Rand, Edward Kenneth
Studioso nordamericano (1871-1945), allievo della Harvard University; più tardi (1898-1900) studia a Monaco, con L. Traube, cui deve una buona formazione di paleografo e una proficua inquadratura concettuale che gli consentirà di saldare i suoi interessi morali e teologici con il fervido culto per il classicismo secolare degli scrittori e poeti latini a cui era stato indirizzato dai suoi maestri harvardiani. Fedele all'idea sostenuta dal suo maestro, procedendo per così dire a ritroso, costantemente risale dall'ethos cristiano dei padri fondatori del Medioevo - Ambrogio, Gerolamo, Boezio, Agostino - ai testi della classicità profana che l'hanno a loro modo alimentato.
Nel 1900 il R. si addottora a Monaco con una tesi sull'opuscolo De Fide catholica di cui egli si sforza di negare la paternità boeziana (di una palinodia si trova però traccia in una sua tardiva dichiazione da riportarsi agli anni in cui egli accarezzava l'idea di un'edizione critica degli Opuscola sacra di Boezio). Il resto della sua carriera accademica è completamente harvardiano: nel 1901 entra nei ruoli dell'insegnamento come ‛ istruttore ' di latino, nel 1909 succede a C.H. Moore nella cattedra di studi latini (Pope professorship of Latin), cattedra che egli occupa fino all'uscita dai ruoli avvenuta nel 1942, a tre anni dalla morte.
L'opera di D. rientra nell'orizzonte delle esplorazioni del R. in un felice momento di fervore filologico quando (1910-1912) è portato a mobilitare, nel quadro di un'impresa patrocinata dalla Società Dantesca americana, il suo buon mestiere di classicista. Sono gli anni delle Dantis Alagherii Operum Latinorum Concordantiae elaborate collegialmente dal R., da E.H. Wilkins e da A.C. White (Cambridge, Mass., 1912). Il testo su cui si fondano il R. e i suoi compagni di lavoro è quello di Oxford del 1904, ma non mancano opportuni sondaggi su edizioni che danno maggiori garanzie di attendibilità filologica (il De vulg. Eloq. curato dal Rajna, le Eclogae edite dall'Albini, la Quaestio de aqua et terra edita dallo Shadwell). Unico punto contestabile, prontamente rilevato dai recensori italiani, rimane l'assenza dal quadro delle opere latine ricostruito dal R. delle tre lettere scritte da D. per la contessa di Battifolle. Le concordanze di queste lettere verranno poi elaborate dal R. e consegnate a un opuscolo pubblicato nel 1926 sempre sotto gli auspici della Dante Society of America.
Ai margini di questo lavoro nasce il suo scritto più significativo in materia dantesca: The Latin concordance of D. and the genuineness of certain of his Latin works (in " Annual Report of the D. Society " XXIX [1912] 7-38), ove partendo dalla misura di frequenza della fraseologia tecnica di D. e da un sondaggio sui nessi sintattici dell'apparato argomentativo delle sue opere latine dimostra la plausibilità dell'attribuzione a D. di quelle opere che intorno al 1910 gli venivano ancora patentemente contestate (oltre alla lettera a Cangrande, la Quaestio) e propone, fondandola sull'analogia del comportamento stilistico della Quaestio e della Monarchia, un'ipotesi di periodizzamento che colloca la Monarchia alla fine della carriera di D., a ridosso della Quaestio.
È da notare che, parlando della Monarchia, il R. non solo trova filologicamente ingiustificabile il sospetto in cui è caduto presso molti l'inciso del XII capitolo del primo libro in cui si allude a materia già trattata nel Paradiso, ma ne prova, con scaltrezza di analisi che il Rostagno ebbe forse torto a trascurare nella sua edizione del 1921, la piena compatibilità con lo stile di Dante.
Frequenti allusioni alla Commedia si trovano nell'opera più nota del R., Founders of the Middle Ages (Cambridge, Mass., 1928), il cui ultimo capitolo s'intitola (" St. Augustine and Dante ". Per quanto il libro rievochi troppo da vicino nel brio ostentato di certi suoi passaggi e nelle sue ‛ callidae iuncturae ' l'uditorio non specializzato a cui esso intendeva rivolgersi, la linea della sua concezione non appare oggi del tutto priva di plausibilità.
Conformemente all'orientamento esegetico della scuola del Traube, il R. è portato a esaminare nel capitolo suindicato il momento classicistico e più specificamente ciceroniano della formazione di Agostino, momento che egli colloca tra la stagione della conversione e quella del battesimo. Di questi anni è il De Quantitate animae non estraneo all'aura del Somnium Scipionis e delle Tusculanae disputationes, un precedente, comunque, destinato a lasciare traccia nell'itinerario dell'anima di D. in cerca della verità del Paradiso. Come l'Agostino del De Quantitate animae si rivela al critico una sorta d'intermediario tra il Cicerone più platonizzante e il D. autore del Paradiso, così l'Agostino più impegnato e severo del De Civitate Dei diventa l'anello di congiunzione tra il Virgilio cantore dell'Impero e il D. che nell'esaltante metafora di anticipazione del Paradiso terrestre messa in bocca a Beatrice prevede per il pellegrino che porta il suo nome la cittadinanza senza fine di quella Roma onde Cristo è romano.
Altro scritto di argomento dantesco è D. and Petrarch in a painting by Giovanni dal Ponte, in " Fogg Art Museum Notes " genn. 1923.