CHELUCCI, Domenico (Paolino di S. Giuseppe)
Nacque a Lucca da Gaspare e Caterina il 25 apr. 1681. La famiglia, che fonti memorialistiche dicono di condizione "civile", cioè appartenente alla classe media delle professioni e del commercio, non è altrimenti nota, e il C. in seguito non intratterrà con essa rapporti molto stretti: dopo il suo trasferimento a Roma si ha notizia d'una sola sua visita alla città natale, forse per la morte d'un fratello. Compiuti gli studi inferiori, egli entrò in seminario, decidendo successivamente di far parte della Congregazione delle scuole pie. Se la dinamica della vocazione, come in genere le vicende della fanciullezza e dell'adolescenza, sono oscure, sono però note le tappe della sua iniziazione di religioso: il 19 marzo 1699 fu accettato tra i novizi nella casa generalizia della Congregazione, annessa alla chiesa romana di S. Pantaleo, e secondo l'uso scolopio cambiò il nome di battesimo in quello di Paolino di S. Giuseppe. Nell'ottobre 1700 egli compì la professione solenne, iniziando quindi il corso superiore di studi nel collegio Nazareno.
La fisionomia culturale che gli è propria successivamente, segnata da interessi sia letterari sia matematici, dev'essersi costituita in quel periodo, com'è plausibile se si ricorda che la componente matematica degli studi era stata costante nella pedagogia degli scolopi fin dalla fondazione dell'Ordine, tanto che avevano avuto contatti ripetuti e non superficiali con Galileo e con la sua scuola. Quanto agli interessi letterari non sarebbe adeguato descriverli come nettamente differenziati o contrapposti a quello matematico, sia perché gran parte della produzione del C. consiste in una oratoria "civile" o celebrativa, quasi sempre stilisticamente sorvegliata, logicamente scandita e legata alla rilevanza di fondo dei contenuti, sia perché rientrano in parte in consuetudini dell'epoca, per la quale si è parlato di "arcadia della scienza".
Già da studente il C. partecipò assiduamente alle sedute dell'Accademia degli Incolti, nata nel 1659 entro il Nazareno per iniziativa dei padri Scassellati e Pennazzi, e nel 1703 ne fu segretario; nel 1705 venne l'ammissione all'Arcadia (col nome di Trinuro Naviano) in seno alla quale il C. svolse un'attività poetica molto ridotta ed apparentemente limitata ai suoi anni giovanili (si ricordano un sonetto celebrante le vittorie di Eugenio di Savoia sui Turchi, stampato nelle Rime degli Arcadi, VII, Roma 1717, p. 382, e due canzoni latine di circostanza per membri della famiglia Albani, scritte e pubblicate attorno al 1714, ma giunte a noi nella edizione degli Arcadum Carmina,pars altera, Romae 1756, pp. 269-76).
Nello stesso anno 1705 il C. fu ordinato sacerdote e nominato professore di retorica presso la casa generalizia della Congregazione. Nel maggio 1706venne destinato come docente di retorica e prefetto dei convittori al collegio di Urbino, ma vi restò solo pochi mesi perché nell'ottobre ottenne di venir richiamato a Roma, mobilitando a questo scopo protettori influenti che intervennero sui suoi superiori: la capacità di allacciare rapporti significativi e di valersene, che compare in questo episodio e spesso nella sua vita successiva, coesistette in lui con un forte impegno di studio e di servizio per l'Ordine scolopio, e questa combinazione di fattori è alla base sia dei notevoli risultati che ottenne in seguito come dirigente di attività didattiche sia della sua ascesa.
Dopo il ritorno a Roma Clemente XI gli affidò l'educazione del nipote Alessandro Albani, futuro cardinale e suo protettore assiduo, e nel 1713 gli fece conferire la cattedra universitaria di retorica alla Sapienza. Al docente di retorica spettava, per consuetudine diffusa (si pensi al caso contemporaneo di Vico, a Napoli), di tenere ogni anno l'orazione latina per l'inaugurazione dei corsi; si offriva così l'occasione, a chi intendesse l'incarico non in una pura dimensione stilistico-esornativa, di fare il punto sui temi culturali ed ideologici di particolare rilevanza, e il C., pur entro un ambito rigorosamente ortodosso, l'affrontò con piena dignità. Le sue orazioni, che giungeranno al numero di ventitrè, sono quindi da leggersi non come semplici prove di virtuosismo stilistico (anche se furono prevalentemente apprezzate in quest'ottica), e neppure solo come esposizioni abili, ma pedisseque e conformiste, della posizione della Chiesa del tempo su temi educativi e di politica culturale; vi compare una coscienza culturale pronta all'utilizzazione di metodi e portati del nuovo razionalismo quando essi (come nel caso delle scienze naturali sperimentali, che il C. pregia) siano armonizzabili con i principî del cattolicesimo.
