BONAUDO, Domenico Ignazio
Nacque a Torino nel 1678 da Antonio Giuseppe, in una famiglia di nobiltà cinquecentesca che solo con la sua generazione e con l'acquisto del feudo di Monteu da Po ottenne il titolo comitale. La sua formazione fu certamente giuridica, secondo l'iter consueto per i giovani della sua condizione che fossero destinati a inserirsi nei quadri direttivi dello Stato sabaudo. Dopo questo genere di preparazione, seguendo l'esempio paterno, iniziò la carriera nell'ambito delle magistrature preposte all'economia e dal padre ricevette per testamento (4 dic. 1712) la carica di "consigliere senatore e avvocato patrimoniale fiscal generale, sedente in Camera".
Era questa possibilità di trasmissione ereditaria una concessione ricevuta dal padre con patenti del 20 ott. 1694, "disposta per scrittura delli 4 dic. 1712", concessione che s'inquadra perfettamente nei disegni di riforma di Vittorio Amedeo II, deciso a inserire certa piccola e attiva nobiltà, specialmente quella proveniente dalle magistrature, nell'impalcatura burocratica e politica della monarchia sabauda. L'interesse infatti di una figura - certamente di secondo piano, ma così tipica del riformismo vittoriano - come quella del B. non può che accentrarsi sulla sua attività di esperto, attento e preparato burocrate.
Il B. assunse nel 1715 la carica ricevuta per testamento e "disposta" nel 1712; nel 1720 divenne collaterale e per tutto il decennio seguente i suoi compiti aumentarono gradatamente, secondo quel vaglio rigido e attento cui Vittorio Amedeo II prima e Carlo Emanuele III poi sottoponevano i loro collaboratori. Nel 1731 il B. compare ormai in un ruolo consultivo più importante: fa parte - con personaggi di maggior rilievo e rango come il Saint-Laurent, il De Gregori e il Belletrutti - dello speciale "congresso" cui spetta di studiare e decidere sui problemi sollevati dagli intendenti e sorti dall'applicazione della legge del 5 maggio 1731 sulla perequazione dei beni del Piemonte. In quest'occasione le misure prese, secondo una linea di condotta che rimarrà abbastanza coerente, consistono in genere nel ritorno ai provvedimenti antecedenti la riforma e nel ripristino di alcune imposte. Nel 1733, sempre con le stesse persone e in qualità di collaterale, firma un progetto intitolato Regolamento delle monete in cui si propone di regolamentare in modo chiaro e definitivo il cambio monetario e dal quale uscirà un editto "sul valore delle monete d'oro e d'argento che han corso ne' Stati" del 25 giugno 1733.
Gli anni 1733-35 segnano senza dubbio l'acme della carriera del B.: egli compare infatti negli atti amministrativi più importanti, resi necessari e complicati dalla guerra in corso; la questione della "provvisione" del grano è uno dei casi più impegnativi e quando il problema delle misure da prendere per evitare abusi e speculazioni si fa più urgente (1733), è agli uomini come il B., prudenti, realistici e assai poco avventurosi sul piano economico così come su quello politico, che il re si rivolge. Sempre in questo periodo il B. si trova impegnato e pieno di esitazioni nei confronti dei progetti di "capitazione generale". All'ampia discussione di quegli anni sul modo migliore di condurre la politica finanziaria egli non porta certamente contributi originali: è anzi sempre per le decisioni meno compromettenti e in fondo meno innovatrici.
Frattanto aveva acquistato, insieme con il fratello Gaspare Maria, il feudo di Monteu da Po (5 maggio 1733), ricevendo il titolo comitale il 9 sett. 1733. Il 18 dicembre ricevette anche il titolo di barone di Borghetto, Betlemme, Chiavarina e Mosche di Chivasso, che cedette però il 12 febbr. 1734 a Gaspare dell'Isola. Nel 1734, ancora una volta accanto a figure più qualificate di lui (Caissotti, Siccardi e Petitti) e sempre relativamente in secondo piano, il B. affrontò il problema di trovare nuove fonti di denaro per i casi "di bisogno", con nuove imposte: ma neppure in questa occasione emerse in prima persona, né è possibile determinare quale sia stata la sua funzione all'interno di questi gruppi e delle loro discussioni; neppure in caso di urto frontale per proposte o progetti chiaramente alternativi, come avvenne in occasione della guerra (1733-38), sul problema dei tributi straordinari, la posizione del B. è chiara, né vi sono documenti che ci soccorrano nel tentativo di collocarla in un ambito preciso. L'unico elemento veramente certo della sua vita è il progressivo aumento delle sue risorse finanziarie a mano a mano che la sua carriera procede, aumento documentato dagli acquisti di terre che si succedono gradualmente e regolarmente. La sua figura rimane perciò legata al tradizionale modello del burocrate diligente e onesto, dell'esecutore fedele delle superiori direttive anche nelle cariche che comportavano un certo potere decisionale: uno dei tanti personaggi insieme cardine e prodotto dell'impaziente volontà di rinnovamento delle strutture statali di Vittorio Amedeo II e di quella più cauta e gretta di Carlo Emanuele III.
Il B. morì a Torino il 3 marzo 1743.
Fonti e Bibl.: Per quel che riguarda la carriera del B., G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte epaesi uniti colla seriecronologica delle persone che le hanno occupate dal sec. IX aldicembre 1698, Torino 1798, pp. 681 s. (pubblica le Patenti dell'Arch. di Stato di Torino, che riguardano soltanto la carica ricevuta in eredità; le altre non riprodotte si trovano in un volume che non è stato possibile reperire nell'Archivio). Per le fonti che riguardano invece la politica economica e finanziaria, i progetti e le commissioni in cui il B. fu impegnato cfr. Archivio di Stato di Torino, sez. I, Intendenze e regolamenti, mazzo 1, 2º add., n. 8; Zecca e monete, I cat., mazzo 3, n. 4; Materie Economiche,Demanio,donativi e sussidi, mazzo 12, nn. 15, 16, mazzo 13, n. 4. Tutti questi documenti sono rielaborati in un ampio discorso sul Piemonte del primo Settecento da G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, I, Modena 1957, pp. 156, 179, 183, 191, 214. Cfr. ancora G. Quazza, Il problema italianoe l'equilibrio europeo(1720-1738), Torino 1965, p. 257. Per le notizie più generali sulla vita del B. e sulla sua famiglia vedi A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 366.