FEDERICI, Domenico
Nacque il 16 maggio 1633 a Bargni (frazione di Serrungarina, provincia di Pesaro Urbino), nel territorio di Fano, da Bastiano e Domenica. Compì studi giuridici a Roma e nel 1654, giunto a Vienna forse come segretario dell'ambasciatore veneto G. Sagredo, fu nominato da Ferdinando III d'Asburgo gentiluomo di camera con l'assegno a vita delle rendite dell'abbazia di S. Martino di Waska, in Ungheria. Visse a corte fino al 1668, ricoprendo l'incarico di segretario dapprima dell'imperatrice Eleonora Gonzaga e poi dello stesso imperatore Leopoldo I.
Membro dell'accademia letteraria fondata a corte nel 1656 dall'allora arciduca Leopoldo e da R. Montecuccoli. il F. si dedicò alla redazione di oratori e drammi, musicati da A. Draghi e P. A. Ziani e recitati nella cappella privata dell'imperatrice Eleonora. Furono pubblicati tutti presso l'editore Cosmerovio di Vienna: La caduta di Salomone, Gli affetti pietosi per il sepolcro di Cristo, Panegirico di Zaccaria, L'onore trionfante, nel 1666; L'elice, L'ambizione punita, Lagrime della pietà, nel 1667. Nello stesso 1667 e dal medesimo editore furono pubblicate le due prose intitolate L'eliotropio della gloria ed Il colosso della virtù, occasionate rispettivamente dall'elevazione al cardinalato di Giulio Spinola e Guidubaldo di Thun. Tanto le opere in versi che quelle in prosa sono redatte nel turgido stile del tempo, prodigo di astruse metafore e consunte iperboli, e privo di ogni originale sentimento, capace di rinnovare i temi tratti dalla Bibbia e dall'antichità greca e romana.
Ben maggiore importanza, anche ai fini della carriera del F., riveste un altro scritto del 1667, La verità vendicata dai sofismi di Francia. Risposta allo scrittore delle pretensioni christianissime, contra i principati del Re Cattolico, opera con la quale il F. contribuì, sostenendo le tesi imperiali, al fervido dibattito provocato dalle pretese francesi sui Paesi Bassi, che proprio in quei mesi avrebbero condotto alla guerra di devoluzione. La prima edizione, in folio, non reca indicazione del luogo di stampa, ma è quasi certamente viennese; dello stesso 1667 è una seconda edizione, napoletana, in 4º senza indicazione dell'editore; l'anno successivo uscì la traduzione francese, in 16º, s. n. t.
I polemisti francesi, A. Aubery, J. B. Duhamel e l'anonimo autore del Traité des droits de la Reine très Chrétienne sur divers Etats de la Monarchie d'Espagne (Paris 1667; al quale è più precisamente rivolta la "risposta" del F.), sostenevano l'interpretazione estensiva del diritto di devoluzione, mirante alla revoca della rinuncia di Maria Teresa, figlia di Filippo IV e moglie di Luigi XIV, a succedere nei Paesi Bassi. Ad essi il F. replica che la Spagna mai avrebbe acconsentito alle nozze di Maria Teresa e Luigi XIV, se non vi fosse stata la rinuncia dell'infanta a scongiurare il rischio che, secondo la legge francese, i beni ereditati da Maria Teresa divenissero proprietà della Corona di Francia.
Con argomenti simili a quelli di J. B. Multz, L. Du May e degli italiani A. Cottone, M. Corradi, F. D'Andrea, il F. rispondeva alla presunta inderogabilità delle consuetudini locali anche da parte dei sovrani con un'accentuata esaltazione dell'assolutismo regio, che, con il conforto di s. Paolo, avrebbe facoltà di derogare ad ogni egge e consuetudine in vista della conservazione dello Stato e del perseguimento del pubblico bene. Con disinvoltura sofistica il F. estremizzava le stesse tesi degli avversari e dimostrava addirittura che, ad applicare correttamente il diritto di devoluzione, erede dei Paesi Bassi avrebbe dovuto essere Carlo Emanuele II di Savoia e non Maria Teresa.
