SCINÀ, Domenico
– Nacque il 31 gennaio 1764 a Palermo da Baldassare e da Rosaria Romano.
Presto orfano del padre, venne avviato agli studi dalla madre, presso i padri delle Scuole pie, poi presso la neonata Accademia, dedicandosi a geometria, fisica e filosofia.
Il 22 dicembre 1767, dopo l’abolizione della Compagnia di Gesù, nell’ex collegio Massimo erano state riaperte le pubbliche scuole, affidate a studiosi vicini alla cultura neoterica: Francesco Carì per la teologia, Niccolò Cento per la fisica e la matematica, Giovanni Natale (zio di Tommaso) per l’aritmetica. In questo ambiente, destinato nel 1779 a dare vita alla Reale Accademia degli studi, venne formato Scinà agli studi filosofici e scientifici.
Altro centro culturale era allora il seminario dei chierici, in cui, alla fine degli anni Settanta, insegnava teologia Rosario Gregorio; questi introdusse Scinà ai testi degli illuministi francesi (Étienne Bonnot de Condillac e D’Alembert) e inglesi (John Locke e David Hume). Dopo un breve periodo di supplenza nella cattedra di matematica e fisica dell’Accademia (quando gli venne preferito l’architetto Domenico Marabitti), nel 1796 occupò la cattedra di fisica sperimentale, tenuta poi fino al pensionamento nel 1834. Soltanto nel 1811, tuttavia, gli venne riconosciuto lo stipendio pieno.
La sua attività scientifica e letteraria iniziò con l’orazione De literarum et virtutis utilitate, pronunziata nel 1803 all’Accademia, dove, oltre a esaltare il sapere scientifico, Scinà insisteva sulla tradizione siciliana, indicandone come capisaldi Archimede e Francesco Maurolico. Nello stesso anno Scinà diede alla luce a Palermo i testi relativi al suo corso di fisica, l’Introduzione alla fisica sperimentale (1803) e gli Elementi di fisica (1803 e 1809). Nell’Introduzione Scinà espresse compiutamente il suo progetto empirista e sensista relativo all’insegnamento. Una lunga carrellata storica, dai matematici greci fino a Isaac Newton, giungeva al suo culmine negli scienziati illuministi francesi, in particolare con la meccanica celeste di Pierre-Simon de Laplace (a cura di P. Casini, 1990, p. 34).
Scinà concludeva l’Introduzione ribadendo i fili conduttori del suo insegnamento: la necessità di un’adeguata strumentazione di laboratorio e il nesso inscindibile con il territorio. L’insegnamento della fisica sperimentale costituiva l’ossatura fondamentale per la formazione culturale degli studiosi siciliani, per mantenerli in contatto con quanto prodotto «oltre i monti». La ricerca attiva andava invece indirizzata verso lo studio naturalistico del territorio. Una posizione molto diversa da quella di Giuseppe Piazzi, che aveva trasformato l’osservatorio astronomico di Palermo in un centro di rilevanza mondiale (è del 1801 la scoperta di Cerere) del tutto scisso da quello locale. Una prospettiva esaltante, ma che aveva fatto dire al suo amico barone Franz Xaver von Zach «L’astronomie dans le royaume des deux Siciles, [...] y est une plante rare et très délicate, qui n’a été cultivée jusqu’à-présent, que dans une serre-chaud qui à Palerme» (Zach, 1819, p. 526).
Il corso di Elementi di fisica fu completato e riedito a Palermo in quattro volumi soltanto nel 1828-1829 (Elementi di fisica particolare, 1828; Elementi di fisica generale, 1829) e ricevette nel 1830 una lusinghiera recensione da parte di V. Antinori nell’Antologia di Giovan Pietro Vieusseux (Elementi di fisica particolare..., vol. 38, n. 114, pp. 9-31) e una nuova edizione milanese nel 1833.
