MARANGO, Domenico
Nato probabilmente intorno al secondo decennio del secolo XI, il M. appartenne a una famiglia poco conosciuta nel panorama prosopografico veneziano. Secondo l'Origo civitatum Italie (p. 126) nacque nell'isola lagunare di Malamocco ed era figlio di Giovanni. Nulla è noto della sua formazione, che pure, alla luce del ruolo politico e religioso da lui svolto, dovette essere tutt'altro che provinciale.
Le prime notizie che lo riguardano lo vedono già patriarca di Grado, ma non è nota la data in cui assunse l'incarico. Il suo patriarcato succedette a quello brevissimo (sette giorni, secondo l'Origo, p. 126) di Domenico "Bulçanus", a sua volta successore di Orso. L'ultima notizia relativa a Orso risale al febbraio del 1045 (Arch. di Stato di Venezia, Mensa patriarcale, b. 19: h3, h4); la prima riguardante il M. si colloca nel 1050. La sottoscrizione del M. compare infatti, in prima posizione, nell'atto di santificazione di Gerardo vescovo di Toul, compiutasi in un sinodo tenuto a Roma tra il 29 aprile e il 2 maggio 1050 (Vita s. Gerardi). Il 5 maggio papa Leone IX concesse al M. l'uso del pallio, ovvero gli riconobbe la dignità metropolitica (Arch. di Stato di Venezia, Mensa patriarcale, b. 3, n. 1).
Tutta la prima parte del patriarcato del M. è segnata da un'assidua collaborazione con la Sede romana. Come risulta dagli Annales Beneventani, nel 1051, insieme con il cardinale Umberto di Silva Candida, fu legato papale a Benevento, dove ricevette il giuramento di fedeltà della cittadinanza al papa. Nell'aprile di quell'anno ritornò a Roma, dove forse partecipò al sinodo pasquale. Nell'inverno tra il 1052 e il 1053 il M., ancora accanto a Leone IX, assistette a Ratisbona alla translatio delle spoglie di s. Volfango e presumibilmente affiancò il pontefice nel sinodo di Mantova del febbraio 1053. In via ipotetica (in particolare, Kehr, 1927, p. 100; Id., 1925, p. 19) si è pensato che in questa circostanza il M. abbia accompagnato Leone IX in visita a Venezia, che già costituiva il vero fulcro del patriarcato di Grado pur non ospitandone ancora la sede vera e propria, come proverebbero i privilegi pontifici a favore del vescovo di Olivolo, la sede episcopale lagunare destinata a divenire la diocesi di Castello, e del monastero di S. Michele Arcangelo di Brondolo, presso Chioggia, privilegi risalenti entrambi al marzo del 1053 (Ughelli - Coleti, coll. 1217s.). Pur con qualche cautela cronologica (Bianchi, p. 33), si può dare inoltre notizia della partecipazione del M., nello stesso mese di marzo, con il doge Domenico Contarini e il vescovo olivolense, alla fondazione del cenobio benedettino di S. Nicolò del Lido (cfr. Ughelli - Coleti, coll. 1216, 1219).
Al culmine di questa serrata successione di impegni si colloca, nell'aprile del 1053, la partecipazione al sinodo Lateranense nel corso della quale il M. ottenne per la sua sede la definizione di "Nova Aquileia totius Venetiae et Istriae caput et metropolis". Si trattava di una promozione che segnava un punto importante a favore della diocesi di Grado nella secolare contesa con Aquileia per il monopolio del titolo patriarcale; il titolare aquileiese veniva infatti contestualmente declassato al ruolo di "Foroiuliensis antistes", cioè semplicemente "vescovo del Friuli".
