PINO, Domenico
PINO, Domenico. – Nacque a Milano l’8 settembre 1760 da Francesco e da Margherita Lonati. Il padre era un agiato commerciante che dette ottima istruzione al figlio facendogli frequentare il collegio Gallio di Como.
Abbracciato il mestiere delle armi presso il duca di Parma, Pino era un uomo maturo, ma ancora un semplice capitano di cavalleria, quando, nel 1796, Bonaparte avviò la sua strepitosa avventura italiana. Si portò presto a Milano, dove si arruolò come semplice granatiere nella legione lombarda in via di costituzione: stando alla testimonianza di Pietro Custodi, egli avrebbe fatto quella scelta anche per sfuggire ai creditori, ma l’insinuazione – quand’anche fosse fondata – non esclude che la sua decisione nascesse dalla rivolta contro il disposto d’antico regime di riservare gli alti gradi alla nobiltà soltanto. Pino intravide insomma nei clamorosi rivolgimenti in alta Italia l’irripetibile occasione per una pronta ascesa socioprofessionale e tutto investì sulla nuova dimensione patriottica del mestiere delle armi. La sua carriera militare fu d’altronde vertiginosa: la più che probabile partecipazione alla battaglia di Arcole (16 novembre 1796) gli assicurò la nomina a capo di battaglione e il trasferimento in terra di Romagna, dove si distinse nelle operazioni militari contro i soldati pontifici. La presa di Urbino, nella quale ebbe larga parte, gli valse, già il 25 febbraio 1797, la nomina a capo di brigata e il diretto comando della II legione cisalpina.
La carriera di Pino si avvantaggiò pertanto del rifiuto di larga parte del ceto aristocratico di collaborare con i francesi, ma trovò occasione di slancio dall’infiammato patriottismo di cui il soldato dette subito prova: nella Milano luogo di raccolta dei molti fuorusciti dagli altri Stati della penisola, egli si legò presto ai circoli più radicali e al momento della nascita della Repubblica Cisalpina, nel luglio del 1797, era l’esempio di una nuova figura di ufficiale, dove il carisma sulla truppa nasceva dall’attenzione nei confronti dei soldati, le doti di comando erano coniugate a un progetto rivoluzionario e la capacità organizzativa rifletteva il lucido proposito di fare proprio delle armi il primo bastione del nuovo ordine in Italia. Per questo motivo il governo cisalpino gli assegnò differenti incarichi volti ad animare lo spirito pubblico attraverso la via del reclutamento in armi.
All’indomani del trattato di Campoformio, lasciò il Friuli per prender possesso in nome della Cisalpina delle terre alla sinistra del Po un tempo del duca di Parma, mentre agli inizi del 1798 si spostò a Massa con l’incarico di ristabilire l’ordine nella Garfagnana. Sempre di stretta intesa con l’esecutivo, Pino ne approfittò per sostenere alcuni tentativi insurrezionali nella Repubblica di Lucca che dessero alla sua truppa il pretesto per intervenire. L’operazione però fallì per la pronta resistenza delle autorità francesi e il generale venne fatto rientrare a Milano, dove chiese un congedo per motivi di salute che lo allontanasse dai sospetti degli inviati transalpini: per calmare comunque le acque il governo di Milano preferì invece inviarlo a Como e a Varese, dove svolse funzioni di polizia sul territorio e fare poi ritorno in autunno a Massa. Da quella postazione, ormai sul finire del 1798, cooperò alla campagna militare del generale francese Jean-Étienne Championnet contro il re di Napoli e la sua truppa molto si distinse nei combattimenti, che valsero a Pino, sin dal 17 dicembre, la promozione sul campo a generale di brigata.
