MASSARI, Eduardo
– Nacque a Spinazzola, in Terra di Bari ai confini con la Basilicata, l’8 luglio 1874 da Filippo e da Maria de Marinis. Si laureò a Napoli e sulle orme del padre, consigliere di corte d’appello, vi rimase come magistrato: pretore sino al 1904, quindi sostituto distaccato presso la procura generale.
L’esordio editoriale risale a un paio di note a sentenza (la prima su Il fine a delinquere ed il delitto di sciopero, in Riv. pratica di dottrina e giurisprudenza, II [1904], 10, pp. 938-944), ospitate da periodici giudiziari locali, e a un contributo sulla pubblicità commerciale (Le agenzie d’informazioni e il delitto di diffamazione) apparso negli Studi giuridici in onore di Carlo Fadda (I-VI, Napoli 1906, III, pp. 233-267). Nello stesso anno pubblicò un saggio riguardante Il processo penale (in Il Filangieri, XXXI [1906], pp. 241-269), che rivelava solidità dogmatica e notevole padronanza della pandettistica. Analogo spessore teoretico connota la monografia La norma penale (Santa Maria Capua Vetere 1913), ambizioso tentativo di costruire una dottrina generale penalistica.
La successiva produzione, dopo una parentesi «costituzionalistica» (Sul valore delle relazioni ministeriali alle leggi, in Riv. di diritto e procedura penale, V [1914], parte 2a, 2, pp. 105-113; Il sindacato parlamentare sui decreti-legge, ibid., parte 1a, 10, pp. 577-586), fu scandita dalle contingenze. Durante la prima guerra mondiale il M. prese a collaborare con La Giustizia penale e La Scuola positiva; da quest’ultima testata censurò una pronuncia del tribunale di Milano che, in base ad argomenti giusnaturalistici e «sia pur con l’intento lodevole di fare opera patriottica», aveva rubricato come «delitto internazionale» gli atti ostili perpetrati dall’Austria-Ungheria (La tutela penale degli usi di guerra, Milano 1916). Al termine del «biennio rosso» si sentì in dovere di assolvere la magistratura dalle accuse d’inerzia di fronte agli scontri di piazza, ma non nascose la necessità di stemperare le frizioni tra giustizia e amministrazione introducendo correttivi come l’autorizzazione a procedere (Politica e giustizia penale, in La Corte d’appello, 1921, n. 3-4, pp. 3-43 dell’estr.).
Nel 1916 intanto, sollecitato da Arturo Rocco, aveva conseguito a Napoli la libera docenza in diritto e procedura penale. Nel 1920 fu dichiarato promovibile, «per merito eccezionale», a sostituto procuratore generale e destinato a Castrovillari. Tuttavia, avendo vinto nel medesimo anno il concorso di professore straordinario in diritto penale bandito dall’Università di Messina, rassegnò le dimissioni da magistrato e optò per la carriera accademica.
Dopo un anno d’insegnamento a Cagliari, nel 1921 fu chiamato a Pisa sulla cattedra ch’era stata di G. Carmignani e F. Carrara. Durante il soggiorno pisano approfondì l’analisi strutturale del reato, descritto – in due corposi saggi apparsi negli Annali delle Università toscane del 1922-23 – come sintesi di volontà, condotta ed evento. I due studi confluirono nella monografia Il momento esecutivo del reato. Contributo alla teoria dell’atto punibile (Pisa 1923), definita da De Marsico (1976, p. 20) capolavoro della letteratura penalistica novecentesca.
Nel 1925 approdò alla cattedra napoletana di diritto penale, raccogliendo l’eredità di E. Pessina e Arturo Rocco. Nella facoltà giuridica fridericiana, di cui divenne preside nel 1928, non suscitò «entusiasmo di aula» (Napolitano, p. 161), ma dalle lezioni sortirono il Corso di diritto penale. Parte generale. 1925-26 (Napoli 1926, ripubbl. nel 1928 e poi, nello stesso anno, a Spoleto con il titolo Le dottrine generali del diritto penale. Corso di lezioni universitarie) e i Lineamenti del processo penale italiano (Napoli 1927; 2ª ed., ibid. 1928-29).
Nel 1925 il M. intervenne al IX congresso penitenziario di Londra, dove ripropose il filtro dell’autorizzazione a procedere per i delitti politici. Svolse un ruolo attivo nelle conferenze di Varsavia (novembre 1927) e Roma (maggio 1928) per l’unificazione del diritto penale internazionale: tema che promosse anche al congresso penale e penitenziario di Praga, del 1930. Presenziò inoltre ai simposi di Bruxelles (1926) e di Bucarest (1929) dell’Associazione internazionale di diritto penale.
