MODUGNO, Domenico
– Nacque a Polignano a Mare (Bari), il 9 genn. 1928, da Vito Cosimo e Pasqua Lo Russo.
Il padre aveva trovato un lavoro stabile solo in età matura, divenendo capoguardia municipale di San Pietro Vernotico, paese del Brindisino dove si era trasferito con la famiglia nel 1932. Fu lui a trasmettere al M. i primi rudimenti musicali, la passione per la chitarra e, quando aveva dodici anni, a regalargli una fisarmonica.
Quella delle sottaciute origini pugliesi del M., che a lungo preferì farsi credere «siciliano» per meglio divulgare la sua immagine, fu una vexata quaestio destinata ad accompagnarlo nel corso degli anni. Sicché, alle rimostranze, talvolta anche accese, dei conterranei, il M. giustappose di fatto una «meridionalità» come categoria dello spirito, senza distinzioni, se – come diplomaticamente affermò più volte – si considerava pugliese di nascita, siciliano d'amore e napoletano d'adozione.
D'indole irrequieta, impulsiva, vulcanica, il giovane M. studiò svogliatamente da ragioniere in una scuola di Brindisi e, già compreso nel sogno di diventare attore, cominciò a comporre le prime canzoni in un vernacolo salentino non dissimile dal siciliano.
Due brevi e ingenui tentativi di fuga (a Torino, e quindi a Roma) molto rivelano dell'intraprendenza – di cui certo non difettava – e della voglia di arrivare del M.; col biennio 1948-49, in cui prestò servizio militare, si chiuse la stagione dell'adolescenza: destinato a Bologna, impiegato nell'orchestrina del circolo ufficiali, il M. poté affinare la conoscenza della musica e ampliare il suo repertorio con piccoli classici di genere allora in voga. Per lungo tempo la priorità del M. fu quella di diventare attore, e così cantare nei locali, come poi a Roma presso il Circolo degli artisti in via Margutta, ove si esibiva in cambio di un pasto, era destinato a rimanere un espediente per sbarcare il lunario.
Decisivo, nella storia e per la carriera del M., si rivelò un secondo viaggio a Roma nel '50, sempre con grandi speranze e pochissimi quattrini. Fu grazie all'interessamento dello zio Peppino Modugno, amministratore del quotidiano capitolino Il Tempo, che riuscì a ottenere un'audizione, presso il Centro sperimentale di cinematografia, con L. Zampa. Ammesso con borsa di studio (si diplomò nel 1952), fra i compagni di corso conobbe Giulia Lazzarini (al cui fianco avrebbe poi recitato nell'Opera da tre soldi di B. Brecht, diretta da G. Strehler, 1973), Franca Gandolfi (Franca Guarnacci), sua futura moglie e, fra gli allievi del corso di regia, un giovane Riccardo Pazzaglia, cui restò sempre legato da profonda amicizia.
Furono proprio gli amici a spingere il M. a presentarsi a una trasmissione radiofonica per scoprire nuovi talenti – Trampolino di lancio – dove venne apprezzato per l’esecuzione in versione da lui rivista di una Ninna nanna in dialetto sampetrano. L'esibizione fece sì che poco dopo, il 20 maggio 1953, il M. fosse chiamato a ricantarla, in margine alla partecipazione di Frank Sinatra presso la sede RAI di via Asiago durante la trasmissione radiofonica Radio Club. Il divo statunitense, di origini siciliane, rimase colpito al punto da richiederne lo spartito.
Fu F. Palmieri – direttore dei programmi RAI – a suggerire al M. di sfruttare la sua vena schietta e popolare e, soprattutto, a farsi credere siciliano per meglio veicolare la sua immagine all'estero, oltre che in Italia. Persuaso delle potenzialità del M., gli propose di scrivere una trasmissione radiofonica, che presto divenne banco di prova per l'autore di canzoni, tanto da fare del M., oltre che il «cantattore», il primo «cantautore» italiano a tutti gli effetti, sia in chiave folk, nella capacità, cioè, di resuscitare il «maraviglioso» di un Meridione astorico e mitico, magico e lussureggiante, sia nel percepire il polso della società contemporanea.
