TURTURA, Donatella
– Nacque a Bologna il 30 marzo 1933 da Alberto e Gilberta Tugnoli.
Il padre, che aveva dovuto interrompere gli studi di ingegneria poco prima della laurea, era impiegato all’Università di Bologna; la madre, dopo il matrimonio, aveva smesso di lavorare. Profondamente legati agli ideali risorgimentali, si erano sposati con rito civile nel 1927 e avevano avuto quattro figli: Giulio nel 1928, Maria nel 1930, Donatella nel 1933, Arianna nel 1935. Entrambi accaniti lettori, i coniugi Turtura stimolarono la crescita intellettuale dei loro figli, senza alcuna discriminazione tra il primogenito e le ragazze.
A indirizzare la vita di Donatella – fu ella stessa a scriverlo –, «nel terribile inverno 1944-45», furono tre parole «scritte malamente e con la calce» su una saracinesca di un negozio di via Santo Stefano: «pace, giustizia, grassi» («È brava ma...»..., 1999, pp. 338 s.). Quelle tre parole esprimevano, nella loro estrema sintesi, l’intreccio tra bisogni materiali ed etici, tra aspirazione a migliorare una condizione materiale e l’affermazione di sé come soggetto, che connota le battaglie per l’emancipazione degli oppressi. Un legame a cui ispirò costantemente la propria attività, cercando di tradurre le aspirazioni e gli ideali dei lavoratori e delle lavoratrici, in qualcosa di concreto, che portasse benefici tangibili e immediati e fosse a sua volta in grado di far maturare coscienze e sollecitare nuovi traguardi di emancipazione.
Dopo le elementari si iscrisse al ginnasio liceo Galvani. Qui conobbe due insegnanti che ebbero un ruolo importante nella sua formazione culturale e politica: la professoressa di matematica Italia Betti e il professore di filosofia Giuseppe Gabelli. Betti, sorella del dirigente comunista Paolo, era tra i capi del Comitato di liberazione nazionale dell’Emilia-Romagna, impegnata nelle attività di base del Partito comunista italiano (PCI), nelle quali coinvolse presto Donatella e la sorella Maria; Gabelli teneva una sorta di cenacolo serale al quale partecipava anche la giovane ginnasiale. Le due sorelle presero a frequentare la sezione comunista Vittorio Ghini e nel 1947 Donatella si iscrisse alla Federazione giovanile comunista italiana (FGCI). «Il partito – avrebbe detto a Guido Gerosa (1979) – ci mandava nelle risaie, nelle fabbriche, a diffondere i giornali, a parlare con le donne, a discutere, soprattutto ad ascoltare [...] Noi studentelli [andavamo...] a conoscere il mondo del lavoro, [...] a imparare dal movimento» (p. 275). Alla fine del ginnasio, a sedici anni, decise di dedicarsi interamente al lavoro politico e di abbandonare la scuola. Dopo aver frequentato un corso di formazione politica alla Scuola nazionale e provinciale quadri Anselmo Marabini della Federazione di Bologna e uno alla Scuola centrale femminile Anita Garibaldi di Faggeto Lario (Como), nel 1950-51 fu scelta da Diana Sabbi – responsabile della commissione femminile della Camera del lavoro di Bologna – per seguire i lavoratori ospedalieri, inquadrati nella Federazione nazionale dipendenti enti locali.
In occasione della campagna elettorale del 1953, per impedire che scattasse il premio di maggioranza previsto dalla ‘legge truffa’, le Sinistre mobilitarono tutti propri quadri. Turtura accettò di andare a Benevento. Fu per lei «un’esperienza opulenta di significati» innanzitutto «per le differenze profonde rispetto al mio ambiente di provenienza e per il fortissimo rapporto umano che si stabilì» («È brava ma...»..., 1999, p. 339). Il 30 marzo (compiva quel giorno vent’anni) la polizia fece irruzione nella Camera del lavoro, dove era in corso un comizio, arrestò il segretario Domenico De Brasi e altri dirigenti locali. Nonostante la giovane età, fu tra gli ultimi a essere rilasciata (il 4 aprile), rispedita a casa con il foglio di via obbligatorio. Su indicazione del partito si recò invece ad Avellino, dove continuò la campagna elettorale. Colpita dalle condizioni di vita dei lavoratori meridionali si trattenne in Irpinia sino a settembre. Tornata a Bologna, passò a occuparsi delle lavoratrici dei grandi magazzini – organizzate dalla Federazione italiana lavoratori commercio e affini della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) –, un settore in rapida espansione. Negli stessi anni frequentò la cellula universitaria del PCI (alla quale era iscritta la sorella Maria), senza che alcuno si accorgesse che non aveva compiuto studi universitari. Il lavoro tra le commesse e il dialogo con il mondo intellettuale, pur nella loro diversità, contribuirono a renderla sensibile ai radicali mutamenti sociali in atto. «Urgeva – come disse a Gerosa (1979) – una riconsiderazione delle cose» (p. 277). Il terreno sul quale compiere una ridefinizione delle strategie politiche è il partito. All’VIII Congresso della Federazione comunista di Bologna, nel novembre del 1956, lasciò il sindacato per entrare nel comitato federale e assumere l’incarico di responsabile della commissione femminile.