Le orazioni ebbero una fortuna vasta e duratura. Scritte senza esplicita destinazione editoriale, nei primi anni furono stampate isolatamente; si ebbe poi una prima edizione parziale (Paulini a S. Iosepho...Orationes XI, Romae 1727)ed una seconda (Paulini a S. Iosepho...Orationum tomus alter), edita a Roma nel 1748 e contenente altre dodici orazioni. Il primo volume fu ristampato integralmente nel 1728 a Lipsia dal filologo J. E. Kapp, che vi vide soprattutto un interessante esempio recente di stile latino; nel 1753 lostesso Kapp pubblicherà, ancora a Lipsia, le orazioni del secondo volume. D'allora in poi, anche per una favorevole recensione al volume del 1727 da parte degli Acta eruditorum (1727, p. 546), le orazioni del C. divennero uno dei testi più ricorrenti nell'uso didattico tra quelli del latino moderno, particolarmente nel mondo tedesco. Una edizione completa a cura di J. P. Miller uscì ad Ulma nel 1756(Paulini a S. Iosepho... Orationes XXIII habitae in Archigymnasio Romanae Sapientiae), ed avrà cinque ristampe fino al 1806; nel 1764 e 1773siebbero due edizioni complete a Venezia, ed un'altra a Marburgo ancora nel 1830.Diverse furono anche le edizioni parziali: da quella lipsiense del 1828 a cura di E. F. Vogel, contenente due orazioni (De forensi latinitate expurganda atque De usu et necessitate eloquentiae in foro), a quella di A. H. Matthiae nei suoi Eloquentiae latinae exempla (Lipsiae 1832, con cinque orazioni), a quella di A. Baumstark (Orationes latinae virorum recentioris aetatis disertissimorum, Friburgi 1835, con quattro orazioni).
La risonanza delle sue lezioni ed il successo delle orazioni fecero del C. quasi un'autorità ufficiale in materia di stile latino, ciò che gli valse contatti coi pontefici succeduti a Clemente XI; Benedetto XIV, tra gli altri, ricorse frequentemente a lui come consulente per la forma latina delle sue allocuzioni, e lo trattò molto familiarmente. L'attività didattica del C. non si svolse però solo alla Sapienza, né i suoi scritti si limitano alle orazioni: dopo il ritorno da Urbino la sua Congregazione gli affidò l'insegnamento della matematica al Nazareno, insegnamento che terrà per ventuno anni; nell'ambito di questo incarico rientra la stesura di due manuali di matematica esplicitamente previsti per l'uso didattico: le Institutiones arithmeticae (Romae 1733) e le Institutiones analyticae earumque usus in geometria (ibid. 1738).
Il carattere didattico, più che privare di importanza questi scritti, circoscrive l'ambito entro cui vanno valutati. Si è nella fase in cui, dopo l'opera dei pionieri secenteschi in matematica e fisica, si va costituendo un uso scolastico, con relativa dotazione manualistica, che gradualmente soppianta l'enciclopedia aristotelico-scolastica anche nella didattica secondaria; nasce quindi l'esigenza di passare da una lettura diretta delle opere originarie in cui sono dispersi i singoli contributi ad esposizioni di tipo sistematico-riassuntivo. In tale processo di costituzione della nuova trattatistica gli scritti matematici del C. rivestono, e non solo per l'Italia, un ruolo importante, grazie a pregi di chiarezza e ordine espositivo, e ciò risulta immediatamente anche dalla loro diffusione, che fu ricostruita dal Calò ed appare notevolissima. Le Institutiones arithmeticae, arricchite in seguito di appendici, avranno una seconda edizione romana (1749), tre napoletane (1755, 1778, 1786)e ben quattro veneziane (1761, 1770, 1782, 1795);le Institutiones analyticae, arricchite anch'esse d'una appendice De constructione problematum solidorum, avranno due altre edizioni romane (1745 e 1752), due napoletane (1755 e 1778), due veneziane (1770 e 1771) ed una viennese (1761).
