MARRAS, Efisio
– Nacque a Cagliari il 2 ag. 1888, da Raffaele ed Elisa Marini. Allievo dell’Accademia militare di Torino dal novembre 1906, ne uscì sottotenente di artiglieria nel luglio 1909, passando poi alla scuola di applicazione. Promosso tenente nel luglio 1911, venne destinato al 19° reggimento di artiglieria pesante campale. Nell’aprile 1912 nell’ambito della guerra italo-turca partecipò all’occupazione delle isole del Dodecaneso. Assegnato dapprima all’ufficio informazioni della 6ª divisione speciale, a Rodi, rientrò poi al reparto di appartenenza, prestandovi servizio sino alla promozione a capitano, il 13 marzo 1915, e al successivo rimpatrio con destinazione al 13° reggimento artiglieria da campagna.
Nella prima guerra mondiale, dopo un periodo al fronte, durante il quale rimase ferito e ottenne una medaglia d’argento al valor militare, il M. venne destinato al corso pratico di stato maggiore, che concluse classificandosi 1° su 144 partecipanti. Nel marzo 1916 fu inviato in Albania, inizialmente al suo reggimento e poi, da settembre, all’ufficio operazioni del corpo di occupazione. Rientrato nell’aprile 1917 in Italia al ministero della Guerra, nel febbraio 1918 venne addetto alla segreteria della commissione di inchiesta sugli avvenimenti militari dell’ottobre-novembre 1917. Promosso maggiore a scelta nel marzo dello stesso anno, rimase al ministero fino al 1920.
Il 30 nov. 1918 sposò Giuseppa Trenta, con la quale ebbe quattro figli. Dal gennaio 1920 al 1° dic. 1921 frequentò il corso integrativo di stato maggiore presso la scuola di guerra di Torino, tornando poi all’ufficio operazioni. Permanendo nel medesimo incarico, venne trasferito in servizio di stato maggiore nel 1924. Il 7 marzo 1926 fu assegnato al 13° reggimento di artiglieria pesante campale. Promosso tenente colonnello pochi giorni dopo, mentre frequentava i corsi dell’Istituto di guerra marittima, a Livorno, venne destinato, nell’ottobre dello stesso anno, al 7° reggimento di artiglieria pesante campale, di guarnigione nella città labronica. Qui rimase sino all’ottobre 1928, insegnando anche storia e arte militare terrestre al corso superiore presso l’Accademia navale. Trasferito, fino dal giugno 1928, al corpo di stato maggiore, fece ritorno a Roma e, dall’anno successivo, ebbe l’incarico di capo ufficio del capo di stato maggiore generale, maresciallo P. Badoglio, ottenendo la promozione a colonnello per meriti eccezionali il 1° sett. 1931. Comandante del 6° reggimento di artiglieria pesante campale, a Modena, dal 7 sett. 1933, nel luglio 1936 fu destinato al ministero della Guerra per incarichi speciali (missione in Germania per avviare una collaborazione militare) venendo trasferito al corpo di stato maggiore il 16 ottobre successivo.
Il trasferimento coincise con la nomina, sollecitata dal maresciallo Badoglio, ad addetto militare a Berlino, accreditato anche per la Danimarca, la Svezia, la Lituania e, successivamente (1939), per la Slovacchia. Tranne una parentesi nella seconda metà del 1939, durante la quale fu per due mesi comandante dell’artiglieria del corpo di armata di Roma e poi, tra il 1° settembre e il 10 novembre, capo di stato maggiore della 5ª armata in Libia, il M. rimase a Berlino come addetto militare e, dal 18 nov. 1940, anche come «generale italiano presso il quartier generale delle Forze armate germaniche», fino all’8 sett. 1943. La permanenza in Germania coincise per il M. con una rapidissima progressione di carriera che lo vide generale di brigata il 1° luglio 1937, aiutante di campo onorario del re l’8 sett. 1938, generale di divisione il 1° luglio 1940 e di corpo d’armata il 1° genn. 1943.