Il riconoscimento pontificio solleva interessanti quesiti in merito alla questione della collocazione del M. rispetto alle linee politiche perseguite dal Ducato veneziano. La città appariva già proiettata verso l'acquisizione di una posizione di egemonia nel quadrante adriatico, ma doveva confrontarsi con una congiuntura politica internazionale particolarmente complessa. La penetrazione normanna nel Mediterraneo, infatti, aveva sconvolto i fragili equilibri di potere nell'Italia meridionale, soprattutto a danno di Bisanzio e dei possessi della Curia romana. Tale presenza rappresentava una minaccia anche per i traffici veneziani nel basso Adriatico e nell'Egeo. L'imperatore Enrico III di Franconia, per parte sua, era militarmente interessato soprattutto alla stabilizzazione della Germania meridionale e dell'area balcanica, dove gli obiettivi imperiali e veneziani convergevano nel contenimento delle identità politiche croate e ungheresi, allora in via di formazione. Nel contempo la Chiesa romana maturava il suo distacco da quella bizantina e andava elaborando quella concezione della libertas che l'avrebbe condotta anche all'emancipazione dalla tutela del potere regio. Alla luce della situazione appena definita, l'atteggiamento filopapale del M., in particolare durante la stagione che sfociò nel sinodo del 1053, è apparso a taluni divergente rispetto agli interessi del Ducato. La protezione dei propri traffici nell'Adriatico e nel Mediterraneo, infatti, avrebbe indotto Venezia a una "politica di equilibrio nei rapporti con i due Imperi" (Violante, p. 309), di modo che, nel caso specifico, non sarebbe parso opportuno alla classe dirigente lagunare inimicarsi il sovrano tedesco assecondando nella contesa tra Grado e Aquileia il declassamento della seconda, che costituiva una testa di ponte dell'Impero sul suolo italico. Il Dogato, inoltre, avrebbe perseguito scientemente una politica di compressione delle facoltà di governo autonomo della Chiesa gradense; più recentemente, però, queste prospettive sono state negate soprattutto con il ricondurre il riconoscimento pontificio a favore di Grado del 1053 a un piano "meramente ideologico" (Rando, 1994, p. 79), dal quale sarebbero derivate ricadute esclusivamente onorifiche per non creare imbarazzi politici a Venezia. Va detto, per altro verso, che una visione dei conflitti politici e religiosi dei decenni centrali dell'XI secolo meno legata a una rigida logica di schieramento consente comunque di individuare nel M. non tanto un inossidabile partigiano pontificio, quanto un mediatore, a cui la Curia romana si affidava e che, come in occasione del confronto in corso con la Chiesa d'Oriente, riteneva di dover privilegiare la trattativa allo scontro.
Alla collaborazione tra la Curia pontificia e il M. va ascritta un'altra iniziativa che, sempre nel 1053, lo vide protagonista. In quell'anno, infatti, presumibilmente dopo la primavera, il M., legittimato dall'autorità appena riconosciutagli, scrisse a Pietro (III), patriarca di Antiochia, una celebre lettera che aveva lo scopo di procurare alla Chiesa di Roma un alleato a Oriente nella disputa con Bisanzio, destinata a sfociare di lì a poco in insanabile frattura.
La lettera è scritta in greco e non si esclude che fosse stata dettata direttamente in quella lingua dal Marango. Non sembra strano, infatti, che il M. conoscesse il greco data la predilezione che la Curia romana aveva manifestato nei suoi confronti nell'affidargli incarichi di mediazione con il mondo bizantino e la Chiesa d'Oriente.
La posizione di primo piano del M. nel novero delle dignità ecclesiastiche italiche è testimoniata negli anni seguenti dalla sua partecipazione alla riforma della procedura di elezione del pontefice codificata nel "Decretum in electione papae", promulgato da Niccolò II nel 1059 e recante la sottoscrizione del M. in seconda posizione, dopo quella dell'arcivescovo milanese, Guido da Velate; contestualmente il M. partecipò anche alle sedute sinodali dedicate alla vita comune del clero, nel cui documento finale compare al primo posto tra i presenti, in questo caso prima dell'arcivescovo milanese (cfr. Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, I, pp. 538 n. 382, nota 1, 545 n. 383).
Secondo una lettera-opuscolo di Pier Damiani indirizzata a Costantino (III) Licoudes, il patriarca di Costantinopoli che successe a Michele Cerulario, tra il 1061 e il 1063 il M. fu coinvolto come mediatore nei tentativi di risoluzione del problema del Filioque, ovvero della "processione dello Spirito Santo", avviati tra il patriarca costantinopolitano e papa Alessandro II. E certo il M. non doveva aver demeritato in questa iniziativa, se Alessandro II nel 1064 gli rinnovò la dignità patriarcale. Il M. fu poi presente nel 1068 al sinodo in cui si ripristinò nella sede ferrarese il legittimo vescovo, Graziano, dopo che l'impostore, Samuele, fu scomunicato.