Per la trasmissione, intitolata Amuri amuri (1953), sospesa fra racconto e musica, cantato e parlato – e realizzata con estrema povertà di mezzi, cui dovettero rispondere inventiva e improvvisazione – il M. decise di farsi aiutare da Franca Gandolfi: le poche puntate previste divennero in breve una quarantina.
Pian piano il cantante cominciò a mettere in ombra l'attore: l'amore per la recitazione nutriva comunque l'interprete e l'uomo di palcoscenico e, sulla metà degli anni Cinquanta, il M. poteva vantare ormai una dozzina fra comparse e partecipazioni a film, di genere diverso e diverso spessore: da I pompieri di Viggiù (M. Mattoli, 1949) a Filumena Marturano (E. De Filippo, 1951); da Carica eroica (F. De Robertis, 1953) in cui interpreta un soldato che canta la Ninna nanna che gli aveva donato celebrità, a I cavalieri della regina (M. Bolognini, 1954), e via enumerando.
È proprio alla fine del 1954 che il M. conobbe Walter Chiari (Walter Annichiarico), altro pugliese d'eccezione che, impegnato nel tentativo consapevole di scardinare dall'interno la struttura del teatro leggero tradizionale, decise di affidare al M. i siparietti della rivista Controcorrente, «quei numeri che si fanno a sipario chiuso per intrattenere il pubblico mentre si cambiano le scene» (Governi - Settimelli, p. 109), cui venne affiancata anche Franca.
Il teatro dei gobbi (dei «diversi», cioè) riscosse successo crescente e, nonostante certa freddezza della critica, il M. – sempre più bollato da un marchio di siciliana «isolitudine» dello chansonnier – venne apprezzato per originalità e per la capacità di procedere fuori dagli schemi.
Insieme con Pazzaglia decise, al principio del 1955, di recarsi a Parigi, e il M. venne immediatamente scritturato per la radio locale. Si dovette sempre al suggerimento dell'amico se il M., sull'esempio delle soluzioni creativo-innovative ch’erano state già di R. Carosone, allargò il suo repertorio con un occhio alla tradizione partenopea.
Prima di passare alla Fonit Cetra nel 1956, il M. cominciò a incidere per la RCA nel 1954, anno in cui sulle due facciate del vinile d’esordio bene si coniugarono le diverse anime del cantante: da un lato Lu pisci spada – che compendiava con affabulazione originale e umanizzata (la storia è quella di un pescespada che va incontro alla morte dopo che la sua compagna è stata catturata) le suggestioni mimetico-realistiche provenienti dalle grida della tradizionale «mattanza» siciliana –; mentre dall’altro, su un versante leggero e più prossimo all’ironia, La donna riccia, in cui il M. iniziò a sperimentare il «parlato», che rimase poi fra i tratti distintivi e peculiari della sua musica.
A queste devono essere affiancate Io, mammeta e tu (1955), scritta con Pazzaglia (e portata sullo schermo con la partecipazione dello stesso M., nel 1958, da C.L. Bragaglia con un cast che poteva vantare i nomi di R. Salvatori e M. Carotenuto, Tina Pica e Marisa Merlini); sul versante napoletano Strada 'nfosa (1957) e, sempre con Pazzaglia, si ricordino almeno gli esiti a dir poco felici di Sole, sole, sole (1956), Nisciuno po’ sapé (1957) e ‘O ccafè (1958), ma la collaborazione proseguì ben oltre, fino a Meraviglioso (1968) e al Viaggio alla luna (per la riscrittura del Cyrano teatrale del 1979).