Nel settembre del 1958 entrò a far parte della segreteria della Federazione comunista bolognese. Attraverso l’osservatorio ‘femminile’ comprese i cambiamenti che maturavano nella regione e nel Paese e le sue analisi ebbero un grande peso nella linea di rinnovamento del partito locale e nell’indirizzo dato alla I Conferenza regionale comunista dell’Emilia-Romagna (27-29 giugno 1959). Entrò quindi nel comitato regionale di coordinamento (organismo di cui facevano parte, oltre a lei, i segretari di federazione, il sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza, e Guido Fanti, vicesegretario della federazione di Bologna). Dopo il IX Congresso provinciale del PCI di Bologna (nel gennaio del 1960), venne riconfermata nella segreteria federale, con la responsabilità della commissione lavoro. Delegata al IX Congresso nazionale (Roma, 30 gennaio-4 febbraio 1960), partecipò alla commissione elettorale e si batté perché il rinnovamento del gruppo dirigente fosse all’altezza dei mutamenti politici adottati. Fu eletta nel comitato centrale, organismo che lasciò solo nel marzo del 1974, quando la CGIL decretò l’incompatibilità tra cariche sindacali e di partito. Nel novembre del 1960, in occasione delle elezioni amministrative, a soli ventisette anni, fu eletta nel Consiglio provinciale di Bologna e nominata capogruppo della folta rappresentanza della lista Due Torri (dovette lasciare prematuramente la carica nel febbraio del 1963).
Nell’ottobre del 1961 lasciò Bologna per assumere la responsabilità della commissione femminile della CGIL. Il trasferimento ad altro incarico fu forse un segnale della direzione nazionale al nuovo gruppo dirigente della federazione perché non si spingesse ‘troppo oltre’ nel rinnovamento politico; o, forse, si ritenne Turtura la più adatta a rinnovare la politica sindacale nei confronti delle lavoratrici e a sostituire Rina Picolato, che ricopriva quel ruolo sin dal dopoguerra. Anche in questo nuovo campo di attività portò la sua capacità di innovare, individuando quelle forme organizzative e quelle rivendicazioni in grado di dare il segno del mutamento. In meno di un anno, sulla base di una piattaforma presentata in maggio, giunse a organizzare la III Conferenza nazionale delle donne lavoratrici (Roma, 9-11 novembre 1962). Furono indicati nuovi obiettivi: aumenti salariali per un ‘salario autosufficiente’, la riforma della legge sulla maternità (che giunse a compimento nel 1971); l’istituzione di asili nido e scuole materne, non più a solo carico delle imprese e situati all’interno degli stabilimenti, ma come servizi sociali. La Conferenza approvò l’istituzione dell’ufficio lavoratrici affiancato da una consulta centrale partecipata da militanti di base e donne dirigenti delle diverse categorie per coordinare e promuovere le donne a ruoli dirigenti generali. La crisi economica del 1964, però, penalizzò fortemente i settori a più alta occupazione femminile e le lavoratrici subirono pesantemente gli effetti della recessione. La ‘questione femminile’ perse rapidamente per il sindacato l’importanza che aveva assunto all’inizio del decennio. Al VI Congresso della CGIL (Bologna, 31 marzo-5 aprile 1965) entrò nel consiglio generale, ma non nel comitato direttivo. Ne fu amareggiata, soprattutto perché ciò toglieva peso alla battaglia delle donne. L’anno successivo ella stessa chiese di andare a lavorare in una federazione di categoria. Nel marzo del 1967 entrò nella segreteria nazionale della Federbraccianti. Il lavoro in agricoltura aveva subito negli ultimi anni cambiamenti radicali, e come ella stessa dirà, il sindacato doveva elaborare «un nuovo discorso sul problema agrario. Un discorso non legato alla redistribuzione della terra, ma al problema dell’uso della terra e alle connessioni fra la trasformazione agraria e lo sviluppo industriale collegato» (Gerosa, 1979, p. 278). Contribuì in maniera rilevante alla definizione di nuove politiche sindacali, più attente «all’intervento dello Stato, ai criteri di erogazione dei finanziamenti pubblici, agli strumenti dell’intervento pubblico, al sistema di potere» (D. Turtura, Prefazione a Scritti e discorsi di Feliciano Rossitto, Roma 1981, p. 7). Quando Feliciano Rossitto, al X Congresso della Federbraccianti (Ariccia, 8 maggio 1977), lasciò la carica di segretario generale della categoria (assunta nel 1973), fu Turtura ad assurgere al ruolo che agli inizi del secolo era stato di Argentina Altobelli; a lei volle che fosse dedicato l’archivio storico della categoria che proprio durante la sua segreteria fu istituito e che ora ha preso il suo nome.