Queste promozioni e la lunga durata della missione furono dovute alle notevoli doti del M., riconosciutegli sia dai due ambasciatori che si alternarono in quegli anni a Berlino, B. Attolico e D. Alfieri (che addirittura ne richiese il rientro dalla Libia), e che lo valutarono positivamente anche per la sua capacità di tener testa ai Tedeschi, alleati difficili e portati alla prevaricazione, sia dagli stessi ambienti militari germanici, anche se questi si dimostrarono sempre poco propensi ad accordare fiducia e collaborazione, con la sola eccezione del capo dell’Abwehr, l’ammiraglio W. Canaris.
Il periodo berlinese del M. coincise con il riarmo tedesco, la crescita della Wehrmacht, il Patto d’acciaio, la prima fase della seconda guerra mondiale e il passaggio, per l’Italia, dalla «guerra parallela» alla «guerra subalterna», sino alla crisi dell’estate del 1943.
Parte del carteggio del M. di quegli anni decisivi venne da lui preventivamente messa al sicuro, agli inizi del 1943, scampando così all’inevitabile distruzione nei giorni dell’armistizio, e poi affidata dal M. stesso all’Ufficio storico dello stato maggiore Esercito, nel cui Archivio è oggi conservato in 9 dei 13 faldoni del Fondo Marras.
Il potenziamento delle forze armate tedesche e il loro ordinamento alla vigilia della guerra vennero osservati e puntualmente comunicati a Roma, così come i successivi eventi bellici, che il M. dovette valutare quasi esclusivamente sulla base delle informazioni che i Tedeschi elargivano, anche all’alleato, con estrema parsimonia. Nel 1943 la caduta della Tunisia e lo sbarco angloamericano in Sicilia rappresentarono l’inizio della fine dell’alleanza, come venne chiaramente avvertito dal M. che vedeva nei rinforzi tedeschi avviati in Italia soprattutto un atto preventivo di Berlino contro un’eventuale defezione italiana.
Dopo il 25 luglio Badoglio incaricò il M. di rassicurare A. Hitler sulla volontà del governo di Roma di continuare la guerra. Il difficile colloquio si svolse il 30 luglio, con esito interlocutorio, e portò al successivo colloquio tra i ministri degli Esteri e capi di stato maggiore italiani e germanici a Tarvisio il 6 agosto, al quale il M. ugualmente partecipò. Quando, la sera dell’8 settembre, la radio diffuse la notizia dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, carte e cifrari vennero dati alle fiamme. Il 10 l’ambasciata fu sgombrata ma, mentre il resto del personale fu internato a Garmisch-Partenkirchen, il M., durante il viaggio, venne tratto in arresto dalla Gestapo, insieme con gli addetti navale e aeronautico. Fu processato e poi destinato al campo di concentramento di Sachsenhausen, dove rimase fino al 31 marzo 1944. Consegnato alle autorità della Repubblica sociale italiana, dopo una sosta, fino al 10 maggio, nella prigione di Verona, venne trasferito al carcere militare di Gavi. Il 25 agosto evase dandosi alla clandestinità e riuscendo a raggiungere, il 24 novembre, la Svizzera. Qui rimase fino al termine del conflitto, collaborando saltuariamente con i servizi informativi.
Ripreso servizio, il 20 maggio 1945 fu nominato comandante territoriale di Milano, un comando, in quel momento politico, di estrema delicatezza, viste le condizioni dell’ordine pubblico, che resse fino al 1° febbr. 1947, quando venne nominato capo di stato maggiore dell’Esercito.
La permanenza del M. in tale incarico si protrasse fino al 1° dic. 1950 e coincise con la fase iniziale della riorganizzazione dell’Esercito e l’adesione dell’Italia al Patto atlantico. Di quest’opera di rinnovamento il M. fu l’artefice insieme con R. Pacciardi, che resse il ministero della Difesa nello stesso periodo.