Oltre al versante di più largo consumo (Io, Mogli pericolose, Mariti in città, Marinai, donne e guai e Pasqualino marajà datano tutte al 1958) – che tuttavia, per ispirazione e doti interpretative finisce per agire da un punto di vista interno, tipologico, sul canone della canzone italiana –, il M., nel 1955, licenziò quello che da molti è considerato il suo capolavoro: Vecchio frack. Di là dalle possibili suggestioni che originarono la canzone (il suicidio del nobile Raimondo Lanza di Trabia e un cortometraggio, opera di Pazzaglia, sui netturbini romani: Zoppa, pp. 47 s.) e dalla celebre citazione presente nel Sorpasso di D. Risi (1962, «e poi quest’uomo in frac me fa impazzire. C’è tutta la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa che va de moda oggi… l’alienazione»: cfr. M. Mafai, Il sorpasso. Gli straordinari anni del miracolo economico 1958-1963, Milano 1997, p. 76), il testo sembra contenere in nuce la solarità che sarà poi di Nel blu, dipinto di blu (nota come Volare), scorta però un’ottava più in basso e mutata di segno: in quel saper cogliere pochi oggetti nel mistero precario che li avvolge, e al tempo stesso congedarsi dagli echi superstiti, aristocratici e «dannunzianeggianti», e dalle ultime propaggini di un’Italia entre deux guerres, ormai sempre più sospinta con decisione verso il boom e la moderna società di massa.
Dopo essersi recato in Canada per una tournée, sul genere pensato per le comunità di emigranti, il 26 giugno 1955 il M. si unì in matrimonio con Franca Gandolfi (con rito civile, seguito tre anni più tardi da quello religioso). I giovani sposi risiedettero nella zona di Ponte Milvio e, dalla loro unione, nacquero tre figli: Marco, Marcello e Massimo. Dopo il matrimonio il M. ritornò a Parigi con Franca, dove si fermò per qualche mese, avendo modo di far tradurre alcune canzoni in francese, fra cui Vecchio frack.
Musetto (1956), dedicata a Franca, fu la prima canzone che fece varcare al M. la porta del Festival di Sanremo come autore (giunse in finale quello stesso anno cantata da G. Mazzocchi), e che gli valse il riconoscimento di M. Mila: «ho l'impressione che non ci si sia resi ben conto del fenomeno di questo chitarrista siciliano che, ignaro delle note, improvvisa le sue canzoni nel canto, riportando la creazione musicale alla verginità dei tempi omerici, quando non c'era distacco tra la composizione e l'esecuzione. […] Rossini dà il braccio a Duke Ellington, e tutta questa baraonda è fusa come una lava nel fuoco di un contatto schietto con la realtà» (p. 503).
Nel frattempo, fra le comparse cinematografiche della Safe Palatino, al Celio, aveva conosciuto Franco Migliacci. Fu dal connubio tra i due che, nell’estate-autunno del 1957, presero forma testo e musica di Nel blu, dipinto di blu, canzone destinata a far epoca e a scavare un solco nella storia della musica leggera italiana.
L’occasione da cui nacque l’idea è nota: Migliacci, rifugiatosi in una trattoria, rimase colpito da alcune riproduzioni di M. Chagall che ornavano le pareti. Dopo un alacre lavoro da parte dei due autori, nel dicembre 1957, Nel blu, dipinto di blu – vera scommessa contro i puristi del genere sentimentale – fu ammessa alla selezione per l’VIII Festival della canzone italiana di Sanremo. Anticonvenzionali furono testo e musica, nonché la copertina dello spartito, anch’essa piuttosto inusuale per i tempi, disegnata da un giovane Guido Crepax, lontano ancora dalla notorietà, e la scelta della seconda voce (all'epoca le canzoni dovevano essere eseguite da due voci e due orchestre diverse) per cui – fuori dal novero dei nomi allora più celebri e gettonati – le preferenze del M. si orientarono su Johnny Dorelli (Giorgio Guidi).
Il M. si considerava, con Migliacci, semplicemente autore della canzone, ma non trovò alcun cantante disposto a interpretarla e pertanto, non senza emozione e tentennamenti, si vide costretto a salire sul palco. Con 63 voti, contro L’Edera della «regina» Nilla Pizzi (che ne ottenne 41), la sera del 1° febbr. 1958, in eurovisione, il M. venne proclamato vincitore. Fu la consacrazione di un successo che divenne presto contagioso e inimmaginabile per l’«Italietta» reduce dal bianco e nero del neorealismo: «La luce emessa dalla televisione conferisce una nuance diversa e inattesa al colore serale della vita nelle città e nei paesi. Promette qualcosa: e quel qualcosa potrà essere il volo di Domenico Modugno al Festival di Sanremo nel 1958, lo spalancarsi entusiasta delle braccia nel ritornello […] mentre il pubblico impazzito ride, piange e agita i fazzoletti per l’entusiasmo» (Berselli, 2007, pp. 15 s.).
