MALVICINI, Dondaccio
Nacque presumibilmente agli inizi del XIV secolo da Alberico, giureconsulto e cavaliere. Il nonno, Dondaccio, è attestato nel 1283 al servizio di Ottone Visconti.
Il ramo dei Malvicini, che presero nome da Malvicino, console di Piacenza nel 1134, ebbe origine dalla consorteria dei da Fontana (Fontanesi), provenienti dalla Val Tidone e attestati già dall'XI secolo nel contado piacentino come ricchi proprietari fondiari e vassalli dell'Impero e del vescovo, dotati a loro volta di una rete vassallatica minore, già presenti a Piacenza nel XII secolo. Radicati nella zona a nordovest della città, i Malvicini furono tra le famiglie protagoniste della vita politica cittadina e si distinsero soprattutto nell'ambito militare e politico-amministrativo (ebbero molti giudici e podestà), schierandosi, insieme con Landi, dalla parte del popolo e contro la societas militum piacentina.
Il M. ereditò beni e castelli, soprattutto nell'alta Val Tidone, oltre a una salda posizione in città. Seguì la tradizione familiare, iniziando la sua carriera come podestà a Ravenna nel 1331 e a Rimini nel 1332, ma ben presto divenne noto per le sue capacità militari.
In Piacenza il M. cominciò a farsi notare nel lungo conflitto che oppose il Papato avignonese ai Visconti.
La città si era consegnata alla S. Sede il 15 ott. 1331, ottenendone privilegi e vantaggi dei quali approfittarono soprattutto i guelfi che dominavano in città. Nel 1334, dopo le sconfitte del legato pontificio Bertrand du Poujet, il partito filoavignonese perse terreno in tutta l'Italia settentrionale, lasciando spazio all'avanzata dei Visconti, che nel luglio del 1335 ottennero la signoria di Piacenza. A nulla valse l'attività della diplomazia papale, sollecitata da continui interventi a favore dei guelfi piacentini, solerti nell'inviare ad Avignone emissari, tra i quali, probabilmente, lo stesso Malvicini.
Nonostante questo iniziale contrasto con i Visconti, il M. seppe presto guadagnare la fiducia del nuovo signore (Azzone), che tentò una politica di pacificazione tra le fazioni, cercando di rompere il fronte dei suoi oppositori con concessioni a favore dei più potenti. Così non meraviglia di trovare il M. tra i protagonisti della battaglia di Parabiago (21 febbr. 1339), che vide opposte, dopo numerosi scontri, le truppe di Lodrisio Visconti, alleato con Martino Della Scala, e quelle comandate da Luchino Visconti, zio di Azzone Visconti, che aveva stretto alleanza con i Savoia, con gli Este e con altri signori dell'Italia settentrionale. La battaglia iniziò con il predominio di Lodrisio, che riuscì a fare prigioniero Luchino, ma volse poi a favore di quest'ultimo anche grazie ai rinforzi giunti dalle città vicine come Piacenza; il M. si segnalò per coraggio e abilità. Secondo Pietro da Ripalta, che data la battaglia al 1337, in tale occasione il M. e altri piacentini furono creati cavalieri.
Nel 1339 a Piacenza il M. sposò Mabillina, figlia di Bartolomeo Pallavicino, di illustre famiglia marchionale. La definizione della dote (quantificata in 1000 lire tra beni mobili e immobili, denaro e gioielli) fu fatta alla presenza di numerosi testimoni, appartenenti alle maggiori famiglie locali, quali i Landi, i Fulgosi, gli Anguissola. Il coinvolgimento in una controversia agitata in quell'anno in Piacenza per questioni patrimoniali con la vedova di Giacomo Brachiforte, attesta il forte inserimento del M. nella società locale.
Nel 1343, presso il tribunale dei malefici di Piacenza, iniziò il processo, durato fino al 1347, per l'accusa mossa al M. e a suo fratello Giovanni, detto Dente, di pretendere indebitamente il dazio per il transito del Po presso il ponte della Fodesta. Durante il processo, per il quale ottennero sentenza favorevole, i due fratelli dimostrarono la loro discendenza dai da Fontana, e quindi il diritto di esigere, sulla base di privilegi imperiali e sentenze dei consoli e del capitano del Popolo di Piacenza, tale dazio. Nel 1347 il M., servendosi di un prestanome, acquistò beni per 600 lire di imperiali dal monastero di S. Sepolcro di Piacenza, dal quale teneva in affitto altri beni per i quali, nel 1354, lo stesso monastero gli intentò causa. Sicuramente, dunque, il M. emergeva nella città per la consistenza delle sue attività economiche, che comportavano il passaggio di notevoli somme di denaro. Il 4 apr. 1348 il M., con altri soci, vendette al podestà di Piacenza parte di una casa sita nella vicinia di S. Ilario, nella piazza della città, riservandosene l'usufrutto.
In quegli anni il M. mostrava notevole familiarità con i Visconti, tanto da accompagnare a Venezia, insieme con Manfredo Landi, Isabella Fieschi, sposa di Luchino. La rottura con i signori di Milano si compì nel 1349, quando apparve chiaro che il favore accordato dai Visconti alle famiglie piacentine era subordinato alla necessità di utilizzare beni e diritti per favorire i propri fedeli. Il M., nel 1349, abbandonò i Visconti per accettare l'incarico di podestà di Ferrara offertogli dagli Este.