Di lì a qualche mese si rinnovò la guerra all’Austria, presto trasformatasi in un disastro: Pino ricevette l’ordine di portarsi con la propria truppa presso il comandante cisalpino Giuseppe La Hoz in Romagna, ma tutti e due, presto accusati di un esagerato patriottismo che li avrebbe spinti a rifiutare l’opprimente tutela francese, vennero destituiti dalle rispettive funzioni dal generale Joseph-Hélie-Desiré Perruquet de Montrichard. Pino accettò il disposto ponendosi agli ordini del corpo di spedizione francese guidato da Jean-Charles Monnier, mentre La Hoz, messosi a capo degli insorgenti, addirittura li attaccò. La morte in battaglia di La Hoz, colpito da un soldato di Pino, non fu sufficiente per evitare all’esercito franco-cisalpino di rinchiudersi ad Ancona, dove nel mese di novembre 1799 fu costretto a capitolare dalle truppe austriache. Pino venne fatto prigioniero sulla parola e poté raggiungere la Francia assieme alle truppe di Monnier, ma gli fu impossibile partecipare alla formazione della legione italica che Bonaparte, nel frattempo divenuto primo console, aveva inteso allestire per tornare in Italia. Egli partecipò comunque alla spedizione al seguito delle truppe francesi e la sua lealtà a Monnier gli permise la promozione già nel corso delle operazioni (26 aprile 1800) a generale di divisione: tornato libero dopo il trionfo di Marengo, Pino ridivenne il punto di riferimento dei molti esuli italiani affluiti a Milano, perché propose che nel nuovo esercito potessero essere accolti anche quanti erano stati esclusi dalla legione italica: egli parve così prospettare la nascita di un esercito nazionale anziché cisalpino e perorare la causa di una guerra a oltranza nella penisola. Nel settembre del 1800 guidò le proprie truppe nelle operazioni militari in Toscana, che gli valsero un altro encomio solenne, ma le sue speranze di continuare le ostilità nella penisola vennero presto vanificate dalla pace di Lunéville (febbraio 1801).
La trasformazione, giusto agli inizi del 1802, della Cisalpina in una Repubblica Italiana, con Bonaparte presidente, parve poi favorire a Milano la componente che più gli era avversa: il vicepresidente Francesco Melzi d’Eril non mancò di vergare pesanti giudizi sul suo conto, puntualmente lamentandosi con Parigi che nei modi ruvidi e nel temperamento focoso del generale fosse la prova di una preoccupante inaffidabilità politica. Per tutta risposta, Pino cercò consensi nelle armi francesi di stanza a Milano, sempre presentandosi come un leale soldato agli ordini di Bonaparte: nel 1803 chiese, seppur inutilmente, di essere inviato a Santo Domingo per schiacciare la resistenza di Toussaint Louverture e non appena si riaprirono le ostilità con l’Inghilterra ottenne la nomina a comandante delle truppe italiane chiamate in Francia per partecipare alla progettata invasione dell’isola. Tanto zelo dette presto i suoi frutti, perché nell’agosto del 1804 – con gran dispetto di Melzi – Pino divenne ministro della guerra e da quella posizione plaudì prima alla nascita dell’Impero e quindi alla successiva trasformazione della Repubblica italiana in un Regno d’Italia. Fioccarono, puntuali, le onorificenze: nel febbraio 1806 venne insignito del titolo di gran dignitario dell’Ordine della Corona di Ferro, mentre nel mese di marzo – lasciata la guida del dicastero – divenne il primo capitano della Guardia d’onore di Napoleone I imperatore.
Tornato all’esercizio delle armi, nell’agosto del 1807 partecipò alla campagna di Pomerania e guidò il contingente italiano all’assedio di Stralsund, per poi spostarsi nell’agosto del 1808 in Spagna, dove la sua divisione, con ripetuti successi sugli insorti, favorì la presa di Gerona. Sul finire del 1809, Pino – che era stato appena fatto conte del Regno – si portò quindi a Parigi, dove ottenne il pari titolo imperiale e venne elevato a grand’ufficiale della Legion d’onore. Restituitosi a Milano, partecipò nel 1812 alla campagna di Russia, dove fu posto agli ordini del viceré d’Italia, Eugenio di Beauharnais: in occasione della ritirata i suoi uomini vennero però quasi interamente annientati nella battaglia di Maloyaroslavets (ottobre 1812) e quell’episodio rovinò i rapporti tra i due. L’anno successivo, Eugenio non fu poi soddisfatto della condotta di Pino, il cui esercito, posto vicino a Lubiana a difesa delle Province Illiriche, si ritirò senza quasi dar battaglia ed espose il Regno d’Italia alla minaccia dell’invasione asburgica. Il generale venne così poco o nulla impiegato nella campagna della primavera 1814 a difesa del Regno d’Italia e circolò la voce che avesse un’intesa col re di Napoli Gioacchino Murat, le cui truppe risalivano la penisola per congiungersi a quelle austriache e allontanare tutti i francesi in nome dell’indipendenza d’Italia.
