DONAZIONE (XIII, pagina 139)
Storia del diritto. - Donatio era nel diritto romano l'atto col quale una persona diminuiva volontariamente il proprio patrimonio e aumentava il patrimonio di un'altra. Requisiti del negozio erano, pertanto, l'alienazione da una parte e l'acquisto gratuito dall'altra. Che la giurisprudenza romana esigesse l'animus donandi, è dubbio, essendo esso implicito nella volontarietà dell'atto non diretto a un adempimento e fatto senza corrispettivo: tale ulteriore requisito è accentuato, invece, nel diritto postclassico (F. Pringsheim). La donazione era causa generale d'acquisto, in quanto qualunque diritto patrimoniale si poteva acquistare né mutavano i requisiti della donazione qualunque diritto si acquistasse: ogni diritto peraltro richiedeva le sue forme debite per essere costituito.
Nel diritto romano la donazione era soggetta a un regime rigoroso. La più antica limitazione generale derivò dalla lex Cincia de donis et muneribus (204 a. C.) che proibiva le donazioni oltre una certa misura (a noi non nota), a meno che fossero fatte a determinate persone, nelle quali rientravano soprattutto i congiunti. Era una lex imperfecta in quanto né annullava né puniva le donazioni fatte contro il suo divieto: fu accordata dal pretore una exceptio sulla base di questa legge, ma venivano così paralizzate le donazioni obbligatorie, non le donazioni reali debitamente eseguite mediante mancipatio o cessio in iure delle res mancipi, mediante cessio in iure o traditio delle res nec mancipi. In seguito prevalse la norma che inorte Cincia removetur; cioè, gli eredi non potevano validamente opporre la exceptio se il donante aveva perseverato nella sua volontà sino alla morte. Nell'età postclassica la lex Cincia cadde in desuetudine.
Mentre la lex Cincia annoverava i coniugi tra le personae exceptae, si affermò in seguito il divieto delle donazioni fra coniugi. Questo divieto vien fatto risalire al costume (moribus apud nos receptum est) e giustificato col dire che l'affetto coniugale non deve essere oggetto di prezzo e che il coniuge più buono non deve spogliarsi a favore dell'altro: ma è probabile che il divieto, anziché derivare dal costume, sia stato posto dalla legislazione augustea. Una serie di benigne interpretazioni, fondate precipuamente sul motivo del divieto, fu stabilita dalla giurisprudenza e dagl'imperatori: escluse, così, dal divieto furono le donazioni fatte per il caso di premorienza del donante, o al momento in cui per qualunque motivo legale si scioglieva il matrimonio (divortii causa, exilii causa); furono anche escluse le donazioni che non portavano un arricchimento del donatario (donazione della tomba, donazione di denaro al marito magistrato allo scopo di dare pubblici giuochi, ecc.). Un senatoconsulto sotto Severo e Caracalla nel 206 convalidò le donazioni fatte tra coniugi quando il donante fosse morto senza revocarle.
Già prima che la lex Cincia cadesse in desuetudine, a garantire la pubblicità delle donazioni fu richiesto il requisito formale della insinuatio, cioè la redazione di un documento e la trascrizione di questo in pubblici registri. Tale formalità incomincia a introdursi sotto i Costantini: Giustiniano la esige, tranne casi speciali, per tutte le donazioni superiori ai 500 solidi sotto pena di nullità della parte eccedente questa somma.
Oltre la donazione inter vivos, nel diritto romano è ammessa la donazione mortis causa, che si ha quando alcuno dona ad altri pel timore o nell'imminenza di un pericolo di morte o per il caso della morte. L'uso della donazione mortis causa è di origine primitiva, e da essa (come alcuni ritengono: P. Bonfante) si staccò probabilmente nel diritto romano antico l'istituto dei legati. D'altra parte, nell'evoluzione del diritto romano varie leggi iniziano un'assimilazione di questa donazione ai legati; dai legati, peraltro, si distingueva soprattutto perché non dipendeva dall'esistenza di un erede e poteva essere fatta da un filiusfamilias che non aveva la capacità di testare. L'assimilazione nel diritto giustinianeo è quasi integrale.
