GREGORINI, Domenico (Domenico Paolo)
Nacque a Roma il 21 ag. 1692 da Ludovico, architetto, e da Antonia Ficadenti, nella parrocchia di S. Giovanni dei Fiorentini (Varagnoli, 1988, cui si rimanda dove non altrimenti indicato). La sua formazione e la sua attività artistica si svolsero interamente a Roma, tranne brevi soggiorni compiuti in altri luoghi dello Stato pontificio per seguire alcuni cantieri. Si formò nello studio paterno, che ereditò nel 1723, insieme con il messinese P. Passalacqua (nipote acquisito e allievo di F. Juvarra), figura centrale per il suo percorso artistico e professionale, che gli rimase sempre vicino, con un ruolo a volte paritario a volte subordinato, tanto che spesso è difficile distinguere l'apporto di ciascuno dei due progettisti.
Grazie all'aiuto paterno, nel 1713 il G. fu nominato sottomaestro delle Strade per i rioni Ponte e Regola, carica che perdette nel 1715; nel 1714 figura come responsabile per le porte di S. Sebastiano, S. Giovanni e Latina; e nel 1716 compare in alcune ricognizioni per lavori al monastero delle Ss. Rufina e Seconda in Trastevere.
Nel 1713 vinse il primo premio nella seconda classe del concorso clementino indetto dall'Accademia di S. Luca con un "Tabernacolo per altare maggiore" che rivela una matura conoscenza del linguaggio tardo barocco, filtrato attraverso le contemporanee esperienze di Juvarra (altare per il santuario di Caravaggio, 1712). Nel 1722 fu ammesso nell'Accademia dei Virtuosi al Pantheon, in cui ebbe un ruolo di spicco e di cui fu reggente nel 1728, nel 1760 e nel 1769. Alla morte del padre (1723) ne ereditò gli incarichi, concludendo, fra l'altro, i cantieri dei palazzi Sforza Cesarini a Genzano e Santacroce a Roma (1725).
Forse sulla scia delle commesse paterne, o grazie a Passalacqua, entrò presto in contatto con il cardinale P. Ottoboni, per il quale svolse un'intensa attività insieme con il messinese e fino al 1736 in posizione subordinata rispetto a L. Rusconi Sassi, architetto del cardinale. In questo ambiente il G. poté approfondire le proprie conoscenze soprattutto in campo scenografico e teatrale; ma svolse anche una feconda attività architettonica, sempre con Passalacqua, assumendo nel 1736 il ruolo di architetto del cardinale, dopo la morte di Rusconi Sassi.
Al 1721 risale la macchina pirotecnica per la festa dell'Assunta, nota tramite l'incisione di F. Vasconi, posta davanti al palazzo della Cancelleria per celebrare l'elezione di Innocenzo XIII a Roma (Matitti, 1995). Oltre ad apparati effimeri, Ottoboni affidò al G. molti incarichi in campo architettonico, tra cui, forse, nel 1726 (Mallory, 1977, p. 151) l'ampliamento del palazzo episcopale di Magliano Sabina.
Risale al 1726 il primo incarico di rilievo, l'oratorio dell'Arciconfraternita di S. Maria in Via, patrocinato da Ottoboni, posto in risalto anche dalla presenza di Benedetto XIII alla posa della prima pietra (1727).
L'opera, completata nel 1728 per essere poi rifinita nel 1730, manifesta riferimenti palesi a F. Borromini (in particolare all'oratorio dei filippini), ma riassunti in una coerenza strutturale che la differenzia dal decorativismo superficiale dell'architettura "minore" (si veda il rilievo di P.P. Coccetti, in Varagnoli, 1988). Tratti più originali risiedono nell'alleggerimento della parete di facciata mediante le fonti di luce e nella copertura nervata. I caratteri del prospetto sono echeggiati nei fabbricati laterali, anch'essi progettati dal G. e conclusi nel 1734, parzialmente distrutti per l'apertura della via del Tritone.
