POGGINI, Domenico
– Nacque a Firenze il 24 luglio 1520 (Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registri battesimali, Maschi, 8, c. 160r), da Michele di Pagolo Poggini; suo fratello maggiore, Giampaolo, fu un medaglista.
Attivo come orefice, incisore di conî, medaglista, scultore e poeta, Domenico Poggini dovette forse la sua prima formazione alla bottega del padre, identificato da Gaetano Milanesi con l’intagliatore di gemme Michele di Paolo di Donato legnaiuolo, nato presumibilmente dopo il 1487 e sposato con Cipriana di Domenico Pasquino.
La biografia del genitore così come il suo corpus restano tuttavia ancora da precisare: a volte riconosciuto con il «Michelino» celebrato da Sabba da Castiglione fra quelli che «di cammei, di corniole et altri intagli di mano» sono «maestri valentissimi et famosissimi», è stato però anche identificato – seppure senza basi solide – con un orafo dello stesso nome attivo a Venezia (Kris, 1929).
Le prime testimonianze dell’attività di Giampaolo (nato il 28 marzo 1518) e di Domenico vanno collocate nella cerchia di Benvenuto Cellini, il quale ricorda, il 25 agosto 1545, d’aver passato ai Poggini un vaso d’oro per la finitura, facendo poi più volte menzione della coppia di scultori. Non poche di queste opere commissionate ai due fratelli – i quali lavorarono dalla metà degli anni Quaranta alla corte di Cosimo I (una loro richiesta di aumento dello stipendio fu rifiutata nel 1548) – sono documentate.
Giampaolo si affaccendò nel 1547 attorno a una «scatola di foglia di rubini» (Carteggio inedito…, a cura di Gaye, 1839, pp. 363 s.); eseguì l’anno seguente una cintura di diamanti e realizzò infine una copia d’oro di una tazza antica nel 1549. Domenico invece è citato varie volte per la rinettatura di diverse figurine d’argento della guardaroba ducale (fra altro un Apostolo nel 1546 e nel 1549 un Satiro), e successivamente per lavori di oreficeria di più grande impegno (un calamaio d’oro nel 1545, le maniglie d’una spada e d’un pugnale nel 1548, tre anni dopo «due cinturini di argento lavorati a figurine» e, nel 1554, la creazione di alcuni «candellieri in argento», Plon, 1883, p. 385). Un altro pagamento a Domenico Poggini – l’unico dei fratelli a immatricolarsi all’Arte della Seta, il 20 aprile 1553 garantito dal maestro Bernardo Baldini – è legato alla lavorazione della prima corona ducale di Cosimo I. Nessuno di questi pezzi è identificabile con oggetti oggi noti e diverse proposte attributive non sono sostenute da un riscontro documentario.
Degna di nota è pertanto in questo contesto l’indicazione di Igino Benvenuto Supino riferita ad «alcuni nautili con legature in metallo», già conservati al Bargello, i quali «si credono opera dei fratelli» (1898); e altrettanto importanti l’attribuzione del sigillo di papa Marcello Cervini (in collezione Corvisieri), dato da Luigi Passerini a uno dei Poggini o, in tempi più recenti, l’attribuzione a Domenico di certi lavori di oreficeria in uno stipo di Cosimo I (Giusti, 2008).
Alla corte del duca i due si occuparono inoltre della pulitura di bronzetti, come «tre figure di bronzo del Bandinello» (il quale passò un’invenzione a Domenico nel settembre 1550); cominciarono inoltre a gettare e battere medaglie. Non è ben chiaro quindi se la più antica lode poetica dedicata ai Poggini, scritta da Lodovico Domenichi nel 1547 («Adunque hebbe il Poggin dolce fatica…»), risponda a una medaglia di Domenico o del fratello: proprio in quel tempo, nel 1548, Giampaolo lavorava alla sua prima medaglia documentata (probabilmente ducale), ma anche Domenico diede fine a un rovescio. Nell’aprile del 1549 uno dei Poggini eseguì il modello della fortezza di Portoferraio in cera e in dicembre il duca incaricò Domenico di un’altra medaglia recante il suo ritratto e la veduta delle fortificazioni dell’isola d’Elba. Sembra che dalla metà degli anni Cinquanta i due Poggini cominciarono a incidere matrici per la Zecca ducale; e però già sul 1556-57 Giampaolo si trasferì a Bruxelles, dove lavorò medaglie, conî e sigilli per Filippo II, Alessandro Farnese e il cardinale Antoine Perrenot de Granvelle; da li si recò a Madrid, dove venne nominato Escultor del Re nel 1563 (Giampaolo sarebbe morto prima del 26 agosto 1580).