Rimane da chiarire il rapporto tra il rilievo acquisito dal M. quale fiduciario pontificio e le difficoltà della sede gradense sotto la sua guida, mostrate dai documenti. Infatti, "la sua personalità che ebbe un indubbio rilievo nei circoli riformatori romani, ha lasciato traccia documentaria più nelle questioni diplomatiche che nella vita pastorale della sua provincia ecclesiastica" (Rando, 1994, p. 143). Diverse sono le spie della debolezza del M. all'interno del patriarcato. Nel 1062 Alessandro II fu chiamato a pronunciarsi sull'assegnazione della chiesa di S. Maria, di competenza patriarcale, contesa tra due aspiranti, uno dei quali la rivendicava per diritto ereditario, ovvero secondo la secolare tradizione di gestione privatistica dei beni ecclesiastici, teoricamente avversata dalla riforma (Epistolae pontificum…, p. 40 n. 73). Nel 1065 Alessandro II concesse la titolarità episcopale al centro di Murano, salvo poi ritirarla repentinamente; contestualmente, il M. era stato caldamente invitato a privare del titolo ecclesiastico i chierici suoi suffraganei che non avessero ottemperato all'obbligo della castità (ibid., p. 51 n. 101). Quello che sembra emergere è dunque sia il carattere ancora fluttuante dell'identità metropolitica, sia la difficoltà del patriarca di imporre la propria autorità sul clero veneziano, che non sembra molto coinvolto dalle istanze della riforma.
L'ultima missione del M. di cui si ha notizia riguarda ancora le relazioni con Bisanzio. Nel luglio del 1073 vi fu uno scambio epistolare tra l'imperatore d'Oriente Michele VII Ducas e il papa Gregorio VII, al centro del quale era il superamento della separazione tra le due Chiese (Mon. Germ. Hist., Epistolae selectae, II, 1, p. 29). In quella circostanza, Gregorio VII inviò il M. a Bisanzio per affrontare le dispute teologiche che avrebbero dovuto portare alla composizione della frattura.
La scelta, ancora una volta, riposava sulla condizione speciale del patriarca di Grado: ecclesiasticamente dipendente da Roma, ma primate di fatto di uno spazio, quello lagunare adriatico, che aveva da sempre avuto relazioni privilegiate con l'Impero d'Oriente. Deponeva a favore della scelta del M. anche la sua esperienza in questa materia, come testimoniato dalla mediazione svolta nel 1063.
La testimonianza del luglio 1073 è l'ultima che vede il M. certamente in vita: in una lettera di Gregorio VII al doge Domenico Silvo, datata 31 dic. 1074, nella quale il papa rimprovera al duca veneziano la debolezza del patriarcato e la sua miseria, il M. è qualificato come "Dominicus patriarcha beatae memoriae" (Epistolae selectae, II, 1, p. 175). La lettera segue di pochi mesi un provvedimento dello stesso Domenico Silvo con il quale egli riconosceva alla Chiesa di Grado una serie di rendite di pertinenza ducale (cfr. S. Giorgio Maggiore, Documenti): non è però dato sapere se il "Dominicus" nominato in questo ultimo documento sia il M. o il suo successore, Domenico di Giovanni Cerbani. È possibile che questo privilegio ducale fosse stato rilasciato in corrispondenza con l'intronizzazione del patriarca D. Cerbani. Il M. doveva dunque essere morto da poco, e cioè tra il luglio 1073, data della sua legazione in Grecia, e il settembre (o al massimo il dicembre) del 1074.