Le idee esposte nelle centosettantatré pagine del trattato sono mutuate da giuristi per lo più coevi, da C. Du Moulin a D. Covarrubias, da S. Groenwegen a P. Stockmann, ma non mancano citazioni dal Corpus iuris e da Baldo degli Ubaldi; il sicuro possesso degli argomenti, pur non originali, conferma la serietà e l'ampiezza degli studi giovanili; l'impegno con cui è affrontato il contenuto rende innecessario ogni arzigogolo barocco, sicché l'esposizione è agile e sobria.
Fu soprattutto grazie al prestigio ottenuto a corte in seguito alla pubblicazione del trattato che il F. ottenne l'incarico di ambasciatore imperiale a Venezia. La sua candidatura, sostenuta dall'ambasciatore di Spagna proprio in virtù del suo scritto ed osteggiata da quelli di Francia e della Repubblica di Venezia per lo stesso motivo, infine prevalse: partito da Vienna il 28 dic. 1667, giungeva a Venezia nel febbraio del 1668, presentando le credenziali al Collegio il 20 di quel mese.
Le prime questioni di cui si occupò il F. a Venezia, lottando con la macchinosa burocrazia della Repubblica, furono i confini controversi dell'Istria, di Gradisca e del Tirolo, oggetto di frequenti disordini, la restituzione delle navi austriache sequestrate, e la sicurezza dei corrieri postali austriaci, spesso assaliti da banditi veneti. Nell'aprile del 1670 il F. tornava a Vienna per riferire sulla vicenda dei confini e del patriarcato di Aquileia, destando la preoccupazione dell'ambasciatore veneziano M. Zorzi, che sospettava che il ritorno a corte fosse dovuto a qualche "negotio di rilevanza". In quell'occasione il F. ottenne dall'imperatore il titolo di consigliere di Stato ed un aumento notevole sulla somma per le spese di rappresentanza diplomatica.
Il 12 maggio 1670 il F. partiva di nuovo per Venezia, ove arrivava il 21 dello stesso mese. Ebbe allora ad occuparsi di O. Frangipani, uno dei capi della sommossa di Ungheria (1671), del quale chiese invano al Collegio la consegna alle autorità austriache. Frattanto si adoperava per favorire le nozze di Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova, con Anna Isabella, figlia di Ferrante Gonzaga, duca di Guastalla: lo scopo era escludere i Modenesi, e con loro i Francesi, dal feudo di Guastalla, "che questo sarebbe seme di guerra in Italia" (Fano, Bibl. Federiciana, Mss. Federiciani, n. 107). Nel contempo i rapporti con il Senato veneziano peggioravano, soprattutto a causa delle lettere dello Zorzi.
Nell'aprile del 1671 il F. compì un viaggio attraverso alcune città dell'Italia centrosettentrionale, nelle quali raccolse oggetti d'arte per Leopoldo I ed ascoltò cantori e musici da proporre a corte.
L'insinuazione dell'ambasciatore veneto G. Morosini, che il nuovo viaggio a Vienna del F. nel marzo 1672 fosse finalizzato a far credere all'imperatore che Venezia era favorevole ad un'invasione turca in Ungheria, servi a peggiorare ancor di più i rapporti fra il F. e la Repubblica. Nell'autunno del 1673 il F., disertando le nozze di Leopoldo I con Claudia Felicita del Tirolo (per le quali si era molto adoperato, assieme al presidente del Senato di Milano, B. Arese), villeggiava con gli oratoriani di Venezia e cominciava a manifestare il desiderio di ritirarsi in convento.
Fra la fine del 1675 e l'inizio del 1676 sembrava che la rinuncia del F. all'incarico fosse imminente, e già si tornava a fare il nome di F. U. Della Torre di Gradisca, già concorrente del F. nel 1667 e ben accetto a Venezia, che confidava nel suo appoggio per una soluzione della questione dei confini ad essa favorevole. In realtà, la sostituzione fu differita; ma la scelta gia espressa dall'imperatore dimostrava la sfiducia ormai maturata verso il F. dopo la "crisi religiosa" del 1673. Nella primavera del 1678, in occasione di un viaggio a Fano, il F. formulò agli oratoriani di quella città il desiderio di essere accolto fra loro. Nell'ottobre era di nuovo a Vienna, osservato con sospetto dall'ambasciatore veneto A. Giustinian, ma in realtà per confermare la volontà di abbandonare l'incarico.
