SOGNO, Edgardo
– Nacque a Torino il 29 dicembre 1915, figlio unico di Adolfo, discendente da un casato di antica nobiltà terriera biellese (i Rata del Vallino di Ponzone), e Laura Piatti, appartenente a una famiglia di costruttori edili.
Dopo gli studi liceali presso un collegio gesuita, entrò diciassettenne nella scuola allievi ufficiali di Pinerolo, divenendo sottotenente del reggimento Nizza Cavalleria. Laureatosi in giurisprudenza nel 1937 nell’ateneo torinese (ebbe tra i suoi docenti Luigi Einaudi), tentò senza fortuna il concorso per la carriera diplomatica. Sebbene ostile al regime mussoliniano, giudicato demagogico e oppressivo delle libertà individuali, nel 1938 partì come volontario per la guerra di Spagna, dove ottenne una medaglia di bronzo al valore militare combattendo a sostegno del fronte nazionalista.
Mettendo sullo stesso piano le dittature di destra e il comunismo sovietico, rifiutando in Italia il bellicismo fascista ma aderendo in Spagna alla ‘crociata’ contro il bolscevismo, il giovane Sogno già adombrava quella lettura della storia novecentesca in chiave di antitotalitarismo liberale che ne caratterizzò l’impegno politico della maturità.
Tornato in Italia nel maggio del 1939, conseguì due nuove lauree (in lettere e scienze politiche) e si dedicò al giornalismo, scrivendo di politica economica sui quotidiani Telegrafo e Corriere adriatico. Fallito nel 1940 il secondo tentativo di entrare nel ruolo diplomatico, nell’estate del 1942, sebbene fosse stato contrario alla guerra che l’Italia aveva intrapreso al fianco dei nazisti, fece domanda d’arruolamento nell’armata italiana in partenza per il fronte russo. Tuttavia, grazie alle pressioni e conoscenze dei familiari, che temevano per la sua vita, finì comandato nella vicina Nizza dove, in funzione antisbarco e di sorveglianza delle coste, era di stanza il suo antico reggimento. Nella cittadina francese, dopo aver assistito alla deportazione di gruppi di ebrei, si espresse pubblicamente a favore della vittoria alleata: denunciato alle autorità militari, venne trasferito a Torino, accusato di alto tradimento e messo agli arresti domiciliari per un mese e mezzo.
Vicino agli ambienti dell’antifascismo liberale torinese, monarchico e legato a Casa Savoia per educazione familiare e giuramento professionale, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo che il suo reggimento era stato disarmato dai tedeschi, raggiunse il governo del re in esilio a Brindisi per mettersi a disposizione del comando supremo italiano e degli Alleati. Inviato per addestramento ad Algeri sotto l’egida della Number one special force (l’unità dell’esercito britannico incaricata delle missioni militari nel territorio italiano), rientrò segretamente in Piemonte nel gennaio del 1944 con un volo clandestino. Fu l’inizio della sua attività nei ranghi della Resistenza militare, dove ben presto si guadagnò, grazie anche al suo carattere ardimentoso, una larga fama con il nome di copertura Franco Franchi, che sarebbe poi divenuto quello della formazione da lui comandata e composta in gran parte da ex soldati e da combattenti di sentimenti liberal-monarchici.
Negli anni della lotta armata il ruolo di Sogno fu essenzialmente quello di tramite operativo tra i servizi inglesi e le formazioni partigiane riunite nel Corpo volontari della libertà. Ebbe in particolare stretti rapporti con il generale Raffaele Cadorna e con il presidente del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) Alfredo Pizzoni. Compì numerose missioni sotto copertura: liberazione e scambi di prigionieri, rifornimenti di armi agli insorti attraverso lanci aerei, esfiltrazioni di esponenti della Resistenza verso le zone d’Italia controllate dagli Alleati, atti di sabotaggio, infiltrazioni oltre le linee nemiche, combattimenti in campo aperto, contatti e scambi con il maquis francese. Ma ebbe, in quanto rappresentante dei liberali nel comando militare del CLNAI, anche ruoli più politici: nel novembre del 1944, insieme a Pizzoni, Ferruccio Parri e Giancarlo Pajetta fece, per esempio, parte della delegazione che concluse con il comando alleato gli accordi di Roma per la collaborazione politico-militare. Fu arrestato due volte dai tedeschi: la prima a Genova nel marzo del 1944, ma riuscì a evadere in modo rocambolesco, la seconda nel febbraio del 1945, dopo il fallimento di un azzardato piano che, con Sogno travestito da ufficiale delle SS, avrebbe dovuto portare alla liberazione di Parri detenuto a Milano. Scoperto e catturato dai nazisti, venne torturato e internato prima a Verona poi in un campo di prigionia a Bolzano, dove restò sino alla fine del conflitto. Per questo suo impegno nella guerra di Liberazione gli venne assegnata la medaglia d’oro al valor militare.
