CROSA, Emilio
Nacque a Torino l'11 maggio 1885 da Filiberto, magistrato, e da Clotilde Dogliotti. Proveniva da una famiglia di solide radici piemontesi: suo nonno Saverio Crosa era stato deputato al Parlamento subalpino nella IV, V e VI legislatura; suo zio, Giuseppe Dogliotti, generale dell'esercito. Laureatosi in giurisprudenza nel 1907 presso l'università di Torino, dove sostenne una tesi con F. Ruffini su Le guarentigie costituzionali della libertà religiosa (Torino 1907). il C. vi divenne libero docente di diritto costituzionale. Dopo il primo conflitto mondiale, che lo vide in armi tra il luglio del 1916 e l'aprile del 1919, insegnò diritto pubblico presso la scuola di guerra di Torino. Vinta la cattedra di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Sassari nel 1926, dopo pochi mesi si trasferì nella facoltà di scienze politiche dell'ateneo pavese dove insegnò ordinamenti degli Stati moderni. Divenuto ordinario nel 1929, venne chiamato nel 1932 a ricoprire la cattedra di diritto costituzionale della facoltà di giurisprudenza dell'università di Torino, che era stata di G. Mosca e di G. Arangio Ruiz senior. Nell'ateneo torinese fu preside per numerosi anni di quella facoltà e poi emerito; membro dell'Accademia dei Lincei, fu direttore di sezione e presidente dell'Accademia delle scienze di Torino.
L'opera del C., vasta e proficua, risulta particolarmente interessante per lo sforzo metodologico volto ad analizzare e controllare il "fattore politico" all'interno dell'autonoma rilevanza del metodo giuridico. Alla radice di una simile impostazione stanno evidentemente i molteplici e ricchi influssi culturali della scuola torinese, caratterizzata da figure eminenti quali quelle di F. Ruffini, di G. Mosca, di L. Einaudi e di G. Solari. A questo proposito, nell'attività scientifica del C. si possono rilevare due periodi distinti che nel tempo vengono a connettersi strettamente. Il primo, fino allo scoppio del conflitto mondiale, risulta più attento a ricercare e a mettere in evidenza le radici storiche del pensiero giuridico; il secondo e successivo è invece caratterizzato da una più consapevole integrazione del momento storico-politico con quello dogmatico.
Sin dalla sua prima opera, infatti, l'acuto interesse storico contribuì a fare del C. un giurista originale all'interno della scuola giuspubblicistica italiana caratterizzata dalla rivoluzione metodologica orlandiana. Il volume su Ilprincipio della sovranità popolare dal Medioevo alla Rivoluzione francese (Torino 1915) tende ad "indagare il processo che addusse alla moderna concezione dei diritti individuali" (p. VIII) attraverso una rivisitazione sistematica delle teoriche in materia.
Quest'opera di ricostrutone, attuata sotto F. Ruffini e con l'ausilio di G. Del Vecchio, pare sconfinare nella storia delle dottrine politiche, ma si giustifica in una prospettiva di più ampio respiro con la necessità di individuare in modo sistematico la base dogmatica caratterizzante gli ordinamenti contemporanei. In effetti il C. della maturità tese sempre a ricondurre a sintesi unitaria una serie di interessi divergenti e non puramente giuridici, capaci di rendere comprensibili elementi di omogeneità e di differenziazione nelle varie concretizzazioni empiriche dello Stato moderno e di rispettare, nello stesso tempo, la specificità e l'autonomia della scienza del diritto pubblico.
Se il manifesto metodologico di questa sua posizione sarà lo studio su Il fattore politico e le costituzioni (in Studi di diritto pubblico in onore di O. Raneletti, Padova 1930), la stessa costanza nel trattare i temi della monarchia (La competenza regia nel diritto italiano, Torino 1916; La monarchia nel diritto pubblico italiano, ibid. 1922) e del regime parlamentare (Lo Stato parlamentare in Inghilterra e in Germania, Pavia 1929) in un ambito non strettamente nazionale sottolineano il tentativo di costruire un tessuto in cui i fili dei vari ordinamenti positivi s'inserissero nella trama dello Stato liberale in trasformazione. Per raggiungere tale obiettivo., sotto il profilo metodologico il C. sentì fortemente la necessità di tenere distinti valori e fatti nell'analisi giuridica (cfr. Ilprincipio della sovranità dello Stato nel diritto italiano, in Archivio giuridico "Filippo Serafini", CVII [1933], 2, p. 147).