La testimonianza di Gabriele Pepe, presente all’incontro tra Pino e il generale napoletano Carlo Filangieri, conferma che i sospetti erano fondati: per questo motivo quando a Milano, il 20 aprile 1814, scoppiò un’insurrezione per impedire a Eugenio la successione al trono, il generale non fece molto per impedire il linciaggio del ministro delle Finanze Giuseppe Prina e lasciò che la folla sancisse la fine politica di Beauharnais. Pino scrisse pure un opuscolo per respingere sdegnato le accuse, ma non mancò di compromettersi con i ribelli: accettò il comando della truppa milanese offertogli dalla municipalità provvisoria, sperò per qualche giorno ancora nell’arrivo di Murat, che invece prese mesto la via del ritorno, ma non si decise a combattere gli austriaci quando alcuni ufficiali italiani, traditi dagli accordi di Beauharnais con Vienna, gli chiesero di guidare la resistenza in armi al loro ingresso in città. Dopo un breve periodo di collaborazione con gli occupanti, Pino rifiutò però il grado di feldmaresciallo offertogli dagli austriaci e preferì ritirarsi a vita privata.
Negli anni successivi non mancarono le voci che lo volevano da un lato informatore segreto del governo di Vienna e dall’altro zelante promotore di progetti cospirativi in favore della causa italiana. Di certo, ancora in occasione delle rivoluzioni costituzionali del 1820-21 a Napoli e a Torino, il suo nome tornò all’attenzione della polizia austriaca, ma sembra si trattasse di sospetti infondati: l’uomo si era rinchiuso nel volontario esilio della villa di Cernobbio, dove riceveva volentieri solo la visita dei suoi antichi soldati e dove, nel ricordo delle gesta di un tempo, morì il 29 marzo 1826.
Opere. Osservazioni del generale Pino sopra alcune asserzioni dell’autore dell’opuscolo, che ha per titolo: Su la rivoluzione di Milano, seguita il 20 aprile 1814, Italia 1815.
Fonti e Bibl.: Le carte inedite più importanti di Domenico Pino sono conservate all’Archivio di Stato di Milano, Ministero della guerra, filza 1754, mentre quelle inerenti la sua attività di ministro sono nei Beauharnais Papers conservati presso la Princeton University Library, Subseries 2A, Pino, 1804-1806.
Per ricostruire la sua vicenda d’assieme si veda S. Pellini, Il general P. e la morte del ministro Prina, Novara 1905, nonché, molto più di recente, A. Arisi Rota, D. P. Il mestiere delle armi e le insidie della pace, in Clio, XLII (2006), pp. 13-38. Tra le opere che possono venir utili per ricostruire alcuni momenti della sua biografia, si veda C. Vacani, Storia delle campagne e degli assedj degli Italiani in Ispagna dal MDCCCVIII al MDCCCXIII, II, Milano 1823, pp. 243-254, 264-277; G. Lombroso, Galleria militare. Vite dei marescialli generali ed ammiragli francesi, italiani, inglesi, polacchi tedeschi, russi, prussiani e spagnoli che hanno comandato in capo gli eserciti e le flotte dal 1794 al 1815, II, Milano 1841, pp. 386, 392, 522, 526, 529, 842; A. Zanoli, Sulla milizia cisalpino-italiana. Cenni storico-statistici dal 1796 al 1814, II, Milano 1845, pp. 51-80; D. Spadoni, Milano e la congiura militare del 1814 per l’indipendenza italiana, Modena 1936, ad ind.; R.J. Rath, The fall of the napoleonic kingdom of Italy, 1814, New York 1941, ad ind.; Id., The provisional Austrian regime in Lombardy-Venetia, 1814-1815, Austin 1969, ad ind.; F. Della Peruta, Esercito e società nell’Italia napoleonica, Milano 1996, ad ind.; E. Pigni, La Guardia di Napoleone re d’Italia, Milano 2001, ad ind.; S. Levati, Politica, affarismo ed esercito: la lotta per il potere nel Ministero della guerra durante la Seconda repubblica Cisalpina e la repubblica italiana (giugno 1800-maggio 1805), in L’affaire Ceroni. Ordine militare e cospirazione politica nella Milano di Bonaparte, a cura di S. Levati, Milano 2005, pp. 65-96; Gli italiani in Spagna nella guerra napoleonica (1807-1813). I fatti, i testimoni, l’eredità, a cura di V. Scotti Douglas, Alessandria 2006, ad indicem.