La sua attività di combattente contro il nazifascismo – raccontata dallo stesso Sogno nei suoi libri di memorie: in particolare Guerra senza bandiera (Roma 1950) – è stata oggetto, in sede politica e storiografica, di valutazioni contrastanti. Lo si è considerato un individualista mosso dall’avventurismo; un agente al servizio degli inglesi; un anticomunista militante, come avrebbe dimostrato l’evoluzione del suo percorso politico; un lealista monarchico interessato a neutralizzare le spinte rivoluzionarie del movimento partigiano. In realtà, non potendosi mettere in discussione il suo credo antifascista e il suo coraggio personale, lo si deve iscrivere tra coloro che, partendo da posizioni moderate e conservatrici, hanno interpretato la Resistenza, in una prospettiva liberal-risorgimentale, come una guerra di Liberazione nazionale. Da qui i suoi contrasti con le fazioni più ideologizzate (dai comunisti agli azionisti) dell’antifascismo e la sua preoccupazione che i partiti presenti all’interno del CLNAI potessero trasformare le singole bande in strumenti di azione politica e strumentalizzarne l’impegno militare. Un tema polemico tipicamente antipartitocratico e latamente antipolitico al quale si mantenne fedele anche nei decenni successivi, radicalizzandolo tuttavia sul piano dell’interpretazione storiografica. In questa prospettiva va iscritta la progressiva svalutazione del contributo offerto alla Resistenza dall’ala politico-militare comunista operata da Sogno nei suoi scritti più tardi, segnati dalla polemica anticomunista, laddove in quelli più prossimi all’esperienza della guerra il suo giudizio era stato maggiormente equilibrato anche se pur sempre critico verso le finalità rivoluzionarie e classiste perseguite dai partigiani ‘rossi’.
Terminato il conflitto, si dedicò al giornalismo. Dal luglio del 1945 all’agosto del 1946 fu direttore (oltre che fondatore e proprietario) del quotidiano Corriere lombardo e, sempre nello stesso biennio, direttore del quindicinale (poi bimestrale) di cultura Costume. Nel settembre del 1945 tentò anche la strada della politica attiva, entrando a far parte della Consulta nazionale del Partito liberale italiano (PLI) e in questa veste fu membro del primo Parlamento dell’Italia libera. Ma si trattò, in entrambi i casi, di una breve parentesi, anche per ragioni private. La sconfitta nel referendum costituzionale della monarchia (che aveva apertamente sostenuto), quella del PLI nelle elezioni per la Costituente, nonché il matrimonio contratto il 10 luglio 1946 con la pittrice Anna Arborio Mella (dalla quale ebbe due figlie: Laura e Sofia) e la conseguente necessità di un approdo professionale stabile, sono i fattori che lo spinsero ad abbracciare definitivamente la carriera diplomatica, alla quale fu ufficialmente ammesso nel 1948: il concorso perduto nel 1940 era stato infatti oggetto di un procedimento di revisione amministrativa risoltosi finalmente a suo favore. Nel corso degli anni, con una pausa tra il 1953 e il 1958, svolse il proprio servizio diplomatico, come segretario d’ambasciata, console generale e ministro consigliere, a Buenos Aires, Parigi, Londra (dove fu il membro italiano del Planning and coordination group della NATO), Filadelfia e Washington. Fu infine ambasciatore d’Italia in Birmania dal 1967 al 1969, quando chiese l’aspettativa dal servizio in contrasto con la politica filoaraba del governo italiano, accusato altresì di offrire uno scarso sostegno politico agli Stati Uniti impegnati militarmente in Vietnam. Nel settembre del 1974, anche a causa delle vicende giudiziarie che nel frattempo lo avevano coinvolto, fu definitivamente collocato a riposo dall’allora ministro degli Esteri Aldo Moro.