Ma, in quegli anni, fu soprattutto assorbito dall’attività di legislatore. Dal 1924 partecipò ai lavori, avviati dal ministro A. Oviglio e terminati senza successo nel 1931, per la riforma del codice per la Marina mercantile. Nel contempo, all’interno della commissione guidata da M. D’Amelio, affiancò S. Longhi nella revisione dei profili penali del codice di commercio.
Nel 1925 fu inserito, insieme con E. De Nicola e come vice del presidente Arturo Rocco, nel comitato di redazione del codice penale. Mentre il progetto «preliminare» approntato (ottobre 1927) dal comitato ristretto compiva il suo percorso, il M. ne preannunciava i tratti salienti e, soprattutto, la conferma dei tradizionali criteri di imputabilità (cfr. Les origines et l’élaboration de la réforme pénale fasciste, estr. da la Revue pénitentiaire de Pologne, IV [1929], parte 1ª, 6, pp. 9 s.). E, ancora al M., insieme con Rocco e V. Manzini, toccò la revisione tecnica dell’articolato definitivo.
Il M. non può dunque reputarsi estraneo all’impianto fascista del codice sostanziale. Del resto, davanti alla comunità scientifica internazionale, dichiarò di condividere, del programma penalistico mussoliniano, il ripudio delle dottrine demagogiche postcarrariane nonché la convinzione che, decapitata l’«idra del delitto», patria, religione, famiglia e moralità si sarebbero avviate ai «destini supremi» (Les origines…, cit., pp. 5, 10 s.).
Meno diretto fu il suo coinvolgimento nella stesura del codice di rito, affidata a Manzini. Reca comunque la sua firma, accanto a S. Galgano e G. Meloni, il parere sul progetto preliminare stilato dalla facoltà di giurisprudenza di Napoli, che recepiva l’insofferenza del ministro Rocco verso il «sentimentalismo» garantista e invocava un ritorno alla repressione (R. Università degli Studi di Napoli, Relazione della Commissione incaricata dalla facoltà di giurisprudenza di esaminare il progetto preliminare di un nuovo c.p.p., Napoli 1929, pp. 3 s.).
Dopo l’entrata in vigore dei codici, sviscerò I problemi del diritto transitorio nella Riv. di diritto penitenziario (IX [1931], 4, pp. 853-866), con cui intraprese un’assidua collaborazione, tanto da figurare tra gli «antesignani» studiosi del settore. Nel 1932 pubblicò a Napoli Il processo penale nella nuova legislazione italiana. Libro I: Le dottrine generali. Il Libro II: Il procedimento uscì sempre a Napoli, postumo e incompleto, nel 1934 per volontà della vedova e a cura dell’allievo G. Leone.
L’ultima fatica del M. fu la nota a una sentenza della Cassazione (L’interesse ad agire nel procedimento di accusa, in Il Foro italiano, LVIII [1933], 10, parte 2a, col. 210).
Come avvocato, iscritto dal 1925 all’albo di Napoli, patrocinò prevalentemente in Cassazione, occupandosi anche di cause civili. Nel 1930 entrò nel Consiglio superiore forense, dove diede prova di autonomia.
Il M. morì a Napoli il 31 dic. 1933.
La fisionomia intellettuale del M. risente della dialettica tra scuole. Il suo dissenso dal positivismo si inasprì negli anni della docenza: nella prolusione pisana del 1921 contestò ai seguaci di E. Ferri d’aver liquidato «l’indagine dogmatica» come «reliquato di […] astruserie metafisiche», salvo poi riscoprirne l’«imperitura vitalità», a riprova che «l’insegnamento carrariano non è morto» (L’elemento soggettivo del reato nelle novissime proposte di riforma, in Riv. penale, XLVIII [1922], vol. 95, pp. 5-9). Fu, probabilmente, la confessata propensione per il dogmatismo «tedeschizzante» a spingere il M. verso l’indirizzo tecnico-giuridico, sino a diventarne rapidamente uno dei «pontefici», accanto a Rocco e Manzini, con i quali fondò e diresse nel 1929-30 la Rivista italiana di diritto penale.
Dell’indirizzo tecnico-giuridico il M. rispecchia l’ambiguità del rapporto tra legge positiva e costruzione dottrinale. Se ne La norma penale del 1913 aveva avvertito «i codicisti rappresentanti del tradizionalismo» che anche nel penale la norma di legge non riusciva più a contenere la «flagrante realtà» (cit., p. IX), Le dottrine generali del 1928 si aprivano con un monito stentoreo: «La scienza del diritto penale ha per oggetto lo studio sistematico del diritto penale vigente, ossia del diritto positivo. Non esiste altro diritto penale all’infuori di quello raccolto nella legislazione dello Stato» (La norma penale, p. 5).