Il M., successivamente, si impose a Sanremo altre tre volte (rispettivamente nel 1959 con Piove [«Ciao, ciao, bambina…»] di Verde – M., sempre con Dorelli; nel 1962 con Addio addio di Migliacci – M., con C. Villa, e infine nel 1966 con Dio, come ti amo, con Gigliola Cinquetti); tuttavia fu la vittoria del ’58 a farne uno fra gli Italiani più conosciuti e celebrati di sempre.
Nel blu, dipinto di blu vendette qualcosa come 22 milioni di esemplari nei primi 12 mesi, e praticamente altrettanto nei cinquant'anni successivi (negli Stati Uniti furono acquistate anche 60.000 copie al giorno). Che Volare segni «per l'Italia l'entrata nell'era moderna della musica leggera è fuori discussione» (Antonelli, p. 16); interpretata da innumerevoli voci, italiane e straniere – spiccano fra tutte una ispirata Ella Fitzgerald, Louis Armstrong e persino David Bowie – divenne in breve compendio di un'epoca e idioletto della speranza: cifra di un Paese in piena rinascita che si proietta in avanti, con la guerra alle spalle. La calda accoglienza ricevuta dal M. negli Stati Uniti e il successo planetario divennero insomma metafora di una trasvolata possibile, e sino allora impensabile: come a Ch. Lindbergh prima di lui (e a pochissimi altri), al culmine della sua fama, gli vennero consegnate le chiavi della città di Washington.
Col successo arrivarono anche i guadagni e il M. divenne improvvisamente benestante: «ricco» nell'accezione particolare che l'aggettivo poteva assumere per una personalità eccessiva e generosa come la sua, di voler farne partecipi anche gli altri – familiari, intimi, amici – che gli furono vicini. Alla villa sull'Appia, dove aveva spostato la sua residenza, si affiancarono quelle di Ansedonia e di Lampedusa, sulla baia prospiciente l'Isola dei conigli.
Tuttavia fu al di fuori del mondo della canzone che trovò nuovi stimoli e opportunità. Per il centenario dell'Unità d'Italia – dopo aver rinunciato a mettere in scena la storia del bandito Giuliano – il M., con Rinaldo in campo, si trovò a realizzare quella che considerò «la cosa più importante» fatta nella sua vita.
Scritto da Garinei e Giovannini, lo spettacolo esordì al teatro Alfieri di Torino il 12 sett. 1961, con un anno di ritardo a causa di un infortunio occorso al M. durante le prove. La storia è quella di un ladro gentiluomo che, per amor di una donna (l'Angelica magistralmente interpretata da Delia Scala) «da brigante diventa patriota e da rubacuori marito fedele» (Zoppa, p. 121). Arricchito dai brani musicali composti dallo stesso M. in dialetto siciliano, e dalle orchestrazioni da lui prescelte, il Rinaldo in campo costituì non solo uno straordinario successo, ma determinò il superamento della rivista tradizionale in favore di un genere, come la più moderna commedia musicale, capace di coniugare e alternare spunti narrativi e canori.
Sempre nel 1961, dopo aver partecipato nel ruolo di se stesso al Giudizio universale, la celeberrima pellicola diretta da V. De Sica, il M., nell'estate, si recò in Sudamerica per una tournée di due mesi. Al 1962 risale un «altro classico della disperazione esistenziale» (Luzzatto Fegiz), la canzone Stasera pago io, storia di un innamorato deluso che si rifugia nel bere.
E fra gli omaggi tributati al M. corre l'obbligo di rammentare quello di Fiorello (Rosario Tindaro Fiorello) che interpretò Meraviglioso indossando la giacca con la quale il M. aveva trionfato a Sanremo nel 1959, nel fortunato varietà andato in onda su RAI 1 con lo stesso titolo (Stasera pago io… Revolution, primavera del 2004).