Il C. scrisse un De locis geometricis ed un Calculus infinitorum, conservati con scritti minori nell'Archivio degli scolopi a Roma, in cui la sistemazione riassuntiva s'estendeva ai progressi tardosecenteschi dell'analisi, ma le due opere rimasero inedite; con esse, tuttavia, mostrava di muoversi nel senso del processo di rinnovamento della matematica italiana in atto ai primi del Settecento, com'è implicito anche nei rapporti che egli risulta aver avuto con un altro religioso protagonista di quel processo, Guido Grandi. L'attività didattica e di studio del C. non è tuttavia, globalmente considerata, che un momento della sua incessante attività entro l'Ordine scolopio, attività per la quale egli declinò offerte anche allettanti, come quella d'una cattedra di matematica da parte della Repubblica di Lucca. Nel maggio 1718 divenne rettore del Nazareno; nel febbraio del 1721, nominato provinciale romano degli scolopi, lasciò il rettorato per pochi mesi, riassumendolo nell'aprile con le dimissioni da provinciale e mantenendolo fino al 1724, quando fu sostituito anche per accuse di eccessiva severità da parte di alcuni convittori. L'abbandono fa però momentaneo, perché il C. riottenne l'incarico nel 1727 e lo mantenne fino al 1733, resistendo anche a pressioni tendenti a spostarlo ad altro incarico. Gli anni del suo rettorato furono tra i più positivi della storia del collegio, dato che egli si adoperò abilmente sul piano organizzativo per potenziarne le dotazioni e migliorare il corpo docente; ottenne più volte sovvenzioni dall'Albani, divenuto cardinale, e dai vari pontefici, realizzando l'acquisto d'una villa suburbana per le attività ricreative del Nazareno. Ancora nel 1741 otterrà l'aggregazione all'Arcadia dell'Accademia degli Incolti, facendola costituire in colonia distaccata.
Questo complesso di realizzazioni ed iniziative, oltre alla statura culturale del C., ne fecero con gli anni una delle figure di maggior spicco del suo Ordine, e nei capitoli generali del 1742 e 1748 fu molto vicino all'elezione a preposito generale; essendo il più anziano tra gli assistenti del preposito, dopo il 1748 agì occasionalmente da vicario generale, e lo sostituì stabilmente quando nel 1751 il Delbecchi fu nominato vescovo di Alghero. Come preposito generale egli mostrò le stesse doti di scrupolo ed operosità esibite in incarichi meno gravosi: ne sono prova una serie di documenti relativi a questo periodo studiati recentemente dal Sántha; per dedicarsi interamente al compito nello stesso 1751 il C. chiese ed ottenne dal pontefice la giubilazione dall'insegnamento universitario. La sua salute cominciò però a declinare verso la fine del 1753 e il C., presentendo la morte, ottenne da Benedetto XIV l'esenzione dall'obbligo vigente per i prepositi di lasciare i loro beni alla casa generalizia; donò così la biblioteca ed i suoi numerosi strumenti scientifici al collegio Nazareno.
Morì a Roma il 17 genn. 1754.
Fonti e Bibl.: Lettere e manoscritti del C. sono conservati a Roma nell'Archivio della casa generalizia degli scolopi di S. Pantaleo, Regestum Generalitatis, nn. 164-67, 206; Regestum litt.-scientificum, nn. 159 s.; Lucca, Bibl. governativa, ms. 577: T. Trenta, Origini,progressi e vicende dell'Accademia degli Oscuri. Discussione storica, p. 300; G. M. Crescimbeni, Arcadia, Roma 1711, p. 365; Id., Istoria della volgar poesia, VII, Venezia 1730, p. 415; I. G. Walch, Historia critica Latinae linguae, Coloniae 1734, p. 704; Novelle letter. di Firenze, V (1744), col. 258; IX (1748), col. 424; XVII (1756), coll. 725-31; G. Carafa, De Gymnasio Romano eiusque professor., Romae 1751, pp. 324-46; M. Guarnacci, Vitae et res gestae pontificum romanorum..., Romae 1751, II, p. 401; G. L. Bongiochi, Oratio in funere rever. p. C., Romae 1754; F. M. Bonada, Oratio in funere p. P. C. a S. Iosepho, Romae 1754; F. A. Zaccaria, Storia letteraria d'Italia, IX, Modena 1756, p. 503; G. L. Berti, Breviarium historiae ecclesiasticae, II, Pisis 1760, p. 340; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, p. 256; F. M. Renazzi, Storia dell'univ. degli studi di Roma, IV, Roma 1806, pp. 33, 106; F. E. Horanyi, Scriptores Piarum Scholarum liberaliumque artium magistri, I, Budae 1808, pp. 369-77; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1929, p. 529; P. Vannucci, Il collegio Nazareno, Roma 1930, pp. 132 s., 150, 265; G. Calò, Un umanista educatore del sec. XVIII. P. C. d. scuole pie, in Riv. pedagogica, XXV (1932), 2, pp. 5-47; L. Picanyol, Brevis conspectus historico-statisticus Ordinis Scholarum Piarum, Romae 1932, pp. 23 ss.; Id., L'eco dei nostri centenari, Roma 1949, p. 75; Id., Rerum Latinarum scriptores ex Ordine Scholarum Piarum, Romae 1956, pp. 161 s.; C. Boyer, History ofanalitic geometry, New York 1956, pp. 175 s.; G. Sántha, P. Paulinus C. a S. Ioseph,Ordinis Scholarum Piarum praepos. generalis XVIII, in Ephemerides Calasanctianae, 1969, pp. 129-40, 163-80, 205-21, 240-52.