Come penalista, il M. si spese soprattutto sul tema dell’imputabilità, che egli, contro la responsabilità «legale» dei positivisti, fondava sulla capacità psichica di volere estrinsecantesi nell’«atto pratico». Si batté inoltre per la natura giurisdizionale (anziché amministrativa, come sostenevano Rocco e Manzini) delle misure di sicurezza, salvo tardive puntualizzazioni (Il processo penale, 1932, cit., p. 33). Innovative furono le sue intuizioni sugli elementi costitutivi del reato, sulle condizioni obiettive di punibilità e procedibilità.
Un apporto forse ancor più rilevante il M. fornì nell’elevare «a dignità di scienza» la procedura penale. Sin da Il processo penale del 1906 propugnò – sulla scia di L. Mortara – l’«unificazione concettuale» delle due procedure (cit., pp. 241-244). Da G. Chiovenda trasse spunto per configurare l’azione penale come diritto potestativo (Lineamenti, ed. 1927, pp. 25-27). Idee che trovarono una sistemazione nel trattato Il processo penale nella nuova legislazione italiana, cui però fu rimproverato (cfr. Precone) l’assetto macchinoso e l’appiattimento al codice appena varato. In effetti il M. aderì ad alcune soluzioni tecniche (l’attribuzione al pubblico ministero della qualità di parte, il ripristino dell’istruzione segreta, il rifiuto della presunzione d’innocenza) congeniali all’ideologia punitiva fascista: al pari del primato (teorizzato ne La probità processuale come dovere giuridico, in Annali di diritto e procedura penale, I [1932], 3, pp. 1-9) dell’interesse generale alla sentenza «giusta» su quello individuale alla pronuncia «favorevole». Va tuttavia segnalato che il M. si adoperò, con intento garantista, per preservare la sopravvivenza di alcune nullità «assolute», nonostante «il contrario pensiero manifestato dai lavori preparatori» (Il processo penale, 1932, cit., pp. 461-468).
Fonti e Bibl.: A. Rocco, Il problema e il metodo della scienza del diritto penale. Prelezione al corso di diritto e procedura penale letta nella R. Università di Sassari il 15 genn. 1910, in Riv. di diritto e procedura penale, I (1910), parte 1ª, p. 571; Cattedre universitarie, in Riv. penale, L (1925), vol. 101, p. 296; [G. Sabatini], Profili di criminalisti: E. M., in La Scuola penale unitaria, III (1929), pp. 190-204; E. Brangi, Ombre e figure. Contributo alla storia della magistratura e della curia napoletana dal 1860 ai nostri giorni, II, Napoli 1931, pp. 594-596; G. Sabatini, Principî di diritto processuale penale, Città di Castello 1931, p. 323; M. Precone, Recensione a E. Massari, Il processo penale nella nuova legislazione italiana, I, in Il Nuovo Diritto. La pretura, X (1933), 5, p. 330; G. Meloni, Alcune considerazioni sull’azione penale, in Riv. penale, n.s., VI (1935), 1-4: Studi in onore di S. Longhi, p. 173; A. De Marsico, Lezioni di diritto processuale penale, Napoli 1936, pp. 46-48, 237-241; Scritti giuridici in memoria di E. M., Napoli 1938 (in partic. i saggi di E. Florian, Nullità assolute nel codice penale vigente?, pp. 23 s.; G. Delitala, Analogia in «bonam partem», p. 511; G. Novelli, Le modalità dell’esecuzione delle pene e la tutela giuridica del condannato, p. 522; G. Leone, Sulla pluralità dell’azione penale, pp. 551-560); F.P. Gabrieli, M. E., in Nuovo Digesto italiano, VIII, Torino 1938, p. 215; B. Petrocelli, In memoria di E. M., in Id., Saggi di diritto penale, Padova 1952, pp. 151-158; G. Napolitano, E. M. artista della parola giuridica (1934), in Id., Arte e artisti della parola, Napoli 1954, pp. 161-168; A. De Marsico, E. M., in Scritti giuridici in memoria, cit., pp. IX-XVI, poi in Id., Penalisti italiani, Napoli 1960, pp. 51-57; Id., Per i busti di Ugo Forti, E. M., Mattia Limoncelli. Discorso pronunciato… in Castelcapuano il 15 dic. 1973, Napoli 1976, pp. 15-27; M. Sbriccoli, Le mani nella pasta e gli occhi al cielo. La penalistica italiana negli anni del fascismo, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXVIII (1999): Continuità e trasformazione: la scienza giuridica italiana tra fascismo e Repubblica, I-II, pp. 826 s., 844, 848; A. De Marsico, Gli ultimi ottant’anni del foro di Napoli, in Per Alfredo De Marsico. Due secoli di eloquenza forense, Napoli 2000, pp. 317-330; P. Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano 2000, p. 258; M. Sbriccoli, Codificazione civile e penale, in Diz. del fascismo, a cura di V. De Grazia - S. Luzzatto, Torino 2002, I, pp. 302 s.; A. Meniconi, La «maschia avvocatura». Istituzioni e professione forense in epoca fascista (1922-1943), Bologna 2006, pp. 151, 153.