Nel palazzo episcopale di Porto (1735-37) il G. e Passalacqua completarono i lavori iniziati da Rusconi Sassi di rinnovamento dell'antico edificio, con la realizzazione, fra l'altro, di uno scalone illuminato da una nuova facciata, dove si ripropose il tema dell'alleggerimento della parete mediante le fonti luminose. Per la propria chiesa titolare di S. Lorenzo in Damaso, Ottoboni commissionò al G. e a Passalacqua il rifacimento della preesistente confessione, compiuta, insieme con il rinnovamento della tribuna, nel 1737-39, e in seguito coperta nei lavori ottocenteschi, ma leggibile in alcune testimonianze iconografiche e in pochi resti nei sotterranei. La veduta di G. Valeriani rivela un impianto ovale interrotto da un settore convesso in corrispondenza dell'altare, inquadrato da colonne affiancate a pilastri (Schiavo). Altra opera notevole doveva essere la chiesa di S. Maria Assunta a Rocca di Papa (1731), ancora su pianta ovale e oggi sostituita da un edificio neoclassico, iniziata da Passalacqua, ma conclusa dal G. (1754), presente nel cantiere già nel 1735.
I favori del cardinale permisero al G. di essere sempre presente nella grandi competizioni progettuali dell'epoca. Gli sono stati attribuiti in via ipotetica (Kieven, 1991) alcuni disegni della prima fase concorsuale della fontana di Trevi (1730-31).
Schierato nel gruppo protetto da Ottoboni, che era arciprete della basilica lateranense, il G. prese parte al concorso per S. Giovanni in Laterano nel 1732, con un modello ligneo esposto con il numero VII, non identificato, che molto probabilmente non seguiva gli indirizzi di classica monumentalità voluta invece da Clemente XII; lo svolgimento del concorso, che vide sconfitti gli allievi di Juvarra, ebbe notevoli ripercussioni nell'opera del G. e nella stessa impostazione della sua opera maggiore, S. Croce in Gerusalemme.
Sempre per Ottoboni, il G. e Passalacqua, che comparivano regolarmente fra gli stipendiati nel "ruolo" della famiglia, svolsero numerosi altri lavori di sistemazione: agli edifici del feudo di Fiano; ai palazzi vescovili di Albano e Velletri e ad altri edifici ad Albano (1738-39); alla villa presso S. Cosimato a Roma (1739); all'episcopato e alla chiesa di S. Aurea di Ostia (1739-40) e a S. Sebastiano fuori le Mura.
Fra gli apparati effimeri progettati per Ottoboni si ricorda la festa in onore dell'ambasciatore francese duca di Saint-Aignan (1734) e l'apparato teatrale nel palazzo della Cancelleria per le quarantore del 1739 (Salviucci Insolera). Sono collegabili a queste esperienze anche gli apparati per lo stesso ambasciatore francese in S. Luigi dei Francesi (addobbi e catafalco per le esequie della moglie: 1734; apparato per la consegna del cordone del S. Spirito al principe Vaini, raffigurata in dipinti di P. Subleyras e G.P. Pannini). Fra gli altri lavori svolti negli anni Trenta, che furono particolarmente intensi, vanno ricordati almeno il rifacimento dell'altare maggiore e della cantoria in S. Maria della Quercia per la Confraternita dei Macellai (1731), poi modificati, e il restauro del vecchio oratorio dell'ospedale di S. Spirito in Sassia (1731), in seguito demolito e ricostruito da Passalacqua.
Negli anni Trenta il G. ricevette numerosi incarichi dal cardinale bolognese Pompeo Aldrovandi, all'epoca governatore di Roma. Per lui, il G., certamente con Passalacqua, realizzò nel 1733 la terza ricostruzione del teatro di Tor di Nona, compiuta in meno di un mese, con un limitato intervento sulle murature e la sobria ricostruzione dei palchetti lignei. Agli anni 1734-35 risale la "Legnara Clementina", deposito di legnami della città posto tra la porta del Popolo e il Tevere, non più esistente, chiuso da un alto recinto per evitare il pericolo di incendi; il valore dell'opera, ispirata a criteri di funzionalità richiesti da Clemente XII, si riassumeva nel monumentale ed essenziale portale di ingresso.
