sembra avere fondamento documentario, invece, la notizia data per la prima volta dal Piloni e accolta, fra gli studiosi recenti, dal Varola e da L. Alpago Novello, che attribuisce al 1358 l'ultima comparsa di E. sulla scena politica ed il suo assassinio. Non si hanno notizie precise sulla discendenza di E.; la moglie Iacopa da Vivaro, già vedova di un da Marano, mori nel 1348.
La figura di E. è emblematica della persistente capacità della feudalità alpina di giocare un ruolo certo subalterno, ma politicamente attivo, nelle complesse vicende politico-territoriali del Veneto nella prima metà del Trecento, durante la crisi dell'autorità vescovile locale e le lotte fra le potenze padane e quelle alpino-tirolesi. Furono tuttavia, per la feudalità bellunese, cosi come per altre famiglie signorili dell'area veneto-trentina, gli ultimi sprazzi di vitalità prima del definitivo circoscriversi all'area locale del loro prestigio.
Fonti e Bibl.: Tonadico (Trento), Arch. parrocchiale, Perg. e Doc. antichi, F 57, 1330 giugno 24; Mezzano (Trento), Arch. parrocchiale, Pergamene, 1335 marzo 6; Parisii de Cereta Chronicon Veronense, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., VIII, Mediolani 1728, col. 646; Guillelmi de Cortusiis Chronicon de novitatibus Padue et Lombardie, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XII, 5, a cura di B. Pagnin, pp. 56, 81, 91 122; G. B. Verci, Storia della marca trivigiana e veronese, XI, Venezia 1788, pp. 90, 182 s.. dei Documenti; Vita Karoli quarti imperatoris ab ipso Karolo conscripta, in Fontes rerum Austriacarum, Scriptores, Wien 1843, I, p. 255; Marzagaia, De modernis gestis, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, pp. 358, 362; Notae Veronenses, ibid., p. 473; Iacopo Piacentino, Cronaca della guerra veneto-scaligera, a cura di L. Simeoni, in Mise. di storia ven., V, Venezia 1930, pp. 82 s., 90, 101 s.; T. Saraina, Le historie e fatti de' veronesi nelli tempi del popolo e signori scaligeri, Verona 1543, p. 29v; G. Piloni, Historia, Venezia 1607, pp. 145r, 146v, 147v, 149r, 151v, 152r, 157rv; F. Miari, Compendio stor. della regia città di Belluno e sua antica provincia, Venezia 1830, pp. 34-36; Id., Cronache bellunesi inedite, Belluno 1865, pp. 34 s., 39; A. Cambruzzi, Storia di Feltre, Feltre 1874, I, pp. 326, 336 s.; II, pp. 12 s.; F. Pellegrini, Serie dei podestà e capitani e dei vicari e giudici di Belluno dal 1200 al 1420, Belluno 1893, pp. 27, 29; I. Vallazza, Livinallongo, in Arch. per l'Alto Adige, VIII (1913), p. 445; L. Simeoni, La crisi decisiva della signoria scaligera, in Arch. veneto-tridentino, IX (1926), p. 343; G. Varola, E. da B. podestà e capitanio bellunese del Trecento, in Arch. storico di Belluno, Feltre e Cadore, I (1929), pp. 56-60; L. Alpago Novello, Due documenti ined. riguardanti E. da B., ibid., II (1930), p. 99; Id., Ancora tre nuovi documenti intorno al vescovo Alessandro Novello (1298-1320), ibid., IV (1932), p. 360; U. Trame, La conca dell'Alpago, Venezia 1932, p. 92 (e la rec. di L. Alpago Novello, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, IV [1932], p. 374); L. Alpago-Novello, Il testamento di Iacopa da Vivaro-Bongaio, contessa di Alpago, in Arch. storico di Belluno, Feltre e Cadore, V (1933), pp. 409-411; F. Tamis, Il capitaniato di Agordo dalle origini al dominio veneto, ibid., XXV (1954), pp. 12 s., 58 s., 130, 132; A. Da Borso, Dagli scritti inediti dell'abate prof. F. Pellegrini. Giacomo Goblin di Brunn vescovo di Belluno e Feltre, 1353-1369, ibid., XXVII (1956), pp. 42 s., 59; V. A. Doglioni, Un cospicuo patrimonio rurale sito nella conca dell'Alpago in un atto di compravendita del febbraio 1368, s. l. né d. (ma Belluno 1961), p. 4; F. Tauffer, Notizie storiche di Primiero. in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XXXVI (1965), p. 87.