Negli anni successivi Scinà perseguì con grande coerenza i suoi obiettivi culturali. Nel 1808 pubblicò a Palermo l’Elogio di Francesco Maurolico, colui che può essere considerato l’anello di congiunzione tra Archimede, del quale aveva tradotto e rielaborato il corpus delle opere, e la Sicilia moderna. Seguivano i due volumi delle Memorie sulla vita e filosofia di Empedocle gergentino (Palermo 1813). Nella dedica al suo maestro Rosario Gregorio (morto nel 1809) Scinà delineava ancora una volta il suo programma di studi locali, ma non localisti.
Si tratta di una biografia di ampio respiro, che oltre a tratteggiare l’importanza del filosofo agrigentino, tende a dare un quadro complessivo e dettagliato della vita culturale dei suoi tempi e costituisce la prima esposizione del complesso dell’opera di Empedocle. Nella descrizione di quest’ultima sono frequenti e talvolta azzardati i riferimenti a problematiche moderne e contemporanee (Erasmus Darwin, esperienza di Torricelli ecc.).
L’opera ebbe immediatamente risonanza e ricevette nel 1816 una lunga recensione di Pietro Giordani nella neonata Biblioteca italiana (I, pp. 322-333; II, pp. 15-22; IV, pp. 247-259). Fu anche sotto la spinta di quel successo che Scinà, nel 1815, venne nominato regio storiografo, succedendo al suo maestro Rosario Gregorio.
Intanto, nel 1811, Scinà aveva intrapreso uno dei suoi viaggi per conoscere gli aspetti naturalistici della Sicilia, iniziando dall’Etna, in quel momento nel pieno di un’eruzione, e proseguendo per Messina e successivamente Siracusa. Ne trasse due memorie: una dedicata all’eruzione, Capitoli di lettere scritte da Catania a monsignor Gaetano Grano di Messina sull’eruzione dell’Etna nel 1811, pubblicata, secondo Vincenzo Mortillaro (1844), già nello stesso 1811 nel giornale Fa per tutti, e poi ancora nel 1833 nel Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia (vol. 42, pp. 163-166); la seconda, Memoria sui fili reflui e vortici apparenti dello stretto di Messina, sulle correnti dello stretto, rimasta manoscritta e apparsa nel 1818 nella Biblioteca italiana (IX, pp. 266-271). Accanto allo studio del territorio siciliano, si intensificavano il contatto con gli ambienti culturali nazionali, in particolare con la Biblioteca italiana e con Giordani.
Il compito di regio storiografo non riguardava solo il campo della storia civile e culturale, ma anche quello della cosiddetta storia naturale. In questa veste Scinà si accinse agli studi riguardanti il territorio palermitano, da cui scaturì il suo capolavoro nel campo di tali scienze, La topografia di Palermo e de’ suoi contorni (Palermo 1818).
Nell’introduzione si lamenta lo scarso interesse del mondo accademico siciliano per le ricerche sul territorio. L’opera si presenta come un potenziale modello per tal genere di studi. Oltre a descrivere in modo accurato la natura dei dintorni palermitani, la Topografia è ricca di suggerimenti sull’utilizzo economico delle sue risorse; propone, ad esempio, d’intraprendere il rimboschimento dei monti circostanti la Conca d’Oro o l’utilizzo delle argille per la produzione di ceramica o ancora lo sfruttamento razionale delle risorse idriche. Malgrado gli inevitabili difetti, l’opera appare utile ancora oggi. La ricezione fu tuttavia contrastata, e le lunghe polemiche che seguirono (ricostruite in Nastasi, 1990) davano voce a rivalità accademiche e scientifiche.
Scinà ebbe presto occasione di proseguire nel suo programma: una serie di terremoti aveva scosso la regione madonita a partire dal febbraio 1818 e fino alla metà dell’anno successivo. Nell’aprile del 1819 l’intendente per la Valle (provincia) di Palermo, Ignazio Migliaccio, principe di Malvagna, incaricò Scinà di studiare e spiegare il terremoto e i relativi danni. Il regio storiografo partì il 5 aprile e percorse le intere Madonie fino alla fine di maggio, intraprendendo uno studio dettagliato della costituzione fisica dei terreni madoniti. Cauto sulle cause dei terremoti, respinse sia le teorie che li facevano risalire a fenomeni elettrici (in auge alla fine del Settecento) sia quelle legate al vulcanismo (difese da Francesco Ferrara). Le sue conclusioni vennero pubblicate, nel corso della spedizione, nel Giornale dell’intendenza (Mazzarella, 1988) e poi nel Rapporto del viaggio alle Madonie in occasione dei tremuoti colà accaduti nel 1818 e 1819 (Palermo 1819).