Nel 1963, al fianco di Liana Orfei e G. Durano tornò a calcare il palcoscenico nel Tommaso d'Amalfi di E. De Filippo; l'anno seguente trionfò al Festival della canzone di Napoli con Tu si' 'na cosa grande (Gigli - M.), dov'era giunto secondo già nel '57 con Lazzarella (Pazzaglia - M.). Dopo una tournée in Russia (sempre nel 1964), nel '65 vestì, con grande successo, il mantello del celebre spadaccino nel teleromanzo musicale Scaramouche (6 puntate, con musiche di S. Corbucci - G. Grimaldi, per la regia di D. D'Anza), e scrisse la musica dei titoli di coda di Uccellacci e Uccellini di P.P. Pasolini, per cui recitò, poco più tardi, nell'episodio Che cosa sono le nuvole? contenuto nel film corale Capriccio all'italiana (1967).
Dopo aver trionfato nel 1966 per la quarta e ultima volta a Sanremo con Dio, come ti amo – una vittoria che, tuttavia, gli alienò parte del suo pubblico, per l'impostazione scopertamente tradizionalista della canzone – all'indomani del suicidio di L. Tenco al Festival del 1967, si ripresentò nel 1968 con la bellissima Meraviglioso, che venne però scartata nelle selezioni, prima di ritornare in cima alle classifiche con La lontananza (1970), scritta con Enrica Bonaccorti.
Il nuovo decennio, se pur con esiti contrastanti o addirittura «contraddittori» (Zoppa, p. 131), fu caratterizzato dall'inesauribile desiderio di mettersi in gioco del M.: sono gli anni delle brillanti interpretazioni di Makie Messer nell'Opera da tre soldi di Brecht e del Cyrano – riscritto dall'amico Pazzaglia – con la regia di D. D'Anza (1979), ma anche di una canzone come L'anniversario (1974), composta in manifesto appoggio per il referendum sul divorzio («noi non giuriamo niente / perché non c'è bisogno / con un contratto non si lega un sogno»), di cui versò i diritti d'autore ottenuti per contribuire alla causa. Ma furono anche gli anni del «filone lacrimoso», di cui Piange il telefono (trad. it. da Bourtayre - François, 1974) e Il maestro di violino (M. - Caruso, 1975) restano, nel bene o nel male, gli esiti più rappresentativi.
Malgrado la figura del M. fosse ormai più che consolidata nel panorama artistico italiano, varcata la boa dei cinquant'anni affiorarono gli inevitabili bilanci, fra un rivolgersi al passato e l'interrogarsi sul futuro. La decisione di ritirarsi, a prove iniziate, dalla nuova intrapresa di Garinei e Giovannini (la commedia musicale in due atti Alleluja brava gente, 1970) – forse per il timore «che il copione avrebbe potuto tenerlo in un ruolo secondario rispetto a Renato Rascel» (Governi - Settimelli, p. 186) – divenne trampolino di lancio per il suo sostituto, «un giovane ma promettente sconosciuto di nome Gigi Proietti» (ibid.).
La carriera dell'attore teatrale si chiuse nel 1981, con Alida Valli, nell'Uomo che incontrò se stesso (in cui recitò anche il figlio Marcello; testo di L. Antonelli, regia di E. Fenoglio), che venne a suggellare, insieme con la prosa, la parabola umana. Sfiduciato, ma ancora con il desiderio di mettersi in gioco senza risparmiarsi, il M. accettò la proposta di S. Berlusconi di condurre La luna nel pozzo (1984), una trasmissione televisiva popolare per le neonate reti Fininvest.