Domenico Poggini continuò a realizzare conî e un gran numero di medaglie alla corte medicea, raffigurando personaggi illustri della famiglia ducale come Cosimo I, Eleonora de Toledo, i loro figli Francesco, Ferdinando, Lucrezia e Isabella, parenti e alleati come Ippolito e Alfonso II d’Este, Luigi de Toledo, Paolo Orsini e Giovanna d’Austria. Solo in parte firmate, l’attribuzione di alcune di queste medaglie così come di altre opere consimili è piuttosto discussa. Intanto le medaglie per Ludovico Ariosto, Ludovico Domenichi e Benedetto Varchi testimoniano il buon rapporto dell’artista con i letterati (l’ultimo inviò i suoi saluti al «Poggino» nel 1548), grazie forse alle sue ambizioni poetiche: intorno al 1559 Domenico Poggini scrisse un sonetto in lode di Cosimo I, nell’appendice ai Due trattati di Cellini appare un suo elogio, e una sua risposta poetica a Varchi è da collocare prima della morte dell’erudito nel 1565.
La tendenza classicistica delle medaglie di Poggini (definito un «reazionario inconvertibile» da Friedrich Kriegbaum, circa 1931-43, p. 231) si fece ancora più sobria quando l’artista cominciò a lavorare in marmo, sviluppando uno stile in dialogo con la pittura di Bronzino. La sua prima statua fu un Giovane Bacco (New York, Metropolitan Museum), firmato dallo scultore come «aurifex» e datato al 1554. Reca una medesima qualifica professionale anche l’Apollo Pitio del giardino di Boboli, terminato nel 1559.
Altre proposte attributive per statue presenti nel parco – un Ercole e un Bacco – sono state respinte dalla critica; e sono ugualmente da escludere dal suo catalogo il Ragazzo con l’oca (Detroit, Institute of arts), riferibile all’ambito di Tribolo, e il Giasone del Victoria & Albert Museum. Dubbia rimane inoltre la paternità pogginiana di un Davide con la testa di Golia, passato in asta nel 1987.
Non meno problematico è il gruppo di ritratti e busti in marmo attribuiti all’artista (con l’eccezione del Francesco I della Galleria degli Uffizi, oggi generalmente accettato dalla critica e collocato poco prima del 1564).
Mentre il busto di un bambino in collezione privata, identificato come Garcia o Filippo de’ Medici, è forse della mano di Poggini (Langedijk, 1974), un secondo ritratto fanciullesco conservato al Bargello, attribuito da Karla Langedijk allo scultore, va considerato un’opera del tardo ’400 o dell’inizio del ’500 (Kohl, 2007). Il busto di Virginia Pucci Ridolfi al Bargello è stato invece dato di recente a Rodolfo Sirigatti (Schmidt, 2007): improbabile, quindi, che lo scultore abbia eseguito il busto della stessa Virginia in S. Maria sopra Minerva a Roma. Non universalmente condivise sono inoltre le attribuzioni dei busti funebri di Stefano Spada in S. Maria del Popolo e di Tullio Siciolante in S. Lorenzo in Damaso. Un altro marmo romano spesso ritenuto di Poggini, il busto di Faustina Lucia Mancini, è letto da Elena Bianca Di Gioia come un modello arcaizzante del ’600 (2002). Poco persuasive altre opere riferite a Poggini e di recente passate sul mercato antiquario, fra le quali un busto di Maria de’ Medici (?), un Giovane in armatura (dato a Zanobi Lastricati da Alessandro Nesi), e un cosiddetto Comandante navale. Diversi ritratti in rilievo di cera colorata assegnati allo scultore (e raffiguranti Cosimo I, Giovanna d’Austria, Bianca Capello e Antonio de’ Medici) non possono essere legati in modo convincente alla sua mano.
Accolto il 12 marzo 1564 nell’Accademia del Disegno a seguito della sua ufficiale rinuncia al mestiere di orafo e «per aver facto di scultura più cose di marmo» (Der literarische Nachlass …, a cura di Frey-Frey, III, 1940, p. 208), Domenico Poggini fu ufficialmente eletto fra gli accademici il 16 luglio (e nonostante la sua dichiarazione prese in affitto, già il 1° maggio 1564, una bottega insieme con l’orafo Filippo di Giovanni Lupicini: Archivio di Stato di Firenze, Decima granducale, 2288: Arroti dell’anno 1564, S. Croce, c. 164r, n. 85). È a tutt’oggi conservata una descrizione della proposta da lui formulata per il sigillo dell’Accademia. Nel corso di due decenni Poggini ottenne diverse cariche importanti in seno all’istituzione, fungendo tra l’altro da provveditore e console.
Per il catafalco di Michelangelo del 1564 raffigurò una Calliope come Personificazione della Poesia (l’anno seguente il provveditore rivendette la «figura di rilievo del catafacto [sic] a Domenico Pogini, che la fecie»: Der literarische Nachlass …, a cura di Frey-Frey, III, 1940, p. 214). La proposta di Vincenzo Borghini di affidargli la commissione della statua per il monumento funebre in S. Croce fu però respinta in favore di Valerio Cioli. Nello stesso anno Poggini eseguì numerose opere in terra o stucco per decorazioni effimere in onore delle nozze di Francesco de’ Medici – fra queste la Vita attiva e la Vita contemplativa, le statue di due imperatori, una Nascita della Vergine e altre «figure di basso rilievo di stucco» non meglio specificate (Frida Schottmüller suggeriva che la testa della Vita contemplativa fosse da identificare con un frammento già a Berlino, 1931, pp. 113 s.). Benché le attribuzioni di altri lavori in terracotta come due busti maschili a Berlino e al Victoria & Albert Museum siano oggi unanimemente respinte, la statua del S. Pietro per la cappella di S. Luca nella Ss. Annunziata (affidata allo scultore nel 1567 e messa in opera prima del 30 aprile 1570) manifesta eloquentemente il suo modo di intendere la plastica di grande formato.