Il 1820 fu l’anno della rivoluzione in Sicilia e a Napoli. Scinà venne eletto al Parlamento siciliano, da cui si dimise per motivi sconosciuti. Dopo la rivoluzione, proseguendo nel suo cursus honorum, venne nominato cancelliere dell’Università di Palermo e membro della commissione di Pubblica Istruzione e nel 1823 deputato nella libreria del Senato (cioè nella Biblioteca comunale). In quello stesso anno fu incaricato dell’esame degli effetti di uno dei più gravi terremoti che abbia colpito Palermo. Sempre nel 1823 pubblicò a Palermo la terza monografia sui filosofi/ scienziati greco-siculi, il Discorso intorno ad Archimede. Anche se non si trattava di uno studio totalmente originale, costituì tuttavia un anello fondamentale della riscoperta del filo dello sviluppo delle scienze in Sicilia, una tappa obbligata per il rilancio della ricerca nel presente e nell’avvenire. In quegli anni Scinà si dedicò anche alla ristampa e al completamento dei suoi Elementi di fisica.
Nel 1824 venne pubblicato il primo volume del suo capolavoro, il Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII (I, Palermo, 1824; II, 1825; III, 1827). Si tratta di un’opera ancor oggi indispensabile per comprendere la cultura siciliana moderna, sia per la sua indiscutibile e accurata erudizione, sia per la solida impostazione concettuale. C’è infatti nell’opera un filo interpretativo che le conferisce un’ammirevole coerenza. Per Scinà, tre fasi si erano succedute nel corso del secolo: una fase cartesiana (rappresentata soprattutto da Giovan Battista Caruso e Tommaso Campailla); una leibniziana (Tommaso Natale, Niccolò Cento); e l’aprirsi, nella seconda metà del secolo, della fase illuministica e soprattutto empirista guidata da Rosario Gregorio. Fu un’opera fondamentale che come tale fu accolta negli ambienti colti italiani e stranieri, ottenendo un pieno riconoscimento da parte di Giovanni Gentile (1919, 1985) peraltro suo feroce critico.
Nel 1830, nella grotta di Maredolce, nei dintorni di Palermo, venne rinvenuta dal barone Antonio Bivona Bernardi una grande quantità di ossa fossili; ancora una volta la commissione di Pubblica Istruzione affidò a Scinà l’incarico di studiarle, ed egli ne diede notizia nel Rapporto sulle ossa fossili di Maredolce e degli altri contorni di Palermo (Palermo 1830). Confortato dal parere del grande George Cuvier, Scinà attribuì le ossa a mammiferi fossili vissuti in epoche preistoriche, smentendo così le leggende sui ciclopi e sui giganti, ma anche quanti, come Francesco Ferrara, avevano attribuite le ossa a sepolture di animali da parte di cartaginesi o altri. Si trattò dell’inizio «della storia della paleontologia dei vertebrati in Sicilia» (Burgio - Cani, 1992, p. 62).
Di un altro, straordinario, evento naturalistico dovette interessarsi Scinà nel 1831: l’apparizione, ai primi di luglio, di una ‘novella isola’ a largo di Sciacca, isola subito battezzata come isola Ferdinandea. L’isola scomparve dopo pochi mesi, ai primi di novembre. Anche se, a causa di una malattia, Scinà fu impossibilitato a recarsi in loco, utilizzando le diverse fonti, riuscì ugualmente a stilare un rapporto che rimane uno dei riferimenti fondamentali per lo studio dell’argomento (Breve ragguaglio del novello volcano, apparso e disperso nel mare di Sciacca, in Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, 1832, t. 1, pp. 136-165).