Lo Stato moderno, che per il C. si identificava con lo Stato di diritto, era il frutto della crisi storica del mondo medioevale ed era venuto a sostanziarsi nel movimento costituzionalistico, che aveva evidenziato una serie ben precisa di dogmi politici e morali. Questi costituivano quel "complesso di principi diversi sebbene fra loro coordinati e collegati che serv[ivano] per il conseguimento di un fine politico preminente nel momento storico in cui la Costituzione si attua" (Il fattore politico, p. 5). All'interno di questa visione, i "principi" si dispongono in una differente gerarchia proprio per aderire alle singole realtà statuali il cui "fine politico è ... indipendente dal complesso dogmatico e solo in via mediata ad esso subordinato" (Ibid., p. 6). Il sistema costituzionale risponde dunque come un mezzo più o meno adeguato al perseguimento della, finalità politica sulla base degli strumenti forniti dal complesso dogmatico e deve essere analizzato attraverso la tecnica giuridica. In questo modo il C. cercava di lanciare un ponte tra dogmatica giuridica e realtà storico-sociale, tenendo conto delle svolte epocali e facendo riferimento ai principi generali che costituiscono la base dei singoli ordinamenti (cfr. Osservazioni sui principi generali dell'ordinamento come fonte del diritto pubblico, in Istituto di esercitazioni nelle scienze giuridico-politiche, Torino 1926 e Diritto costituzionale, Torino 1937).
Affinando la ricerca su questo punto. il C. si spinse a sostenere, nell'analisi delle forme di Stato e di governo, l'impossibilità di pervenire a una completa classificazione giuridica delle stesse, poiché essa sarebbe stata capace di descriverne solo l'aspetto statico. In questo modo egli evidenziava la "specificità" del diritto costituzionale come scienza volta alla comprensione della statica e della dinamica costituzionale (cfr. Sulla classificazione delle forme di governo, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, Padova 1939, I., pp. 441 ss. e Sulla teoria delle forme di Stato, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, X [1931], pp. 18 ss.). La soluzione proposta dal C. sta nella "storicizzazione" della teoria delle forme di governo ed in quest'ambito meglio si comprende il contributo più valido da lui fornito alla scienza giuridica italiana, attraverso la sua insolita sensibilità comparatistica, che gli permise di individuare con sicurezza gli elementi comuni nello svolgimento della forma e della realtà costituzionale del suo tempo.
In un simile quadro concettuale s'inserì l'interesse scientifico e personale dei C. per la monarchia nell'ambito italiano. Mentre l'articolo pubblicato sulla Nuova Antologia nel 1915 (16 giugno, pp. 533-541), Lo Statuto del 1848 e l'opera del ministro Borelli (Con lettere inedite di Carlo Alberto), ed il più lungo saggio su La concessione dello Statuto e il ministro Borelli "redattore" dello Statuto (Con lettere inedite di Carlo Alberto) (Torino 1936) costituiscono la descrizione del substrato storico che spiega il passaggio dal principio monarchico al regime rappresentativo, il volume su La monarchia cit. segnala, in ambito strettamente giuspubblicistico, la transizione compiuta nell'ordinamento costituzionale italiano delle funzioni del re dalla figura della "prerogativa" a quella della competenza (pp. 24 ss.). Nell'analisi storico-costituzionale il C. non lesinerà simpatia e comprensione per la figura di Carlo Alberto e ammirazione per il Borelli, suo consigliere. Tuttavia, egli mise sempre consapevolmente in evidenza l'ineluttabilità storica del passaggio alla forma di Stato liberale rappresentativa.
Nel descrivere questa transizione il C. sottolineò come la costituzione formale e la stessa legislazione positiva assumessero valore differente a seconda della diversa influenza del "fattore politico". Sintomatici di questa impostazione, che in generale identifica una riflessione che troverà in Mortati il sistematizzatore del concetto di costituzione materiale, sono i saggi dedicati dal C. a La libertà religiosa nello Statuto albertino (in Archivio giuridico "Filippo Serafini", LXXXIX [1925], 1, pp. 68 ss.) e L'art. 1 dello Statuto e la sua evoluzione (in Annali della facoltà di scienze politiche dell'Università di Pavia, I [1929], 2, pp. 92 ss.) che analizzano lo svolgersi storico e giuridico di normative che nel tempo perdono il loro significato originario in relazione ai "principi" dominanti nell'ordinamento.
L'approfondita analisi operata dal C. sull'origine del regime parlamentare in Inghilterra e in Germania lo vide preferire, sulla scia della tradizione moderata di un Burke o di un Cuoco, la storicità alla razionalità costituzionale. In questa prospettiva le analogie che più tardi, nel secondo dopoguerra, il C. stabilirà tra Inghilterra e Piemonte sono in effetti agiografiche, ma non prive dell'affiato delle vecchie classi dirigenti che si piegano con giudizio davanti alle esigenze del tempo. D'altro canto, il modello britannico di democrazia parlamentare, che tanto successo aveva allora tra i costituzionalisti, fece propendere il C. per una visione diretta della democrazia nell'epoca del suffragio universale e lo convinse, durante gli anni Venti, anche della necessità di introdurre in Italia strumenti di stabilizzazione e selezione all'interno dell'ordinamento (cfr. La nouvelle loi électorale italienne, in Revue des sciences politiques, XLVIII [1924], pp. 88 ss.).