L'ascesa del M., che univa ormai esperienza e valore militare a indubbie capacità politiche, apparve chiaramente quando l'imperatore Carlo IV di Boemia giunse in Italia. Il M., infatti, riuscì a sfruttare a proprio vantaggio, in un accorto gioco di alleanze e di rapporti, una serie di situazioni che gli consentirono di ricevere dall'imperatore i feudi di Castelsangiovanni e della Val Tidone. Si trattò di una concessione solo nominale perché in realtà il M. non riuscì a ottenere immediatamente il controllo di queste zone strategiche in funzione antiviscontea. D'altronde, lo stesso Carlo IV aveva concesso al marchese del Monferrato, Giovanni II Paleologo, il vicariato della città di Pavia; i territori concessi al M., alleato del marchese, costituendo il punto di raccordo tra il territorio piacentino e quello pavese, diventavano per i Visconti una pericolosa spina nel fianco. Carlo IV conferì onori e dignità al M. nominandolo suo consigliere e familiare, posizione che dovette garantirgli un reale ascendente presso l'autorità imperiale.
Del periodo compreso tra novembre 1354 e giugno 1355 si conservano numerose missive e istruzioni del Comune di Firenze indirizzate al M., per sollecitarlo a svolgere un ruolo di intermediazione politica. Per tale incarico gli furono promessi 1000 fiorini, somma che il M. reclamò in una lettera inviata a Firenze (Ferrara, 27 giugno 1355), in cui, accanto alla descrizione della rapida ritirata di Carlo IV verso la Germania, riaffermava la propria solerzia nel servire Firenze.
Si era in quegli anni ricreata una coalizione antiviscontea, guidata dal vicario imperiale Marquardo di Randeck. Il M. era allora al comando delle truppe estensi a fianco di altri capitani di ventura, quali Raimondino Lupi di Soragna e Corrado di Landau. Le truppe alleate attraversarono il territorio piacentino e si diressero verso Milano, ma i Visconti riuscirono a riorganizzare il proprio esercito e a sconfiggere la coalizione avversaria nella battaglia di Casorate (12 nov. 1356). In tale occasione il M. fu fatto prigioniero, ma riuscì a fuggire corrompendo un soldato tedesco al servizio dei Visconti. Secondo il racconto di Azario, cronista filovisconteo, il M. era uomo "facundissimus in loquela", ma soprattutto accanito avversario dei Visconti (p. 86).
Qualche giorno prima, il 9 novembre, il M. era a fianco di Giovanni II Paleologo, anch'egli nemico dei Visconti, nell'occupazione di Novara, città in cui il marchese diede vita a una forma di governo che si ispirava alle idee di Cola di Rienzo. Le cronache riferiscono al M. il ruolo di ispiratore di tale riforma. Se ciò fosse vero, dovrebbero essere attribuite al M. anche competenze giuridiche. In quegli anni il M. dovette intrattenere rapporti ad ampio raggio, tanto da ottenere la cittadinanza di Venezia da parte del doge Giovanni Dolfin (1358).
Il M. fu in ottimi rapporti con il papa e con i suoi legati in Italia. Nel 1361 Egidio de Albornoz concesse un salvacondotto a un familiare del M. per portare una grande quantità di vino dalla Marca anconitana a Ferrara, città in cui il M. pare continuasse a risiedere; ma soprattutto il M. fu testimone alla costituzione di una nuova lega antiviscontea, cui aderirono il pontefice, i Della Scala, i da Carrara e gli Estensi (1362). Il papa, nel 1365, lo incaricò di una missione presso l'imperatore, per la quale fu ricompensato con concessioni di terre e castelli in Romagna. Nel 1379 fu nominato familiare di Urbano VI.
Nonostante la sua residenza ferrarese (nel 1369 risultava abitare nella parrocchia di S. Stefano), i suoi interessi in territorio piacentino continuarono a essere consistenti. Nel 1372 si schierò nuovamente con la lega antiviscontea costituita da papa Gregorio XI; tale impegno militare, svolto da protagonista in territorio piacentino, gli consentì di entrare in possesso dei castelli in Val Tidone e di Castelsangiovanni. Nel 1378 contese a Iacopo Del Verme, capitano d'armi protetto dal Visconti, dei feudi del vescovo di Bobbio ubicati in territorio piacentino.
Il M. trascorse gli ultimi anni a Ferrara, ottenendo dal legato apostolico la possibilità di trasformare l'impegno di un pellegrinaggio a Roma in opere di carità. Morì nell'agosto 1390, in tardissima età, secondo le fonti cronachistiche.
Il costante legame con la città d'origine è confermato dal suo testamento (1386), in cui esprimeva la volontà di essere sepolto nella chiesa dei frati minori di Piacenza, in quella cappella di S. Giacomo che egli stesso aveva fatto costruire entro un'arca marmorea scolpita e per la quale destinava ben 300 fiorini d'oro. A lui va ascritta l'erezione di altre due cappelle, una nella chiesa di S. Eufemia di Piacenza e l'altra nella cattedrale di Ferrara.
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