L’Esercito che, nel 1947, alla firma del trattato di pace, contava 5 divisioni binarie e 3 brigate, equipaggiate con materiali britannici assai usurati, ed era privo di unità corazzate, di artiglieria pesante e da montagna, poteva contare nel 1950 su 9 divisioni di fanteria, una brigata corazzata e una alpina, con altre unità in costituzione e un sistema scolastico e addestrativo completamente riorganizzato, essendo stati raggiunti gli obiettivi, previsti per la prima fase, dal piano di riordinamento sottoposto dal M. al governo nel maggio 1948. L’Esercito, poi, rispose positivamente sia all’emergenza dell’estate 1948, a seguito dell’attentato a P. Togliatti, sia alla necessità di approntare e inviare in Somalia, nel 1950, un corpo di sicurezza, a seguito dell’affidamento all’Italia dell’amministrazione fiduciaria di quel territorio. Due missioni del M., una in Germania presso le autorità statunitensi di occupazione, nell’ottobre 1948, e l’altra a Washington, presso i vertici del Pentagono, nel dicembre successivo, furono fondamentali per chiarire al governo di Roma le intenzioni americane e per indurlo poi ad aderire al Patto atlantico. L’apporto degli Stati Uniti alla ricostruzione delle forze armate fu determinante, specie nel campo degli armamenti, e, con l’adesione alla NATO, si passò dalle dottrine di impiego britanniche, adottate per necessità nel 1944, a quelle americane.
L’evoluzione e l’ampliamento dell’Esercito proseguirono lungo le linee già tracciate anche quando, a fine 1950, il M. venne nominato capo di stato maggiore della Difesa, nomina tanto più significativa in quanto il titolare di quest’incarico, a differenza di quanto si verificava in precedenza per il capo di stato maggiore generale, non era più alle dirette dipendenze del ministro della Difesa ma aveva poteri effettivi di coordinamento e di intervento nell’organizzazione delle Forze armate.
Gli obiettivi del piano del 1948 relativo all’Esercito vennero quindi raggiunti e addirittura superati, grazie anche al materiale fornito dagli Stati Uniti, e l’Esercito si trovò, anzi, con un’intelaiatura troppo larga rispetto alla forza bilanciata, pur se c’è da osservare che, allora, la minaccia del Patto di Varsavia alla «soglia di Gorizia» faceva aggio su tutte le obiezioni.
Una possibile minaccia, su scala assai più limitata, da parte della Iugoslavia, per risolvere con la forza la questione di Trieste, venne fronteggiata negli ultimi mesi del 1953 con lo schieramento sulla frontiera di 4 divisioni di fanteria e 3 brigate alpine, con il prolungamento della leva per il primo contingente della classe 1931 e il richiamo di circa 13.000 riservisti. Il problema fu poi risolto per via diplomatica l’anno successivo. Il M., che per limiti di età era stato collocato nella riserva il 2 ag. 1951 e alla stessa data richiamato in servizio, rimase in carica fino al 15 apr. 1954, ripassando poi nella riserva.
Il 22 nov. 1954 venne nominato cancelliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, incarico che ricoprì per moltissimi anni prima di ritirarsi definitivamente a vita privata.
Il M. morì a Roma il 28 genn. 1991.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’Esercito, Biografie, bb. 84, 89; Fondo L.13, bb. 42-54; G. Carboni, Memorie segrete 1935-1948, Firenze 1955, ad ind.; L. Nuti, L’Esercito italiano nel secondo dopoguerra, 1945-1950, Roma 1989, ad ind.; V. Ilari, Storia militare della prima Repubblica, Ancona 1994, ad ind.; S. Pelagalli, Il generale E. M. addetto militare a Berlino (1936-1943), Roma 1994; O. Bovio, Storia dell’Esercito italiano (1861-1990), Roma 1996, ad indicem.