ELETTROLITI
. Sono detti elettroliti forti quei soluti che disciolti in un solvente (generalmente acqua), si presentano con una dissociazione molto progredita, spesso totale, anche in soluzione concentrata. Le soluzioni di elettroliti forti in acqua conducono molto bene la corrente elettrica. Al contrario la dissociazione per gli elettroliti deboli nelle condizioni ordinarie non è molto forte e le loro soluzioni acquose conducono poco la corrente elettrica.
Particolare interesse riveste lo studio delle soluzioni di elettroliti forti (soluzioni reali) per le quali la chimica-fisica classica non era riuscita a formulare una teoria soddisfacente. L'ipotesi della dissociazione parziale di Ostwald (XXXII, p. 93) nel caso degli elettroliti forti diviene difficilmente sostenibile, poiché esistono diverse prove di natura sperimentale che confermano come la dissociazione per le soluzioni acquose di elettroliti forti sia praticamente totale, a meno che non ci si trovi di fronte a soluzioni troppo concentrate.
Il primo tentativo di una teoria degli elettroliti forti si deve a Milner, il quale nel 1912 ha supposto che, tra le particelle cariche prodotte dalla dissociazione (supposta totale) si stabiliscono delle attrazioni di natura elettrostatica, cui è appunto attribuibile quella deviazione che gli elettroliti forti presentano nei riguardi delle teorie classiche. Egli inoltre ritiene che a tali soluzioni di elettroliti forti sia applicabile l'equazione che Clausius ha dedotto per un gas reale:
equazione nella quale n è il numero di particelle di gas nel volume v, sottoposto a pressione p, m la loro massa, ū la velocità media, f la forza di attrazione tra molecole gassose ed r la loro distanza. La quantità Σ (fr) è chiamata viriale. Nell'applicare alle soluzioni reali l'equazione di Clausius, Milner suppone ancora che la distribuzione degli ioni ubbidisca alla statistica di Boltzmann, e calcola la somma dei prodotti delle forze di attrazione per le distanze in una particolare distribuzione statistica di ioni nella soluzione, somma che poi moltiplica per la probabilità che caratterizza tale particolare distribuzione. La somma generale di queste quantità, calcolate per tutte le distribuzioni possibili, è il viriale della soluzione di quella determinata concentrazione. La teocia di Milner, che pure porta ad interessanti coincidenze tra dati calcolati e trovati sperimentalmente, specie nel caso di soluzioni acquose di elettroliti mono-monovalenti, comportando delle difficoltà matematiche notevoli, non ha avuto molto seguito.
La successiva teoria di Ghosh (1918) parte ancora dall'ipotesi della dissociazione totale, attribuendo all'attrazione ionica una natura esclusivamente coulombiana e facendo un modello davvero strano della distribuzione ionica nella soluzione, supponendo che gli ioni nella soluzione siano disposti come in un cristallo cubico. Secondo Ghosh si rende libero dai vincoli di tale reticolo solo quello ione la cui energia cinetica vale almeno la metà del lavoro necessario per separarlo dagli ioni di carica opposta con cui è legato in quel reticolo. La velocità di tali ioni liberi da vincoli si distribuisce statisticamente.
Ma la teoria di Ghosh è in taluni punti addirittura contradditoria, ed è stata così presto abbandonata.
Debye e Hückel ripresero, a partire dal 1923, le idee di Milner sulla attrazione elettrostatica e pubblicarono una teoria i cui fondamenti sono i seguenti: 1) completa dissociazione; 2) l'attrazione cui si deve la deviazione dalle leggi classiche, è di natura coulombiana; 3) in seguito alla attrazione interionica, gli ioni di una determinata carica si circondano preferibilmente di ioni di carica opposta, e ciò (in contrapposto all'ipotesi di Ghosh) avviene senza alcuna direzione preferenziale; 4) la distribuzione ionica, retta dalla statistica di Boltzmann, vale: n(+) = n•e-εϕ/kT d v, per gli ioni di segno positivo, n(-) = n•e+εϕ/kT d v, per gli ioni di segno negativo, dove con n si indica il numero totale di ioni nell'elemento di volume dv, con ψ il potenziale elettrostatico, con ε la carica elementare, con k la costante di Botzmann e con T la temperatura assoluta; 5) poiché la densità di carica ρ per unità di volume vale:
Debye e Hückel suppongono ancora che al seno iperbolico sia sostituibile il suo argomento, il che è valido solo per εψ/kT molto piccolo. Quindi:
6) una seconda relazione tra potenziale elettrostatico e densità di carica è fornita dall'equazione di Poisson, di cui Debye e Hückel suppongono la legittima applicabilità al caso:
D = costante dielettrica; 7) secondo una prima approssimazione di Debye, D rappresenta la costante dielettrica del solvente.
Sulla base di questa ipotesi Debye e Hückel giungono, attraverso una teoria laboriosa dal punto di vista matematico, ad una espressione per il calcolo del coefficiente di attività fi; successivamente lo stesso Debye, considerando lo ione non puntiforme, ma avente una dimensione, ha modificato l'espressione, che nella forma definitiva è:
(con n = numero di ioni per cc., zi - valenza dello ione imo, Γ = forza ionica della soluzione definitita da Γ = Σ ci z²i; con ci = concentrazione in gr. ioni/litro. La quantità χ costituisce una grandezza caratteristica della teoria: essa vale l'inverso di una lunghezza e 1/χ viene definito come "spessore medio dell'atmosfera ionica". La quantità a, invece, è il cosiddetto "raggio ionico", e sta ad indicare la distanza media alla quale gli ioni, contornati da molecole di solvente, possono avvicinarsi.
Secondo una successiva approssimazione, Hückel ha supposto che la costante dielettrica D sia quella della solusione, ed ha supposto che essa sia una funzione lineare della concentrazione secondo la D = Do (i − β), con Do costante dielettrica del solvente e β una certa funzione lineare della concentrazione. Le espressioni finali del coefficiente di attività dedotto con questa variante sono formalmente complicate e qui non le riportiamo. Ci accontenteremo di dire che l'approssimazione di Hückel seppure segni un vantaggio rispetto a quella di Debye, tuttavia non porta spesso alla coincidenza fra calcolo ed esperienza, soprattutto se la soluzione è più che mediamente concentrata.
Nel 1933 G. B. Bonino ha fatto l'ipotesi che la dipendenza tra costante dielettrica della soluzione e concentrazione non sia lineare ed ha proposto una relazione della forma: D = D0 (i − μ), con μ una particolare funzione di ordine superiore della concentrazione stessa. Bonino fa ancora notare che il fattore (i − μ) viene a coincidere con la somma dei due primi termini dello sviluppo in serie della funzione e-μ quando μ diventa molto piccolo, ed in via più generale dunque scrive:
Da questa posizione Bonino riesce a calcolare i coefficienti di attività con un procedimento formalmente analogo a quello di Hückel, coefficienti che risultano praticamente coincidenti con quelli sperimentali anche per soluzioni molto concentrate.