In un ruolo non suo – appesantito dallo stress, dalle troppe sigarette e costretto alle sedute settimanali di registrazione e di montaggio presso gli studi di Cologno Monzese – la sera del 12 giugno 1984, pur colto da grave malore, il M. volle ugualmente terminare le prove della puntata, prima di rientrare in albergo. Ricoverato al San Raffaele di Milano nelle prime ore del mattino seguente, fu poi trasferito al Niguarda per un ictus: ma solo un intervento tempestivo avrebbe forse potuto limitare i danni. Costretto a una parziale immobilità, dall'esperienza della malattia nacque allora nell'umanissimo M. la voglia di far confluire la consapevolezza acquisita in una forma di impegno costante e non occasionale in favore dei diritti dei malati e dei detenuti.
Iscrittosi al Partito radicale (PR), nel 1986 ne divenne presidente insieme con M. Pannella e B. Zevi; il 15 giugno del 1987 fu eletto deputato nella X Legislatura per la circoscrizione Torino-Novara-Vercelli, con 7907 preferenze. Dimessosi nell'aprile 1990, approdò al Senato in sostituzione del dimissionario G. Spadaccia.
Il 3 marzo 1989 si esibì al Palasport Nicosia di Agrigento in un Concerto per non dimenticare in favore dei ricoverati dell'ospedale psichiatrico della città, dopo aver denunciato le gravi carenze della struttura e le penose condizioni in cui versavano i pazienti.
Nel 1990 venne eletto consigliere comunale di Agrigento, mentre cominciò a prendere forma il progetto di un nuovo possibile tour. Inauguratasi in Roma il 25 sett. 1991, dopo una serie di tappe fra Sud e Nordamerica, la tournée si concluse alla Carnegie Hall di New York. Colto, tuttavia, da un'ischemia durante il volo di ritorno, il M. venne ricoverato d'urgenza a Parigi, dove fu tenuto in osservazione per qualche giorno. Non domo, con l'entusiasmo di sempre, tornato in Italia, non rinunciò a partecipare alla battaglia contro le reti di Berlusconi per i diritti d'autore elusi. L'ultima incisione (Delfini - Sai che c'è, di Migliacci - Lopez) risale al 1993: una sorta di testamento, interpretata con il figlio Massimo.
Il M. morì nella sua villa di Lampedusa il 6 ag. 1994.
Fonti e Bibl.: Fra gli innumerevoli necrologi, si ricordi almeno quello apparso in Corriere della sera, 7 ag. 1994 (M. Luzzatto Fegiz), nonché il ricordo di E. Siciliano, Cronache dall'Italia che volava sul serio, in La Repubblica, 8 ag. 1994. M. Mila, Le canzoni di Sanremo e quelle di M., in Id., Cronache musicali 1955-1959, Torino 1959, pp. 502-505; G. Borgna, La grande evasione. Storia del Festival di Sanremo…, Roma 1980, pp. 182-185; V. Mollica, D. M., Roma 1981; G. Borgna, Storia della canzone italiana, Milano 1992, ad ind.; A. Selvaggi, Modugno. Una biografia non autorizzata, Roma 1993; G. Governi - L. Settimelli, Mister Volare: il romanzo di D. M., Roma 1995; M. Ternavasio, La leggenda di mister Volare: vita di D. M., Milano 2004; E. Berselli, Canzoni. Storie dell’Italia leggera, nuova ed., Bologna 2007, pp. 15, 47; C.A. Marangio, D. M.: San Pietro Vernotico un paese troppo «stretto», Campi Salentina 2007; C. Minervini, Volere e volare. D. M. cantante, poeta, rivoluzionario (con due interviste a R. Arbore e F. Gandolfi), Roma 2008; M.G. Ranaldi, D. M.: l'uomo in frack, Roma 2008; M.C. Zoppa, Nel blu, dipinto di blu. M. 1958: «Volare» e il sogno possibile, Roma 2008; 50 anni cantando «Volare», in La Repubblica, 3 febbr. 2008 (con articoli di G. Castaldo, E. Berselli, E. Morricone); G. Antonelli, Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato (1958-2007), Bologna 2010, ad ind.; Enc. dello spettacolo, VII, col. 677; Il Diz. della canzone italiana. Le canzoni, a cura di G. Castaldo, Milano 1990, ad voces; Per discografia, filmografia, attività teatrale e altre notizie, si rimanda al sito ufficiale del Modugno: www.domenicomodugno.it.