Nel 1980 (consiglio generale di Ariccia, 15-17 maggio 1980) entrò a far parte della segreteria nazionale della CGIL, all’interno della quale si occupò in particolare del dipartimento territorio e regioni. Il rapporto tra istituzioni ed economia era stato già al centro della sua esperienza alla Federbraccianti, ma il nuovo incarico le consentì di affrontare le questioni dell’intervento pubblico, dei rapporti tra Stato e Regioni in una chiave più ampia. Non mancavano questioni spinose e conflitti oggettivi interni al mondo del lavoro, in particolare sulla questione ambientale. Per condurre tutto il sindacato a una nuova strategia politica promosse momenti di riflessione unitaria, come il convegno sull’assetto idrogeologico (10-11 maggio 1983), o quello sulle Regioni (13 gennaio 1984). All’XI Congresso della CGIL (Roma, 28 febbraio-4 marzo 1986) fu riconfermata alla segreteria nazionale.
Nel luglio del 1988 divenne segretario generale aggiunto del sindacato dei lavoratori dei trasporti (FILT, Federazione Italiana Lavoratori Trasporti), un settore sottoposto a forti tensioni per i processi di privatizzazione da un lato e le resistenze corporative di alcuni settori operai. Alla FILT cercò di impostare il rinnovamento su alcuni cardini: polo pubblico aperto ai privati, authority di controllo, omogeneità contrattuale, nuovi consigli dei delegati, patto con l’utenza (Rassegna sindacale, 11 luglio 1988), ma le resistenze interne furono forti. Affrontò con coraggio le infuocate assemblee di portuali, lo scontro con una figura storica del sindacato ferrovieri CGIL, Enzo Gallori, che giunse sino alla sua espulsione dalla CGIL. La proposta per cui s’era battuta Turtura di andare a nuove relazioni industriali non trovò appoggio nelle istituzioni; la pratica di forme di conflittualità che non penalizzassero l’utenza sembrò a molti lavoratori del settore impraticabile. Nel suo saluto al V Congresso della FILT (Bari, 7-10 ottobre 1991), ammise che vi erano nel gruppo dirigente «diverse sensibilità nell’impegno strategico di innovare le relazioni industriali» (l’Unità, 10 ottobre 1991) e per questo lasciava la categoria.
Tornata nella CGIL nazionale si occupò della lotta alla criminalità. Il 21 aprile 1992 la Confederazione la designò a rappresentarla nel Consiglio nazionale dell’economia del lavoro dove coordinò l’Osservatorio socioeconomico sulla criminalità. Per fornire un’occasione di confronto tra forze sociali e istituzioni nella formulazione di una legge più efficace sul sequestro e la confisca dei beni di origine mafiosa promosse un forum del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro che si tenne il 5 luglio 1993; seguendo poi come fosse applicata la legge del 1996 con un convegno nel maggio del 1997. Nella lotta alla criminalità si occupò anche di appalti pubblici e dell’istituzione dei codici etici.
Al XIII Congresso della CGIL (Rimini, 2-5 luglio 1996) fu eletta presidente del collegio statutario. Negli stessi giorni venne a mancare improvvisamente il suo compagno, Carlo Bellina, al quale si era legata poco dopo il suo arrivo alla CGIL nazionale.
Morì a Roma il 2 settembre 1997.
Fonti e Bibl.: Interviste a carattere autobiografico in: G. Gerosa, Le compagne, Milano 1979, pp. 274-283; Una sindacalista di livello nazionale (in forma anonima), in G.P. Di Nicola, Donne e politica, quale partecipazione?, Roma 1983, pp. 178-181; «È brava, ma...» donne nella Cgil 1944-1962, a cura di S. Lunadei - L. Motti - M.L. Righi, Roma 1999, pp. 337-341. Raccolte di scritti: D. T., gli anni della Federbraccianti, a cura di A. De Marco, Roma 2007; M.P. Del Rossi, D. T. Rigore, umanità, ragione e passione di una grande sindacalista, Roma 2008. Profili biografici e testimonianze in: Argento vivo. Mensile del Sindacato pensionati italiani SPI-CGIL dell’Emilia Romagna, ottobre 1997; M.L. Righi - A. Carbone - G. Casadio, Il sindacato scelta di vita. In ricordo di D. T. Ritratti, in Rassegna sindacale, 16 dicembre 1997; Del Rossi, D. T., cit., 2008. Su alcuni aspetti della sua vicenda politica: G. Fanti - G.C. Ferri, Cronache dall’Emilia rossa. L’impossibile riformismo del PCI, Bologna 2001, ad ind.; M.L. Righi, Il lavoro delle donne e le politiche del sindacato: dal boom economico alla crisi degli anni Settanta, in Mondi femminili in cento anni di sindacato, a cura di G. Chianese, II, Roma 2008, p. 123-162; E. Palumbo, Se otto ore vi sembran poche. Donne nel sindacato agricolo in Italia (1904-1977), Roma 2012, pp. 240-251.