Negli anni Sessanta – quando fu celebrato nella descrizione delle esequie di Michelangelo per essere «nel gettare di bronzo […] molto esercitato» (Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti, 1564, p. n.n.), fu menzionato da Vasari per la sua esperienza nelle opere fusorie e venne incluso fra gli scultori chiamati a valutare il Perseo celliniano – Poggini realizzò sicuramente figure bronzee. Solo il Plutone, però, creato per lo studiolo di Francesco I, può essergli riferito con certezza; la scultura, la cui qualità testimonia una certa pratica nella fusione, fu eseguita prima del 30 settembre 1571 (data del pagamento per la doratura); Poggini ricevette gli ultimi emolumenti relativi a questa impresa il 18 luglio 1573.
Il suo corpus di figure in bronzo rimane tuttavia piuttosto indeterminato. Soprattutto un certo gruppo di opere (un Acrobata, un Giovane con bambino sulle spalle, un Gladiatore e diverse altre figure di genere o di nudo), dato a Poggini fino alla seconda metà del XX secolo, è ora diviso fra i cataloghi di vari artisti nordici (Weihrauch, 1967). Altre attribuzioni, oggi generalmente respinte dalla critica, riguardano un Giovane colle braccia sulla testa, la Virtù che atterra il vizio (tutte e due noti in vari esemplari), e due busti di Cosimo I a Copenaghen e al Bargello. Finora condiviso è invece il riferimento a Poggini per il Ballerino della collezione Untermyer (New York, Metropolitan Museum), come anche il suggerimento di Ettore Camesasca per la Donna giacente nell’Ashmolean Museum di Oxford (1955, p. 65). Proposte più recenti si basano inoltre sulla formazione di Poggini come orafo e sulla sua capacità di elaborare cesellature raffinate: è questo il caso del Giovane con cesto alzato sopra un delfino, già nella collezione Wernher, o d’una copia di dimensioni ridotte del Giuliano di Michelangelo (La Spezia, Museo civico).
A Firenze continuò a rifinire opere altrui: ad esempio una pace raffigurante la Pietà, da lui consegnata alla guardaroba prima del 1568 dopo aver «rassettato» le teste, e soprattutto il Nettuno (Roma, Galleria Colonna) fuso da un modello di Baccio Bandinelli nel 1573 e successivamente pulito, cesellato e patinato da Poggini.
Si trasferì forse per un breve periodo a Roma verso il 1574-75 (realizzò una medaglia per Gregorio XIII nel 1575), ma solo nel 1585-86 fu definitamente chiamato da Sisto V a ricoprire l’ufficio di incisore camerale nella Zecca pontificia. A Firenze eseguì ancora nel 1575 la medaglia per la nuova fabbrica di S. Maria Nuova e nel 1579 realizzò le statue della Legge vecchia e Legge nuova, originariamente ai lati dell’altare maggiore di S. Pancrazio (per le nicchie del ciborio dello stesso altare fece «otto figurine di terra cotta» oggi perdute: Bocchi - Cinelli, 1677, p. 204).
Non sono documentati altri lavori nella città toscana: la critica non concorda né sulla datazione né sull’attribuzione di otto sedili con imprese medicee in rilievo, da datarsi sicuramente a dopo il 1569, ma con ogni probabilità eseguiti al tempo di Ferdinando I e quindi troppo tardi per essere riferiti a Poggini, il quale lasciò la città prima della morte di Francesco.
Dal 1586 in poi realizzò a Roma, assistito dai fratelli Niccolò ed Emilio de Bonis, numerosi conî e medaglie papali e della corte pontificia: fra queste ultime, quelle per i funzionari Niccolò Todini e Orazio Foschi e per l’architetto Domenico Fontana. Nel contesto delle invenzioni per Sisto V sarebbero nati anche sedici disegni per medaglie, messi all’asta nel 1995, la cui attribuzione all’artista è però assai discutibile. Proposte precedenti volte a ricostruire l’attività grafica di Poggini (un Ritratto di Varchi, in realtà opera di Bartolomeo Passarotti; un Bacco bandinelliano) non si sono rivelate convincenti.
Non sono conosciuti ritratti di Poggini (da rigettare la proposta di Francesco Porzio, che lo identifica nel Ritratto di collezionista nell’Ambasciata d’Italia a Londra, dato a Passarotti).
Morì a Roma il 28 settembre 1590 e fu sepolto in S. Giovanni de’ Fiorentini (Archivio di Stato di Firenze, Decima granducale, 1319: Giustificazioni di città dell’anno 1590, II, filza n. 478). Adolfo Modesti afferma che le spoglie dello scultore furono riportate dopo alcuni anni in patria (2004).
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