Sul piano politico, i primi tre decenni della guerra fredda lo videro impegnato contro il rischio di uno scivolamento a sinistra dell’Italia, che oltre a compromettere lo spirito nazionale della guerra di Liberazione avrebbe messo in discussione anche la sua collocazione atlantico-occidentalista: l’idea di Sogno era che la difesa dello Stato democratico, tenuto conto delle tragiche esperienze che nell’immediato dopoguerra avevano riguardato alcuni Paesi dell’Est europeo, forzatamente finiti sotto l’orbita sovietica in alcuni casi dopo violenti contrasti intestini o vere e proprie guerre civili, non potesse essere affidata solo alla capacità di mobilitazione dei partiti d’ispirazione moderata (a partire dalla Democrazia cristiana, DC). Per contrastare la capillare propaganda e la spinta rivoluzionaria delle forze d’ispirazione marxista, largamente sostenute dall’Unione Sovietica, occorreva utilizzare forme altrettanto efficaci di contropropaganda (secondo i criteri tipici della ‘guerra psicologica’) e dare vita a organizzazioni e strutture in grado di contrastare, se necessario anche ricorrendo alla forza delle armi, i disegni eversivi dell’ordine costituzionale repubblicano che venivano imputati essenzialmente al Partito comunista italiano (PCI) e ai suoi quadri dirigenti di più stretta osservanza sovietica. È all’interno di questa strategia, che è stata definita ‘dell’anticomunismo di Stato’ per il sostegno che essa ha ricevuto da uomini di governo e apparati pubblici (spesso con l’avallo o il diretto coinvolgimento di potenze straniere), che si svolse dunque l’attività di Sogno nel dopoguerra. Nell’agosto del 1950, sostenuto dagli allora ministri dell’Interno e degli Esteri, Mario Scelba e Carlo Sforza, elaborò il progetto degli Atlantici d’Italia: una struttura di supporto alle forze dell’ordine dalla quale sarebbe nata, qualche anno dopo, l’organizzazione Gladio voluta dalla NATO su scala europea come forza controinsurrezionale. Nel luglio del 1953 creò, come strumento di contrasto ideologico al comunismo, il Comitato italiano per la difesa psicologica. Nel dicembre dello stesso anno fu la volta del movimento Pace e Libertà (ma la sigla esisteva in Italia sin dal 1947, mentre nel 1951 era nata in Francia, con finalità analoghe, l’associazione Paix et Liberté), ampiamente finanziato dalla FIAT, la cui omonima rivista era specializzata in inchieste che denunciavano i finanziamenti sovietici al PCI, le infiltrazioni comuniste nei sindacati democratici o le collusioni di alcuni esponenti del PCI con l’OVRA (Opera Vigilanza Repressione Antifascista) fascista. All’epoca della rivolta d’Ungheria contro l’URSS, da una base operativa creata clandestinamente a Vienna, offrì sostegno finanziario e logistico-operativo agli insorti anticomunisti.
La progressiva apertura della DC verso i socialisti, con l’inizio di una stagione politica nel segno del riformismo e della formula del centrosinistra, fece venire meno gli appoggi politico-economici di cui Sogno aveva beneficiato per le sue iniziative. Da qui la sua decisione di tornare alla carriera diplomatica, restando lontano dall’Italia per più di un decennio. Riprese il suo impegno politico nei primi anni Settanta. Convinto che il PCI fosse a un passo dalla conquista del potere, anche a causa dell’arrendevolezza dimostrata dalla DC e dal mondo borghese e imprenditoriale, nel 1971 diede vita ai Comitati di resistenza democratica: l’obiettivo dell’organizzazione, che ebbe tra i suoi promotori anche Randolfo Pacciardi e che raccoglieva esponenti delle forze armate ed ex partigiani ‘bianchi’, era frenare l’avanzata elettorale del fronte progressista e favorire una svolta presidenzialista dell’Italia sul modello della Francia gollista.
