DITTICO
D., in latino diptychum, deriva dalle parole greche δίς e πτύσσειν con le quali originariamente poteva essere indicato qualsiasi oggetto piegato in due parti. Soltanto nella tarda antichità la parola assunse un significato più ristretto e indicò un oggetto usato per la scrittura, consistente di due valve uguali, e chiudibile. In origine i Greci chiamavano le tavolette per la scrittura δέλτοι o πίνακες il latino classico adoperava per esse le parole tabellae, pugillares e codicilli (Dict. d'Archéol. Chrét. et de Liturgie, iv, i, c. 1046).
Come materiali furono impiegati il legno, il bronzo, qualche metallo nobile, eventualmente l'avorio. I lati interni delle valve, riunite per mezzo di cerniere, erano spalmati di uno strato di cera in cui, con lo stilo, venivano incisi i segni grafici: delle asticelle sui margini proteggevano lo scritto. I dittici venivano chiusi con cordini o con nastri e di solito assicurati alla cintura. I dittici di lusso, intagliati in avorio, in uso alla fine del IV sec., erano in origine policromi e dorati (Delbrück, Cons. Dipt., p. 21); la loro grandezza oscilla tra i 25-41 cm di altezza e i 10-15 cm di larghezza - nel caso di tavole a più parti la larghezza può raggiungere i 35 cm. A questo riguardo i dittici più grandi sono, in generale, quelli di epoca più tarda (Delbrück, op. cit., p. 21).
La storia dell'arte impiega il termine d., conformemente al significato originale, anche per indicare opere di intaglio in avorio su battenti chiudibili e di pittura su tavole, rappresentate soprattutto dagli altarini da viaggio bizantini e gotici.
Il primitivo uso dei dittici risale al VI sec. a. C. Furono utilizzati per esercizî di scrittura a scuola, per schizzi e minute e per la corrispondenza. Erano usati anche per la trascrizione di impegni di pagamenti e di ricevute (ad esempio se ne trovarono di simili nella Casa di L. Cecilio Giocondo a Pompei), per documenù e protocolli e per la redazione di liste nelle quali dovevano facilmente intervenire dei cambiamenti (Pauly-Wissowa, v, c. 1163). Anche questi dittici, che servivano a scopi eminentemente pratici, erano in parte di avorio: così le tavole dì scrittura di Childerico (Delbrück, op. cit., p. 9) e i calculi eburnei, che a Cartagine furono impiegati per la lista dei proconsoli (ivi, p. 10).
Dal IV sec. d. C. i dittici acquistarono una grande importanza nella vita politica e sociale. Soprattutto dalle figure di insegne della Notitia dignitatum (Codice parigino, ed. Omont, tav. 31, 32 - Impero d'Oriente -; tav. 75, 76 - Impero d'Occidente) conosciamo i dittici codicillari che contenevano i decreti imperiali. Formato e guarnizioni differivano a seconda del grado del possessore o degli ufficî cui erano destinati (Delbrück, Cons. Dipt., p. 5, figg. 1, 2). Non si sono conservati esempî di questa specie.
Il Delbrück chiama "dittici per cariche" (Amtsdiptychen) i dittici che venivano regalati all'inizio dell'anno, al momento di assumere una carica. Una legge imperiale del 384 (Cod. Theod., 15, 9, 1) permetteva di regalare dittici in avorio solo ai consoli e in occasione dell'assunzione della carica, mentre per gli altri funzionarî era necessaria una particolare dispensa imperiale. L'ottenne, ad esempio, Probiano, verso il 400, come vicario della città di Roma (Delbrück, Cons. Dipt., p. 6 s.). Pare che i dittici per cariche fossero ornati diversamente a seconda del rango di coloro ai quali venivano regalati, dato che presso non pochi consoli appaiono parecchi tipi di dittici (ad esempio, per Severo verso il 400 e per Areobindo verso il 506). Il Delbrück (op. cit., 10-16) tenta la seguente classificazione: tipo privo di ornamenti fino alle iscrizioni, destinato probabilmente a privati (d. di Severo, Lipsia, Stadtbibliothek); tipo a medaglione, senza o con il ritratto del console, per i senatori (Areobindo, Parigi, Louvre; Sividio, Parigi, Bibliothèque Nationale); tipo a grandi figure - il console siede sul trono o è raffigurato in piedi (in Occidente più frequentemente: Felice, Parigi, Bibl. Nat.; Boezio, Brescia) - o tipo tribunizio - nella parte superiore, il console siede sul trono, mentre in quella inferiore sono raffigurati i giochi e la elargizione dei regali (predomina a Costantinopoli: Areobindo, Zurigo; Clementino, Liverpool) - destinato forse ad alti funzionarî. All'imperatore venivano offerti per lo più dittici a cinque parti riccamente ornati (d. Barberini, Parigi, Louvre) con l'immagine del sovrano incoronato da Vittorie e di barbari che rendono omaggio.
Il Delbrück (Cons. Dipt., 8 s.) suppone che, nel periodo dal 382 (provvedimenti di Graziano contro il culto pagano; rimozione della statua della Vittoria dalla Curia) fino, al massimo, al 410 (sacco di Alarico), allorché le famiglie dell'alta nobiltà si assunsero il compito di tutelare i culti degli dèi, a Roma anche i sacerdoti degli dèi regalassero ai compagni di fede e di ceto, in occasione dell'assunzione d'una carica, dittici con figurazioni relative ai culti pagani (ad esempio il d. dei Nicomachi e dei Simmachi, c. 400, Parigi, Musée de Cluny e Londra, Victoria and Albert Museum; d. di Asklepios e Igea, c. 400, a Liverpool).