Dopo la nomina di Aldrovandi a vescovo di Montefiascone e Corneto, il G. contribuì al rinnovamento di alcuni dei principali edifici di Montefiascone.
Soprintese alla trasformazione del palazzo vescovile (1736-46), con la sistemazione del giardino confinante con la rocca papale; disegnò decorazioni e forse elementi di arredo nel duomo (nicchia di S. Margherita); intervenne probabilmente anche nel rinnovamento della chiesa medievale di S. Flaviano, attuato con semplicità di mezzi e con un certo rispetto per l'antica architettura, soprattutto in facciata; infine disegnò la monumentale porta di Borgo, il principale accesso alla città, in cui riemergono costanti tipologiche cinquecentesche (1744). Ebbe inoltre una parte rilevante nella realizzazione della cappella Aldrovandi in S. Petronio a Bologna, di cui curò la foderatura di marmi antichi, inviati da Roma, e il tabernacolo con il nuovo reliquiario in bronzo dorato eseguiti dal fonditore romano Francesco Giardoni.
Il nome del G. resta però legato soprattutto a una delle ultime grandi imprese della Roma barocca, il rinnovamento della basilica di S. Croce in Gerusalemme.
La chiesa, antichissima perché legata alla memoria di Elena madre di Costantino e al culto delle reliquie della Croce, era titolo cardinalizio di Benedetto XIV prima della sua elezione al pontificato (1740) e il neo pontefice affidò la gestione del cantiere al cardinale Aldrovandi, suo concittadino e antagonista durante il conclave. Il programma integrava l'intervento architettonico alla sistemazione del contesto urbano, all'epoca ancora privo di consistenza edilizia, sia attraverso il nuovo stradone di collegamento con S. Giovanni in Laterano, regolarizzato con una piantata di lecci che aveva l'ufficio di consentire il reciproco inquadramento visivo delle due basiliche, sia con il disegno della piazza, pensata per costituire un termine al lungo asse sistino proveniente da S. Maria Maggiore.
Il restauro della chiesa (1741-44) si rivolse quindi alla costruzione di una nuovo prospetto convesso, proiettato in avanti da un atrio cupolato a pianta ellittica compreso fra due brevi ali concave: l'atrio a sua volta sostituì l'antico nartece della chiesa preesistente e si interpose tra il nuovo fronte di travertino e l'antica facciata in laterizi. Il prospetto fu serrato da un rigoroso ordine gigante e concluso da un fastigio piramidale sostenente la Croce; spunti derivati da Pietro da Cortona e dallo stesso Borromini appaiono così rivissuti in una trama compositiva di ascendenza juvarriana. All'interno, il restauro riguardò soltanto la navata centrale, in cui l'ordine gigante del prospetto fu interpolato al colonnato antico, e il transetto, dove il ciborio medievale venne sostituito da un baldacchino che dinamizza in un'insolita struttura la tipologia tradizionale. La documentazione cita il solo nome del G., che firmò i conti della fabbrica recentemente ritrovati (Varagnoli, 2002). Tuttavia sono forti le assonanze stilistiche con il progetto presentato da Passalacqua al concorso clementino del 1713, tanto da far pensare comunque a una presenza del siciliano nella fase progettuale. L'intervento si pone chiaramente sulla linea di abbellimento delle preesistenze; ma rivela il desiderio di istituire un'articolata dialettica tra l'antico edificio e l'invenzione moderna, portando alle estreme conseguenze la ricerca che Borromini aveva inaugurato in S. Giovanni in Laterano. Tuttavia l'apprezzamento del pontefice e degli antiquari dell'epoca non fu del tutto positivo, per l'occultamento di alcune colonne originarie e della facciata antica dietro le nuove strutture.