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Mensa patriarcale, bb. 3, n. 1; 17 A, n. 1; 19: h 3 e 4; A. Dandolo, Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XII, 1, pp. 212, 214; Annales Beneventani, a cura di G.H Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 179; Widricus, Vita s. Gerardi…, a cura di G.H. Pertz, ibid., IV, ibid. 1841, p. 507; Annales et historiae Altahenses, a cura di Ph. Jaffé, ibid., XVII, ibid. 1861, p. 364; Annales et notae s. Emmerammi Ratisbonenses et Welterburgenses, ibid., p. 572; ibid., Legum sectio IV, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, I, a cura di L. Weiland, ibid. 1893, pp. 538, 545; ibid., Epistolae selectae, II, 1, Das Register Gregors VII., a cura di E. Caspar, Berlin 1920, pp. 29, 175; S. Petri Damiani opuscola varia, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CXLV, col. 633; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 1117, 1216-1219; F. Corner, Ecclesiae Venetae, V, Decas septima et octava, Venetiis 1749, pp. 240-242; Epistolae pontificum Romanorum ineditae, a cura di S. Loewenfeld, Leipzig 1885, pp. 40, 51; P.F. Kehr, Italia pontificia, V, Berolini 1911, p. 210 n. 9; VII, ibid. 1925, pp. 19 s., 55-58, 130; O. Bertolini, Gli Annales Beneventani, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, XLII (1923), p. 137; Origo civitatum Italie seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di R. Cessi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LXXIII, Roma 1933, pp. 45, 126; S. Giorgio Maggiore, II, Documenti 982-1159, a cura di L. Lanfranchi, Venezia 1968, p. 92 n. 31; Cronicon Venetum quod vulgo dicunt Altinate, in Cronache, a cura di G. Fedalto - L.A. Berto, Roma 2003, p. 219; F. Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello, Padova 1768, p. 50; J. Hefele - H. Leclerq, Histoire des conciles d'après les documents originaux, IV, 2, Paris 1911, pp. 1036-1040; P.F. Kehr, Rom und Venedig bis ins XII. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XIX (1927), pp. 96 s., 100; R. Cessi, Venezia e Gregorio VII, in Studi gregoriani per la storia di Gregorio VII e della riforma gregoriana, a cura di G.B. Borino, I, Roma 1947, pp. 493-495; A. Michel, Die Friedenbotschaft Grados an Antiocheia im Schisma des Kerullarios (1053-1054) und ihr Widerhall, ibid., II, ibid. 1947, pp. 167 s.; R. Cessi, "Nova Aquileia", in Le origini del Ducato veneziano, Napoli 1951, pp. 99-148; H. Fuhrmann, Studien zur Geschichte mittelalterlicher Patriarchate, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung fur Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung, XXXIX-XL (1953-54), p. 58; H.G. Krause, Das Papstwahldekret von 1059 und seine Rolle im Investiturstreit, Roma 1960, p. 275; G. Bianchi, Il patriarca di Grado D. M. tra Roma e l'Oriente, in Studi veneziani, VIII (1966), pp. 19-125; P. Lamma, Venezia nel giudizio delle fonti bizantine dal X al XII secolo, in Oriente e Occidente nell'Alto Medioevo. Studi storici sulle due civiltà, Padova 1968, pp. 451-454; C. Violante, Venezia fra Papato e Impero nel secolo XI, in Studi sulla Cristianità medioevale. Società, istituzioni, spiritualità, a cura di P. Zerbi, Milano 1975, pp. 305-312, 316; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Firenze 1981, pp. 113 s.; C. Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel Medioevo. Dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, pp. 25, 31-33; G. Mazzucco, Ordini monastici, mendicanti e predicatori in diocesi di Venezia nel Medioevo, in Patriarcato di Venezia, a cura di S. Tramontin, Venezia-Padova 1991, p. 267; G. Cracco, I testi agiografici: religione e politica nella Venezia del Mille, in Storia di Venezia, I, Origini-età ducale, a cura di L. Cracco Ruggini et al., Roma 1992, pp. 943-946; D. Rando, Le strutture della Chiesa locale, ibid., pp. 649-655; S. Gasparri, Dagli Orseolo al Comune, ibid., pp. 799-801; D. Rando, Una Chiesa di frontiera. Le istituzioni ecclesiastiche veneziane nei secoli VI-XII, Bologna 1994, ad ind.; A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova fra VI e XII secolo, Roma 1997, pp. 158, 163; G. Fedalto, Aquileia. Una Chiesa due patriarcati, Roma 1999, p. 307.