A quest'epoca forse risale l'oscuro episodio della prigionia in Tirolo, ricordato con dolore dal F. in alcuni componimenti manoscritti, occasionati dall'annuale ricorrenza dell'evento: motivo ne furono probabilmente i continui disordini di frontiera, di cui il F. come diplomatico si era a lungo occupato; ma sicura non è neanche l'epoca dei fatti, che potrebbero essere accaduti nel 1663 e causati da versi erotici troppo spinti del giovane F., a quel tempo poeta di corte a Innsbruck.
Finalmente, nel gennaio del 1680 il Della Torre era nominato residente cesareo a Venezia ed il 23 dello stesso mese il F. si congedava dal Collegio veneziano, che aveva per lui elogiative quanto ipocrite parole di commiato, che confermavano conclusivamente l'atteggiamento tenuto da Venezia per dodici anni nei confronti del F., all'insegna del sospetto e della vanificazione sistematica di ogni tentativo, a dire il vero piuttosto blando, di pacifica soluzione di questioni anche di lieve entità.
Esattamente un anno dopo, il 24 genn. 1681, il F. era a Fano, sacerdote della Congregazione dell'Oratorio; ma non cessavano con ciò gli incarichi di rilievo, giacché nel 1683 il vescovo di Fano, card. A. M. Rannuzzi, lo nominò vicario per il tempo della sua nunziatura in Francia. E nel 1687, quando il Rannuzzi lasciò la diocesi, il F. ' avrebbe avuto ottime possibilità di succedergli: ad impedirglielo, più che la personale riluttanza a dedicarsi ancora a faccende amministrative, fu l'amicizia con il card. P.M. Petrucci, vescovo di Iesi e maggiore esponente del quietismo italiano. Proprio nel 1687, infatti, il S. Offizio condannava l'orazione di quiete, e non servì a migliorare la posizione del F. la redazione del breve scritto Errori principali intorno alla nuova meditazione, overo Oratione di quiete (Fano, Bibl. Federiciana, Mss. Federiciani, n. 77), nei cui diciannove punti si prendevano le distanze dal quietismo. Tuttavia, l'esperienza maturata nella guida della diocesi valse al F. nel 1701 la nomina a preposto della Congregazione dell'Oratorio.
Negli anni fanesi il F. impiegò le ricchezze accumulate con l'attività diplomatica e le rendite della sua abbazia per costituire patrimoni per due suoi nipoti chierici, Pier Domenico ed Evangelista Federici, per restaurare la chiesa di S. Pietro in Valle di Fano e costruire a Bargni la cappella ove sono conservate le reliquie di s. Ticiarino. Inoltre, spese cifre ingenti per allestire una vasta raccolta di monete ed altre antichità, andata quasi del tutto distrutta, e soprattutto una biblioteca ricca inizialmente di dodicimila volumi, per la quale fece costruire un'apposita sala. Nel testamento (A. Mabellini, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, XXXVIII, p. 1) dispose che la biblioteca divenisse di proprietà della Congregazione, con l'obbligo di apertura al pubblico per un'ora al giorno: con il nome di Biblioteca Federiciana è oggi la biblioteca comunale di Fano.
Negli anni dal 1687 alla morte il F. attese principalmente alla sistemazione dei suoi studi, che organizzò in un discreto numero di volumi manoscritti conservati alla Federiciana. Morì a Fano il 12 novembre 1720.