La donazione poteva per più cause essere revocata. Poteva essere revocata nel diritto giustinianeo per ingratitudine del donatario, ma l'azione di revoca era assolutamente personale per modo che non si trasmetteva né agli eredi del donante né contro gli eredi del donatario. La donazione modale (v. modo: Diritto, XXIII, p. 529) poteva essere revocata per inadempimento dell'onere; la donazione fatta dal patrono al liberto, per sopravvenienza di figli; la donazione mortis causa eseguita dal donante poteva esser revocata se il donatario fosse premorto, o fosse sfuggito al pericolo a cui l'efficacia definitiva della donazione era stata subordinata, o ad arbitrio del donante se a tale arbitrio egli non avesse rinunciato. Era irrevocabile la donazione remuneratoria. I terzi potevano impugnare la donazione o perché diminuiva la loro porzione legittima nella successione ereditaria o perché fatta in frode delle loro ragioni (a. Pauliana).
Nell'età di mezzo il risorgere del diritto giustinianeo tornò a dare alla donazione un carattere essenzialmente gratuito: l'esigenza del Launegild, postulata dal diritto germanico, venne meno. La donazione ridiventò anche irrevocabile per sé stessa all'infuori dei casi in cui la revocabilità era ammessa nel diritto giustinianeo. Si discusse se fossero, o no, ammissibili le donazioni che comprendevano i beni presenti e futuri: furono considerate, generalmente, illecite perché toglievano al donante la possibilità di testare. Quanto alla forma, molti statuti richiedevano la redazione di una scrittura con intervento di uno o più notai e, spesso, con un numero notevole di testimonî; si richiedeva l'assenso anche dei parenti che avrebbero potuto essere lesi. Statuti della Romagna, della Lombardia, del Piemonte, tornarono a richiedere l'insinuazione dell'atto. L'influenza del diritto canonico fece prevalere il principio che cadessero le donazioni universali per sopravvenienza di un figlio: d'altra parte, la donazione veniva ridotta nel caso e nella misura in cui fosse stata lesa la quota dei legittimarî.
Il titolo, che riguarda le donazioni nel codice civile francese, si riattacca a un'ordinanza di Luigi XV (1731), la quale consolidava una giurisprudenza fondata sulla stessa base su cui poggiava la giurisprudenza italiana. Le disposizioni del codice civile francese (articoli 892, 931-966) passavano immutate, o quasi, nel codice siciliano (articoli 814, 855-91). Le notevoli modificazioni introdotte nel codice parmense (articoli 1886-1957) vennero tenute in gran conto dal Codice Albertino (articoli 1121-1196), dal quale dipende l'italiano (articoli 1050-1096).
Bibl.: Diritto romano: S. Riccobono, La l. I. C. de donat., VII, 53 e La forma delle donazioni a personae exceptae, in Mélanges Girard, Parigi 1912; F. Pringsheim, Animus donandi, in Zeitschr. Sav.-St. f. Rechtsgesch. (röm. Abt.), XXXXII (1921), p. 273 segg.; P. Bonfante, Le donazioni tra coniugi, in Corso di diritto romano, Diritto di famiglia, Roma 1925, p. 207 segg.; F. Dumont, Les donations entre époux en droit romain, Parigi 1928; H. Siber, Confirmatio donationis, in Zeitschr. Sav.-St. f. Rechtsgesch., LIII (1933), p. 99 segg.; L. Aru, Le donazioni tra coniugi in diritto romano, Padova 1937, ecc.
Diritto intermedio: F. Schupfer, La donazione tra vivi nella storia del diritto italiano, in Annali giurisprudenza italiana, 1871; M. Pappenheim, Launegild und Gairethinx, Breslavia 1882; E. Bussi, La donazione nel suo svolgimento storico, Milano 1935; E. Besta, Le obbligazioni nella storia del diritto italiano, Padova 1937, ecc.
Donazione nuziale.
A differenza degli antichi diritti orientali e dei diritti germanici, dove invece l'istituto ha grande importanza ed è talvolta essenziale per il matrimonio stesso, il diritto romano non conosce affatto nelle prime epoche la donazione nuziale come istituto a sé, per quanto tuttavia l'uso di donativi fra fidanzati fosse assai diffuso nel costume sociale.
Nel sec. III spunta l'uso di costituire in dote la donazione, il che assicura alla donna di ottenerla allo scioglimerito del matrimonio. Con ciò la donazione nuziale non è ancora un istituto a sé, riconosciuto e regolato dall'ordinamento giuridico romano (veteribus prudentibus penitus incognitum: dichiarerà più tardi Giustiniano) ma rientra nel campo delle semplici donazioni. Assume invece caratteristiche proprie soltanto a partire da Costantino.