Mentre dal punto di vista empirico il concetto di "governo parlamentare" pareva al C. troppo esteso per riunire in un'unica categoria esperienze molto differenti, da quello più strettamente giuridico l'esistenza della "responsabilità del governo dinnanzi al Parlamento" veniva considerata come "un indice di tendenza verso il sistema parlamentare, di imitazione di forma, di metodo di governo, non già di assunzione di sistema". Utilizzando un'idea che presenta analogie con la concezione schmittiana del parlamentarismo, il C. sosteneva dunque che perché si avesse un regime parlamentare occorreva che "la costituzione si inform[ásse] a principi costruttivi precisi e che in primo luogo assum[esse] il principio della successione di organi omogenei, abbandonando il principio classico della contrapposizione tra organi" (cfr. Lo Stato parlamentare in Inghilterra e Germania, cit., pp. 133 s.). Con ciò il C. poteva, da un lato, criticare radicalmente la concezione dualistica di Redslob su cui si fondava la forma di governo weimariana e, dall'altro, esprimere la sua preferenza per il modello britannico in un periodo in cui il parlamentarismo non aveva buona stampa.
La sua impostazione particolarmente attenta al dato storico-politico spiega la facilità con cui egli cercò di evidenziare i principi del nuovo ordinamento fascista sia nella fase costitutiva sia in quella di più completa costituzione. Mentre nel periodo precedente al 1929 il C. penetrò nella dinamica istituzionale italiana degli anni Venti, inserendola in quella più vasta a livello europeo (cfr. La dottrina della delegazione di potestà legislativa materiale nel diritto italiano, francese e germanico, in Riv. di diritto pubbl., XIX[1927], 4-53 pp. 191 ss., e Sulla natura giuridica dei regolamenti indipendenti, Pavia 1928), negli scritti degli anni Trenta si occupò della nuova realtà istituzionale, credendo di rimanere nell'ambito dello Stato di diritto (cfr. Diritto costituzionale, cit.) ed interessandosi soprattutto dei temi della rappresentanza (cfr. IlSenato italiano nello Stato corporativo, in Lo Stato, IV[1933], pp. 578 ss., e Osservazioni sulla rappresentanza politica, in Scritti in onore di G. Vacchelli, Milano 1938, pp. 143 ss.).
A questo proposito c'è da osservare che l'aumentare progressivo della tecnicità del suo approccio metodologico costituì in parte uno schermo con cui il C. tese a proteggersi dall'eccessiva politicizzazione di una parte della dottrina del regime, nel cui ambito si inserì - però - apertamente.
Cambiato il contesto storico-politico, alla fine del secondo conflitto mondiale, il C. si preoccuperà di evidenziare i principi del nuovo ordinamento democratico nel volume su Lo Stato democratico. Presupposti costituzionali (Torino 1946) al fine di "orientare il politico nella scelta e nell'impiego appropriato dei vari istituti" (p. 267). Durante il periodo precedente il referendum istituzionale il C., fedele alla Corona, in una sua relazione dell'estate 1945 sosterrà l'illegittimità costituzionale del referendum stesso sulla base di motivazioni che ritenevano nulli i due decreti per la convocazione della Costituente e l'indizione del referendum in quanto in contrasto con lo Statuto albertino (cfr. G. Artieri, Umberto II e la crisi della monarchia, Milano 1981, p. 204).
Nel secondo dopoguerra il C. continuerà la sua opera scientifica e contribuirà validamente alla riflessione sul nuovo ordinamento costituzionale (cfr. due suoi saggi in La Constitution italienne de 1948, Paris 1950, pp. 43-74 e le note su la Giurisprudenzaitaliana del 1947-48). Negli anni '50 si dedicò soprattutto alla riconsiderazione di problemi metodologici più generali del diritto costituzionale. Tra i lavori di quest'ultimo periodo meritano di essere ricordati quelli su temi orlandiani (Orlandomaestro e scienziato: i suoi contributi al diritto costituzionale, in Rivistatrimestrale di diritto pubblico, III [ 1953], 33 pp. 23 ss. e Variazioni su un tema di V. E. Orlando, in Scritti in memoria diV. E. Orlando, Padova 1957, I, pp. 465 ss.), il saggio su Ilconcetto di costituzione nell'antichità classica e la sua modernità (in Studi in onore di L. Rossi, Milano 1952, pp. 97-113) e quello sul presidente della Repubblica (Gli organi costituzionali e il Presidente della Repubblica, in Rivista trimestrale di dirittopubblico, I [1951], 1, pp. 22 ss.) in cui tentò di rileggere la funzione del capo dello Stato sulla falsariga della Corona.
Il C. morì il 26 maggio 1962 a Torino.
Fonti e Bibl.: Sull'opera e sulla vita del C. cfr. i necrol. di F. Pierandrei, E. C., in Riv. trimestrale di dir. pubblico, XII (1962), pp. 637-640; M. A. Benedetto, E. C., in Boll. stor.-bibliogr. subalp., LX (1962), pp. 599-601. Per un inquadramento più generale all'interno della dottrina giuspubblicistica cfr. G. Cianferotti, Il pensiero di V. E. Orlando e la giuspubblicistica ital. fra Ottocento e Novecento, Milano 1980, pp. 301 ss. e M. Galizia, Profili storico-comparativi del diritto costituzionale, in Arch. giuridico "Filippo Serafini", CLXIV (1963), pp. 3 ss. Per la bibliografia completa delle opere del C. cfr. l'elenco pubblicato nel primo dei due volumi degli Studi in onore di E. C., Milano 1960.