A partire dal 1832 Scinà si dedicò soprattutto alla stesura di una storia della letteratura greco-sicula, pubblicando alcuni saggi preliminari. L’opera venne poi stampata postuma, Storia letteraria di Sicilia ne’ tempi greci (Napoli 1840).
Morì a Palermo, colpito dal colera, alle 2 del 13 luglio 1837.
A Scinà è stato dedicato da Bivona Bernardi un genere di alghe rosse, il genere Scinaia.
Dopo la sua morte la sua opera venne variamente giudicata. Giovanni Gentile ha operato una dura e ideologica stroncatura, additandolo come principale responsabile del tramonto regionalista della cultura siciliana: «Era ancora lo spirito novello dello Scinà, che chiuse la Sicilia alle nuove aure rinnovatrici del romanticismo» (Gentile, 1919, 1985, p. 77). In tempi più recenti si è avuta un’ampia rivalutazione della sua opera, iniziata con i contributi di Pietro Nastasi (1987) e Paolo Casini (1988) e proseguita con importanti studi citati in bibliografia.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo si ricordano le seguenti edizioni: Introduzione alla fisica sperimentale (1803), a cura di P. Casini, Palermo 1990; Elogio di Francesco Maurolico (1808), a cura di U. Bottazzini - P. Nastasi, Caltanissetta 1994; Discorso intorno ad Archimede (1823), a cura di C. Genna, Milano 2016.
Fonti e Bibl.: F.X. von Zach, Correspondance astronomique, géographique, hydrographique et statistique, II, Génes 1819, p. 526; F. Malvica, D. S., Palermo 1838; V. Mortillaro, Su la vita e su le opere dell’abate D. S., in Opere, II, Palermo 1844, pp. 127-154; Opere letterarie e scientifiche edite e inedite di D. S., a cura di A. Gallo, Palermo 1847; G. Gentile, Il tramonto della cultura siciliana (1919), Firenze 1985; G. Cotroneo, L’ultimo degli illuministi: D. S., in La Sicilia nel Settecento, I, Messina 1985, pp. 207-253; S. Mazzarella, Dell’isola Ferdinandea e di altre cose, Palermo 1985, passim; P. Nastasi, D. S. e il dibattito scientifico. Appunti di una ricerca, in I naturalisti e la cultura siciliana dell’800, a cura di G. Liotta, Palermo 1987, pp. 93-113; P. Casini, I silenzi di Clio, in Il Meridione e le scienze. Atti del Convegno...1985, a cura di P. Nastasi, Palermo 1988, pp. 15-26; S. Mazzarella, Madonie 1819. L’abate S. fra i terremoti, Palermo 1988; P. Casini, L’empirismo e la vera filosofia: il caso S., in Rivista di filosofia, 1989, vol. 80, n. 3, pp. 351-365; P. Nastasi, D. S., Palermo 1990; E. Burgio - M. Cani, Per una storia della paleontologia dei vertebrati in Sicilia, in Paleocronache, 1992, vol. 2, pp. 60-68; P. Nastasi, Di Filippo Arena, D. S. e dell’espulsione dei gesuiti dalla Sicilia, in La cultura scientifica e i gesuiti nel Settecento in Sicilia, a cura di I. Negrelli, Palermo 1992, pp. 33-52; Id., S. contestato. Controversie, polemiche e pettegolezzi nella cultura scientifica siciliana dei primi decenni dell’800, in Scritti offerti a F. Renda per il suo settantesimo compleanno, a cura di N. De Domenico - A. Garilli - P. Nastasi, II, Palermo 1994, pp. 941-1029; Da D. S. a Michele La Rosa, in Le scienze chimiche, fisiche e matematiche nell’Ateneo di Palermo, a cura di P. Nastasi, Palermo 1998; C. Genna, D. S. interprete di Empedocle, in Le filosofie del Mediterraneo e della Magna Graecia, a cura di P. Di Giovanni, Milano 2015.