Branca dell’ecologia che si occupa degli effetti tossici di agenti chimici o fisici sugli organismi, le popolazioni e le comunità, delle vie di trasferimento di questi agenti e delle loro interazioni con le varie matrici ambientali.
L’e. valuta gli effetti di agenti potenzialmente tossici su alcune componenti degli ecosistemi naturali, al fine di avere una previsione del potenziale impatto sull’intero sistema e di fornire protezione a esso e non alle sue componenti isolate. La necessità di un tale tipo di approccio si deve alla continua produzione e commercializzazione di nuovi composti chimici di sintesi per soddisfare esigenze agricole, industriali ecc.; l’utilizzo di queste sostanze comporta automaticamente la loro immissione nei vari comparti ambientali. La stima del rischio connesso all’uso di queste sostanze è difficile e complessa ed è necessaria per prevenire e contenere eventuali crisi ambientali.
La stima degli effetti biologici si può effettuare solo dopo che le sostanze abbiano raggiunto le comunità, in particolare quando siano arrivate agli organismi più sensibili del sistema. Gli effetti tossici si manifestano come conseguenza dell’esposizione degli organismi a tali sostanze. L’esposizione è a sua volta determinata dal tasso di immissione delle sostanze nell’ambiente e dalla velocità di trasformazione.
Per stabilire il rischio associato alla presenza in un comparto ambientale di un composto, è necessario definire la sua biodisponibilità, ovvero la frazione di agente tossico o potenzialmente tossico, che può essere assorbita dagli organismi viventi e su cui esplica la sua azione. La frazione non legata alle matrici ambientali è quella responsabile della tossicità: per es., i contaminanti presenti nei sedimenti possono, in relazione alle loro caratteristiche chimiche e fisiche e alle proprietà dello stesso sedimento, legarsi alla matrice ambientale in proporzione diversa e per questo avere effetti biologici più o meno evidenti alla stessa concentrazione chimica.
Gli effetti delle sostanze chimiche si manifestano su tutti i comparti ambientali (aria, acqua e suolo ecc.; v. .), ma le problematiche connesse a ciascun comparto sono completamente differenti. Il suolo ha scarsa possibilità di circolazione ed elevata capacità di immobilizzazione, l’aria tende a non trattenere le sostanze e a cederle rapidamente agli altri comparti, mentre l’acqua ha mobilità relativamente elevata delle sostanze immesse ma ha, specie nelle acque interne, limitata possibilità di dispersione con conseguenti fenomeni di bioaccumulo. I problemi anche gravi delle acque interne dipendono da queste caratteristiche, e dallo sversamento di scarichi di varia origine (industriale, agricola, domestica ecc.).
I metodi di studio dell’e. si basano su ricerche in natura e saggi di laboratorio.
Studi di campo. - Riguardano la valutazione degli effetti a livello di popolazione e di comunità nel loro contesto naturale. A livello di popolazione si possono valutare variazioni nel numero di individui, nel rapporto tra i sessi, nell’efficienza riproduttiva, e l’effetto che tali variazioni provocano sulla comunità nel suo complesso. A livello di comunità, invece, tramite gli indici di diversità si può verificare in termini quantitativi la riduzione del numero di specie in risposta alla presenza di contaminanti. La globalizzazione dei problemi di contaminazione ambientale ha messo in luce la necessità di studiare i processi naturali non solo alle scale di popolazione, comunità o ecosistema, ma anche al livello più ampio di paesaggio (➔ ecologia), perché spesso le scale temporali e spaziali utilizzate per gli studi sono troppo ristrette per valutare processi naturali importanti o movimenti di contaminanti attraverso ecosistemi multipli tra loro integrati. Sul campo è possibile ottenere indicazioni sullo stato dell’ambiente tramite l’analisi quantitativa di contaminanti nelle varie matrici ambientali o negli organismi. Anche se da sola, la quantificazione nelle varie matrici ambientali non è in grado di fornire indicazioni sulla biodisponibilità dei contaminanti e sui loro possibili percorsi, e quindi sui possibili effetti sul sistema. I metodi di studio sul campo, sebbene da una parte possano offrire una visione d’insieme realistica degli effetti che le sostanze tossiche producono sull’ambiente, dall’altra non sono in grado di dare indicazioni precise sui rapporti tra concentrazioni di contaminante ed effetti su organismi, popolazioni e comunità, visto il numero elevatissimo di variabili ambientali coinvolte in tali processi. È infatti praticamente impossibile prevedere le risposte a livello globale di una perturbazione, perché gli ecosistemi sono sistemi complessi, non hanno confini ben definiti e non ne sono ancora note tutte le dinamiche naturali. Altro problema posto dal lavoro in natura è la difficoltà di impostare i problemi con il classico mezzo di ‘esperimento’ e ‘controllo’.
Modelli sperimentali. - La necessità di basi sperimentali per la valutazione dei possibili effetti dei contaminanti nell’ambiente ha dunque imposto lo sviluppo di modelli di laboratorio che si approssimino il più possibile alle condizioni naturali. Questi modelli, utilizzati oltre che in e. anche in ecologia applicata, sono detti ecosistemi modello, microcosmi, microecosistemi o mesocosmi (questi ultimi di maggiori dimensioni). Possono essere derivati direttamente dalla natura o possono essere costruiti mescolando specie diverse provenienti da colture axeniche (cioè monospecifiche) fino a ottenere la combinazione desiderata; il sistema deve però contenere componenti abiotiche proprie, almeno due livelli trofici (➔ rete) e confini stabiliti secondo il fine della ricerca. L’uso di tali sistemi è ampiamente dibattuto: da una parte, infatti, un sistema costituito da poche specie può essere considerato scarsamente rappresentativo dell’ambiente naturale; dall’altra, sebbene i sistemi più grandi siano più realistici, la sperimentazione oltre che più costosa è meno riproducibile. Inoltre, sebbene molto difficili nella messa a punto, questi metodi sono affidabili e promettenti per le previsioni ecotossicologiche.
I mesocosmi sono porzioni più o meno grandi dell’ecosistema oggetto di studio, delimitate sperimentalmente e parzialmente racchiuse, in cui è più facile effettuare determinazioni fisiche, chimiche e biologiche che diano indicazioni dello stato del sistema.
I microcosmi sono modelli in scala ridotta di ecosistemi naturali, mantenuti in laboratorio in contenitori artificiali; si differenziano dai mesocosmi poiché non sono sistemi sperimentali mantenuti in natura.
Già diffusi e standardizzati sono i saggi monospecifici, che fanno uso di individui della stessa specie, provenienti da ceppi sia naturali, sia di laboratorio. I saggi monospecifici costituiscono un approccio riduzionistico al problema e soddisfano solo parzialmente gli obiettivi primari dell’indagine ecotossicologica, cioè la risposta a livello di popolazione e comunità, e il destino dei contaminanti nell’ambiente. Ciononostante, sono in grado di dare precise indicazioni sulle relazioni tra dose ed effetto, sulle potenzialità tossiche, mutagene, cancerogene ecc. Con l’introduzione di test per valutare gli effetti subletali, i saggi monospecifici possono anche fornire informazioni su alterazioni a livello individuale di tipo comportamentale, a carico di funzioni quali attività locomotoria, fototassi, geotassi ecc., o, a livello interindividuale, della migrazione, dell’aggregazione o della suscettibilità ai predatori ecc. I saggi monospecifici, inoltre, possono essere utilizzati, oltre che per lo studio di sostanze ben definite, anche per la valutazione della tossicità di campioni d’acqua, di lettiera ecc., provenienti dalla natura, la cui composizione in sostanze tossiche può non essere nota.