BARBIERI, Domenico
Iniziò la sua attività tipografica a Bologna nel primo decennio del sec. XVII e la proseguì attivissima per oltre quaranta anni, sino alla morte che avvenne non prima del 1652. Commerciante di libri, oltreché tipografo, come ai suoi tempi comunemente accadeva, ebbe l'officina e il negozio presso San Momolo "sotto alle scuole, all'insegna delle due rose".
Le sue prime stampe, semplici e disadorne, risalgono al 1606; le proseguì gradualmente arricchendo e migliorando la sua attrezzatura tecnica, acquistando e facendo incidere quasi d'anno in anno nuove serie di alfabeti delle più svariate fogge, tanto da poter vantare tra il 1620 e il 1640 una scorta di caratteri adatti alle più varie pubblicazioni: da quelle frivole per "occasione" a quelle severe per il loro contenuto di dottrina. Nel periodo che già aveva visto scadere - e non solo in Italia - l'arte tipografica a quel grado che tristemente deplorava il Marino, il B. costituisce una nobile eccezione: egli volle ricollegarsi alla grande tradizione dei maestri scomparsi, ispirandO la sua attività ai modelli dei grandi stampatori bolognesi del Quattrocento e del primo Cinquecento, il cui esempio seppe ripristinare in maniera del tutto originale.
Molto curò i fregi con i quali adomare testate e pagine intere, tutti elegantissimi nella loro semplicità. Non sfruttava mai le serie dei suoi caratteri oltre un giusto limite, di guisa che le sue pagine sono chiare e nitide, anche per l'equilibrio armonioso tra bianco e nero. Usò come marca tipografica le due rose della sua insegna, con il motto: "Geminus Est Unus Odor".
Dopo la sua morte l'attività dell'azienda fu continuata dai figli, con la ragione sociale "Eredi di Domenico Barbieri", che dopo il 1680 divenne "Erede di Domenico Barbieri", non si sa se per la morte dei coeredi o per cessione delle loro quote. Cessò nel 1686. Nella loro attività ultra trentennale gli eredi del B. seguirono la tradizione paterna e pubblicarono, sia per ordinazione diretta degli autori, sia per conto di altri editori bolognesi - e soprattutto di quel ben noto e assai attivo Francesco Danico, detto Turrino -, talune edizioni di alto livello tipografico, oggi ricercate da studiosi e bibliofili. Le tre più notevoli sono: Felsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia (1678), libro dottissimo, fonte precipua per la storia dell'arte., ador no di numerosi e bellissimi ritratti di pittori; Precetti militari di Francesco Marzioli (1673) con tavole incise in rame; e quell'interessante libro - capolavoro tipografico - che è Aelia Laelia GrisPis non nata resurgens (1675) del conte C. C. Malvezzi, dedicato dall'autore al Colbert.
La marca tipografica usata dagli eredi del B. è la più elegante e strana che abbia usate, uno stampatore bolognese: il motto "Bononia docet" circonda un inviluppo di caratteri sul tipo delle "thoughret" turche, assai decorativo, ma assolutamente indecifrabile.
Bibl.: A. Sorbelli, Storia della stampa in Bologna,Bologna 1929, 1, 143 S.