Gli scrittori sono assai discordi circa la funzione dell'istituto. Per i più antichi servirebbe a garantire la dote (Glossa, Hoffmann, Weber); per altri sarebbe una controdote (Donello, Glück, Warnkönig, Eineccio, von Löhr, Maynz, Schupfer, Ferrini), o un mezzo per garantire la donna dal divorzio (Francke, Bechmann, Dernburg) o un appannaggio vedovile (Burchardi, Brandileone), oppure un mezzo per spingere alla procreazione (Puffendorf), o un pretium pudicitiae (Scherillo).
Giustamente il Bonfante nota che "l'istituto è pieno di contrasti e di sottintesi" per il fatto che, mentre nel diritto pr0vinciale aveva una determinata funzione, trasportato nel diritto romano, è stato mescolato con altri istituti e usi.
Quanto all'origine, a parte alcuni che ne sostengono la base romana (Schott, Brandileone), o la deiivazione dall'arrha sponsalicia (von Löhi) - opinione questa ormai abbandonata perché sicuramente non romano è l'istituto dell'arrha -, la moderna indagine è concorde nell'attribuire alla donazione nuziale un'origine orientale e nel considerarla penetrata nel diritto romano dai diritti provinciali. Non mancano, però, alcuni che vogliono vedervi un'influenza cristiana, sia in ordine al divorzio (Francke, Bechmann, Dernburg) sia per favorire la comunione di beni fra coniugi (Schott, Roberti). Altri ancora ricercano le lontane origini della donazione nuziale risalendo al diritto ebraico (Esmein, Vismara e in secondo tempo anche Roberti).
La legislazione del basso impero in ordine alla donazione nuziale può dividersi secondo il Bonfante in varie fasi: 1. Costantino nel 319 (Cod. Theod., III, 5, de don., 2; Cod. Iust., V, 3, de don., 15) dichiara tutte le donazioni intervenute fra i fidanzati sottoposte legalmente alla condizione che le nozze fossero conchiuse. Se il matrimonio non segue per colpa dell'uomo, questi perde il diritto di ripeterle; se per colpa della donna o del suo paterfamilias, o se gli sponsali sono sciolti per morte di uno dei contraenti, possono ripeterle solamente lo sposo e, fra i suoi eredi, i genitori e i figli del precedente matrimonio. Nel 336 il medesimo imperatore (Cod. Theod., III, 5, de don., 6) accordò il diritto di ripetizione a tutti gli eredi, stabilendo però che, ove gli sponsali fossero stati conchiusi osculo interveniente, questo diritto si riducesse a metà. 2. Teodosio I nel 382 (Cod. Theod., III, 8, de sec. nupt., 2; Cod. Iust., V, 9, de sec. nupt., 3) stabilì che nel caso in cui la donna passasse a nuove nozze, la donazione nuziale spettasse ai figli del primo matrimonio, salvo alla madre l'usufrutto e il diritto di favorire uno dei figli. Teodosio II nel 429 (Nov. Theod., 429) confermò il diritto al semplice usufrutto anche se la donazione fosse stata ridotta in dote. Maiorano nel 458 tolse il diritto di preferire uno dei figli, mentre nel 463 Libio Severo assegnò sempre, anche se la donna non fosse passata a nuove nozze, la proprietà ai figli. Con Cod. Theod., III, 5, de spons., 13; Cod. VIII, 53, de don., 34 pr., 36, § 3) si esentano le donazioni nuziali dall'insinuazione. 3. Valentiniano III nel 452 stabilì il diritto del padre o della madre del marito defunto di lucrare la metà della donazione, e l'obbligo che la dote della moglie fosse eguale alla donazione del marito (cfr. anche Nov. Maiorani, VI, 9): norma, quest'ultima, abrogata da Libio Severo nel 463 (Nov. Severi, 1), sembra limitatamente all'Occidente. Nel 468 Leone (Cod. lust., V, 14, de p. conv., 9) introduce il medesimo principio anche in Oriente prescrivendo che i patti nuziali a favore del marito fossero eguali a quelli a favore della donna e che entrambi i coniugi dovessero lucrare una eguale quota rispettivamente della dote e della donazione nuziale. Giustino (Cod. Iust., V, 3, de don., 19) permise di accrescere la donazione anche durante il matrimonio. 4. Giustiniano nella sua compilazione accoglie le due costituzioni di Costantino, però con variazioni, la costituzione di Leone sull'eguaglianza dei patti nuziali e nella Novella 97 (pr. cap. 1-2) del 539 accoglie il principio dell'eguaglianza aritmetica fra dote e donazione. Concede di compiere la donatio propter nuptias anche dopo la conclusione del matrimonio. Allo scioglimento del matrimonio per morte del marito la donna lucra la donazione secondo il patto. Si discute che cosa avvenga, quando il patto manchi. Sembra, secondo il Bonfante, che la donna lucri l'intero. Variamente è regolato il diritto della vedova con figli passata a nuove nozze. Nella Novella 38 pr. cap. i del 539 non le si concede che l'usufrutto, anche se non si rimarita. Nel 598 con la Novella 127 cap. 3 le si assegna la proprietà di una porzione virile.