Probabilmente a seguito del rinnovamento di S. Croce, il G. ottenne alcuni importanti riconoscimenti pubblici.
Nel 1743 fu accolto in Arcadia, in cui rimase fino al 1766 con il nome di Silvasio Gnidio. Nel 1748 entrò come accademico di merito nel seno dell'Accademia di S. Luca, dove tuttavia non ebbe mai un ruolo di primo piano. Nel 1742, inoltre, partecipò a una commissione convocata da Benedetto XIV sulle lesioni manifestate dalla cupola vaticana.
Il G. lavorò anche per i Boncompagni Ludovisi e con il ramo imparentato con gli Ottoboni (duchi di Fiano).
Studi recenti hanno chiarito che non ebbe parte nel palazzetto al Babuino di M.E. Boncompagni Ludovisi (Varagnoli, 1998); gli spetta invece il semplice ed elegante casamento d'affitto che P.G. Boncompagni Ludovisi Ottoboni fece costruire sull'area di vecchie stalle lungo il Corso di fronte al palazzo di famiglia (1746-47); né sono da escludere suoi interventi nel palazzo Fiano. Ebbe incarichi anche da G. Boncompagni Ludovisi, forse per alcuni edifici nella villa a porta Pinciana; disegnò inoltre (1748) il monumento sepolcrale per il principe Antonio destinato alla chiesa di S. Maria delle Forme nel feudo di Isola del Liri (Frosinone), inviato smontato da Roma e attualmente non visibile. È invece ben conservata la tomba di M.E. Boncompagni Ludovisi nella controfacciata di S. Maria del Popolo (1749): la memoria funeraria, molto composta e lontana dall'enfasi di simili opere, è circondata da intarsi marmorei e inserita in una mostra conclusa da una fastigio mistilineo che ricorda quello dell'oratorio del Ss. Sacramento.
Come molti suoi contemporanei, il G. svolse un'intensa attività come perito ed estimatore (Manfredi, 1991), dove acquisì probabilmente una competenza non comune se il suo nome figura tra i firmatari di un prontuario per la stima dei fabbricati all'uso "romano" (1744).
Come architetto dei Negroni, partecipò a ricognizioni al palazzo in via di Ripetta (1739) e in altre proprietà della famiglia. Altre perizie sulla piazza di S. Giovanni (1742); sul sito di S. Caterina dei Senesi (1743); nel restauro di una casa in via dell'Aquila di G. Chigi (1747); sull'edificio del Sacro Monte di pietà a seguito della costruzione di un casamento in via dei Giubbonari (1747: Saraceni). Sono attestati inoltre suoi interventi sugli arredi lignei della chiesa di Contigliano, presso Rieti (1747).
Gli ultimi anni della carriera del G. furono particolarmente infecondi, almeno a quanto finora è noto, forse anche a seguito della morte di Passalacqua (1748). Si ha notizia di opere minori, come la macchina processionale disegnata su incarico dell'Arciconfraternita della Madonna del Carmine in Trastevere (1750). Nel 1757, in qualità di architetto della Compagnia di S. Rocco, stimava alcune case nel vicolo di Schiavonia in vista dell'acquisto e della riorganizzazione del patrimonio immobiliare della Compagnia stessa (Curcio); disegnò inoltre il nuovo reliquiario per la chiesa di S. Rocco e si occupò della riparazione di alcuni casali (Arch. di Stato di Roma, Ospedale di S. Rocco, Libro dei decreti 1754-1759, vol. 75). Svolse infine mansioni minori per il monastero della Concezione in Campo Marzio (1766, 1768).
Il declino professionale degli ultimi lunghi anni è attestato dalla richiesta di aiuto inviata nel novembre 1772 dal G. all'Accademia di S. Luca. Ricevuto un aiuto economico e ristabilitosi, risulta presente alle congregazioni dell'Accademia fino al 1774.
Il G. morì il 7 febbr. 1777, all'età di ottantacinque anni nella casa di via dei Banchi.
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