Sono opere poetiche: la commedia Eurilia e l'abbozzo di un'altra commedia (Fano, Bibl. Federiciana, Mss. Federiciani, n. 27), due raccolte di poesie (nn. 18 e 28), tre dialoghi filosofici (Gli atomi, L'anima, Il cielo, n. 18), tutti di valore stilistico e contenutistico non superiore ai componimenti editi. Ma in massima parte si tratta di prose di argomento filosofico e religioso dai titoli simili: Della filosofia universale (n. 18), Philosophia moralis (n. 16), Filosofia volgare (n. 31), Della filosofia morale (n. 25), Filosofia morale (n. 38), Della politica (n. 36); Controversiae fidei (n. 65), il citato Errori sulla nuova meditazione, overo Oratione di quiete (n. 77), Orazioni giaculatorie per tutte le azioni quotidiane, Glosse marginali alla Bibbia, ed alcuni sermoni religiosi (il tutto nel voluminoso codice 18). Inoltre, qualche trattatello di logica, geografia, astronomia e medicina, nei quali il F. si rivela convinto assertore di teorie di cui la scuola galileiana aveva ormai dimostrato l'infondatezza. Così, la visione cosmologica espressa nella Filosofia volgare è rigidamente anticopernicana ed antigalileiana, come paiono ovvie verità scientifiche la generazione spontanea e le meravigliose virtù di piante ed animali, con il conforto di autorità come Plinio il Vecchio, s. Gerolamo, F. Guicciardini, G. Fracastoro, G. B. Della Porta.
Il F. rifiuta, invece, l'idea dell'influsso celeste sulle vicende umane, riscattando la libertà dell'azione dell'uomo, alla quale la provvidenza divina concorre in maniera indeterminata, "ciò avvenendo per libera disposizione divina ab aeterno di concorrere in tutti gli atti ai quali si determina la volontà umana" (Della filosofia universale), con il risultato ulteriore di escludere la cooperazione divina al peccato. Quanto alla politica il F. vede nella monarchia la migliore forma di governo essendo "il sovrano legge animata dei suoi popoli" (Della politica) e ribadisce la necessaria separazione fra impero e sacerdozio. Non mancano echi della personale esperienza di consigliere imperiale e diplomatico, come laddove biasima i Veneziani, che assoggettano il clero alla potestà laica, o consiglia fl principe di vigilare alle frontiere e di non fidarsi delle potenze vicine; o quando, memore dell'avvilente situazione italiana, suggerisce che gli eserciti non siano formati da mercenari. I principi di prudenza militare, infine, sono tratti dagli Aforismi dell'arte bellica dell'amico R. Montecuccoli.
Le opere più propriamente filosofiche, attinenti alla logica, alla teologia ed all'etica generale, altro non sono che parafrasi estensive, ed arricchite di esempi tratti dalla storia, degli scritti di s. Tommaso e di Aristotele, questi ultimi tradotti da versioni latine. Così, il codice mutilo che tratta di logica, intitolato Tirocinium: rigorosas sillogismi regulae via ostensiva et per impossibile explanans (n. 18), si rifà per intero agli Analitici primi; i principi cosmologici e di etica generale sono ripresi dalla Summa theologica; le idee politiche sono attinte essenzialmente alla Politica di Aristotele ed al De regimine principum di s. Tommaso.
Fonti e Bibl.: A. M. Rannuzzi, Lettere da Parigi a D. F., a cura di F. M. Cecchini, Roma 1988; G. Gualdo Priorato, Historia di Leopoldo Cesare, Vienna 1667, III, p. 103; P. M. Amiani, Mem. istor. della città di Fano, Fano 1751, II, p. 324; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., Modena 1772-82, II, p. 606; A. C. Billi, Ricordo stor. di Bargni e Saltara, Fano 1866, pp. 82-101; C. Marcolini, Lettera al signor conte canonico don Alessandro Billi, Bargni 1866, p. 51; Id., Not. stor. della prov. di Pesaro e Urbino dalle prime età fino al presente, Pesaro 1868, pp. 376 s.; E. Francolini, Guida di Fano storico-artistica, Fano 1883, p. 26; L. Masetti, Mem. sulla Bibl. di Fano, Fano 1883, passim; G. Rossi, Il pensiero filosofico-religioso dell'abate D. F., in Studia Picena, IV (1928), pp. 2-30; V. Bartoccetti, Due poesie ined. dell'abbate D. F., ibid., pp. 153-156; G. Castellani, D. F. residente dell'imperatore a Venezia, ibid., pp. 157-168; C. Frati, Diz. bio-bibl. dei bibliotecari e bibliofili ital. dal sec. XIV al XIX, Firenze 1934, pp. 219 s.; F. M. Cecchini, D. F., diplomatico dell'Impero, Urbino 1965.