La donazione è esentata dall'insinuazione sino a 300 solidi d'oro, e più tardi sino a 500: gl'istrumenti sono validi solo per quanto riguarda i diitti della donna. Il marito ha l'amministrazione della donazione; ma non può alienarla, salvo consenso espresso della donna e ripetuto dopo due anni.
La moglie ha il diritto della separazione in caso di povertà del marito, e, sembra, anche un'ipoteca legale sui beni del marito per la restituzione della donazione nuziale. Il paterfamilias è obbligato a costituire la donazione nuziale per il figlio (Cod. Iust., V, 11, de don. prom., 7, 2). Nel diritto giustinianeo vi è un regime parallelo, escluse piccole divergenze, fra la dote e la donazione nuziale. La donazione nuziale, invece, si differenzia nettamente dall'arrha sponsalicia.
A partire da Giustiniano il termine, prima comunemente usato, di donatio ante nuptias viene definitivamente mutato in quello di donatio propter nuptias.
Nei documenti papirologici greco-egizî la donazione nuziale compare nel sec. IV (P. Grenf., II, 76; P. Fior., 36; P. Lips., 41) sotto il nome di ἕδνον: del sec. V abbiamo solo il P. S. I. 1075, dove compare insieme con la dote, il ϕϑόριον ἕδνον, di proprietà della donna.
Numerosi sono, invece, i documenti del secolo VI (C. P. R., 30; P. Cairo Masp. 67006; Cairo Masp. 67121, 67153, 67154, 67155. P. Lond. 1711, 1725; P. Monaco, 3; P. Lond., 1710 e P. Flor., 294; Pap. Cairo Maspeio, 67340; P. Flor., 93; P. Lond., 17i2) dove oltre all'ἕδνον abbiamo altri termini: πρὸ γάμου δωρεά; ἀντίπροικον; ἰσόπροικον. Secondo G. scherillo, gli ἕδνον rappresenterebbero il pretium pudicitiae, mentre l'ἰσόπροικον, e l'ἀντίπροικον, costituiti di solito da oggetti di arredamento, rappresenterebber0 un donativo che non verrebbe lucrato dalla donna allo scioglimento del matrimonio.
Nel diritto bizantino l'Egloga non prescrive l'eguaglianza aritmetica fra dote e donazione nuziale: questa ultima è fusa con la dote ed è quindi lucrata dalla donna (Nov. Leon. Phil., 20, 2, 3). Nelle Novelle di Leone il Filosofo compare l'istituto dell'ὑπόβολον e in quelle di Costantino Porfirogenito e più tardi nella πεῖρα il ϑεώρετρον: istituti, questi, a cui sono dedicati due antichi trattatelli (περὶ ὑποβόλου di Eustazio Romano e Giorgio Fabeno e περὶ ϑεώρετρου del Cod. Vat., 845) discussi fra i moderni studiosi (Brandileone, Ferrari, Scherillo).
Nel diritto bizantino, invece, il ritorno della legislazione romaneggiante alla donazione giustinianea (ipobolo), avrebbe fatto sorgere un nuovo istituto (teoretro) rispondente nella struttura e negli scopi all'antica donazione nuziale.
Bibl.: L. Mitteis, Reichsrecht und Volksrecht, Lipsia 1891, p. 256 segg.; F. Brandileone, Sulla storia e la natura delle donazioni propter nuptias, Bologna 1892; D. Desminis, Die Eheschenkung nach röm. und insbes. nach byz. Recht, Atene 1897; F. Holldack, Zur Geschichte der don. a. n. und der dos, in Festgal e für Güterback, Berlino 1910; P. Collinet, Études historiques sur le droit de Justinien, Parigi 1912, p. 145 segg.; P. Bonfante, Corso di diritto romano, I, Roma 1925, p. 379 segg.; E. Volterra, Studio sull'arrha sponsalicia, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, 1927, 1929, 1930; G. Scherillo, Studi sulla donazione nuziale, in Riv. di storia del dir. italiano, 1929, 1930; G. Vismara, La donazione nuziale nel diritto ebraico e nelle fonti cristiane in relazione al diritto romano postclassico, Pubbl. Univ. catt. del S. Cuore, sez. giur., XLIII, Milano 1935.