Ma nel clima degli ‘opposti estremismi’ e di un’endemica violenza politica, il movimento di Sogno (che nel frattempo aveva fondato all’interno del PLI la corrente Incontro democratico) cominciò a essere accusato da alcuni organi d’informazione di connivenza e contiguità con l’estrema destra stragista e con i settori deviati dei servizi e delle forze armate. I toni polemici utilizzati dai comitati contro il ‘pericolo rosso’, da fermare con ogni mezzo, favorirono in effetti l’equivoco che l’antitotalitarismo liberale rivendicato da Sogno avesse come obiettivo, più che la difesa, la contestazione dell’ordine democratico e potesse risolversi dunque in un attacco alla libertà d’espressione e organizzazione che si diceva di voler difendere contro i suoi nemici ideologici d’ispirazione marxista. Ne seguirono una veemente campagna di stampa tesa a screditare lui e la sua organizzazione e, nell’agosto del 1974, l’accusa di cospirazione politica da parte della magistratura torinese.
Arrestato nel maggio del 1976, su mandato del giudice istruttore Luciano Violante, con l’imputazione di avere organizzato e promosso un colpo di Stato (noto come golpe bianco), venne però assolto due anni dopo con la cosiddetta formula piena: «non doversi procedere perché il fatto non sussiste».
Per questa vicenda egli si considerò sempre la vittima di una persecuzione politica, stante la comprovata inesistenza anche da parte della magistratura di un vero e proprio tentativo insurrezionale contro l’ordinamento repubblicano, ma in un volume autobiografico apparso postumo finì per ammettere che il suo progetto di ricostruzione dello Stato sulle sue basi storiche risorgimentali prevedeva in effetti uno ‘strappo’ istituzionale e un’iniziativa politico-militare tesa alla creazione di un governo di salvezza nazionale per escludere le sinistre dal potere (mettendo altresì fuori legge la destra neofascista). Ma da queste sue tardive memorie (così come dagli atti processuali) non emerse mai chiaramente sino a che punto il suo piano di difesa nazionale avesse trovato una reale traduzione organizzativa e soprattutto quante delle personalità coinvolte sulla carta nel tentativo golpista ne fossero realmente al corrente o avessero aderito a esso. Avallando con ciò il sospetto di una personalità adusa, negli ultimi anni della sua vita e probabilmente in conseguenza delle disavventure politico-giudiziarie di cui fu protagonista, all’esagerazione se non alla millanteria vera e propria.
Gli ultimi suoi impegni, sempre sul versante politico ed editoriale, furono la direzione delle riviste Politica militare e Strategia globale e la fondazione del Centro di studi strategici intestato all’esponente liberale Manlio Brosio. Dopo la caduta del muro di Berlino e il cambiamento di clima politico-culturale, che non rese più giustificata sul piano storico l’equiparazione meccanica dell’anticomunismo a posizioni reazionarie e antidemocratiche, ottenne una parziale riabilitazione pubblica, culminata con il riconoscimento tributatogli nel novembre del 1990 dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga, durante un viaggio ufficiale a Torino, per i suoi meriti come comandante partigiano e combattente per la causa della libertà.
Morì per un attacco di cuore il 5 agosto 2000.
Opere. La Franchi. Storia di un’organizzazione partigiana, Bologna 1996; La storia, la politica, le istituzioni. Considerazioni sull’antifascismo, sulla storiografia contemporanea e sulle riforme costituzionali, Soveria Mannelli 1999; Testamento di un anticomunista. Dalla resistenza al golpe bianco, Milano 2000 (con A. Cazzullo).
Fonti e Bibl.: L. Garibaldi, L’altro italiano. E. S.: sessant’anni di antifascismo e di anticomunismo, Milano 1992.