In conformità all'uso originario di dittici per le registrazioni documentate e per le liste di nomi, anche la chiesa primitiva impiegava i dittici per gli atti ufficiali. Portavano le indicazioni ἰεραὶ δέλτοι, μυστικὰ δίπτιχα, ἐκκλησιαστικοὶ κατάλογοι, ecc. Vi furono, come dimostrano questi termini, diverse categorie. Per il loro carattere liturgico sono particolarmente importanti: 1) i dittici su cui venivano iscritti i nomi dei membri viventi della comunità; 2) i dittici con l'elenco dei nomi di membri della comunità deceduti; 3) i dittici con i nomi dei vescovi precedenti; in queste liste di vescovi furono infine inclusi anche i nomi dei santi di cui si voleva, in particolare, ottenere l'intercessione.
La lettura dei dittici aveva luogo durante la celebrazione della messa e nelle singole province ecclesiastiche secondo i diversi riti (cfr. per notizie più particolari Cabrol e Leclercq, Dict. d'Archéol. Chrét. et Liturgie, iv, 1, c. 1058 ss.).
I dittici liturgici all'inizio erano probabilmente privi di ornamenti, nondimeno ne conosciamo alcuni di avorio con rilievi figurati sin dalla fine del IV sec. Uno dei più antichi è il d. di Adamo e Paolo nel Museo del Bargello a Firenze (vol. i, fig. 1187). Lo schema iconografico dei dittici ecclesiastici appare spesso ispirato ai dittici profani. Al posto dei consoli appaiono apostoli o santi, Cristo e Maria subentrano ad imperatori e imperatrici, angeli sostituiscono le Vittorie, i Magi prestano omaggio come i barbari.
Nel VII sec. si abbandonò certamente la fabbricazione dei dittici. Le necessità erano mutate. Dall'ambiente laico non pervenivano più ordinazioni, dato che nel 541 insieme ai consolari dati a privati terminano anche i dittici consolari (Delbrück, in Felix Ravenna, viii, 1952, p. 5). La chiesa sostituì la lettura dei dittici con brevi commemorazioni, che furono inserite nei testi fissi dei formularî delle messe (cfr. Cabrol-Leclercq, op. cit., iv, 1, col. 1049 s.), mentre le liste dei nomi, divenute troppo voluminose, furono registrate in codici (ibidem, c. 1061 ss.; Volbach, in Reallexikon, c. 54). Pare tuttavia che vi siano state eccezioni: un d. del X sec., ora nella Biblioteca Vaticana, riferito stilisticamente alla scuola di San Gallo, ha certo servito a scopi profani (Goldschmidt, Elfenbeinskulpturen, i, n. 175); come altro esempio può essere nominato la valva destra di un d. bizantino del gruppo di Romano (X sec.), nel museo di Gotha, di cui la parte opposta, ora perduta, si trovava nel Museo F. M. Fiorentini di Lucca. Forse era il d. da scrittura di un imperatore (GoldschmidtWeitzmann, Byz. Elfrnbein-skulpturen, ii, n. 36-37).
Nel Medioevo sopravvisse l'antica tradizione di collocare su rilegature di libri valve di dittici del periodo tardo-antico o rilievi d'avorio che le imitavano. Sul d. quindi non si scriveva più, ma anche se esso serviva come accessorio ornamentale rimaneva però, almeno esteriormente, collegato con la scrittura.
Storia dell'arte. - Un esame storico-artistico dei dittici può naturalmente essere rivolto unicamente a quelli d'avorio, come si preferivano alla fine del IV secolo. Tra i dittici di lusso, conservati in gran numero, quelli consolari provenienti da Roma e, rispettivamente, da Costantinopoli (Delbrück, Gons. Dipt., p. 23) hanno un particolare valore scientifico. Con essi si possono spesso confrontare opere non datate e riunire in gruppi. Formano così la base di una cronologia relativa.
Certo l'incertezza della localizzazione resta sempre notevole, per il fatto che maestri di origine diversa spesso lavorano nello stesso luogo o per il motivo che lo stesso stile si diffonde ampiamente con il commercio e con gli artigiani girovaghi.
In generale si nota che le iscrizioni, quasi senza eccezione, latine, dei dittici occidentali incominciano sulla valva postica, con il che questa parte è caratterizzata come la valva principale, mentre le iscrizioni dei dittici orientali incominciano sulla valva anteriore (Delbrück, Cons. Dipt., p. 16). I centri della produzione erano Roma, Costantinopoli, Alessandria, Milano e Ravenna; anche Treviri, che però era soggetta a forti influssi dell'ambiente artistico orientale, e inoltre Arles. Si presume anche l'esistenza di laboratorî a Gerusalemme e ad Antiochia, ma ciò non è provato.
La seguente breve esposizione mira a dimostrare, con alcuni importanti esempî, quanto sia sempre problematica l'indagine riguardante la data e la localizzazione dei dittici eburnei del periodo tardoantico.
1. Impero d'Occidente. Roma. - I dittici di Probo del 406 (Aosta, tesoro del Duomo) e di Probiano del 400 circa (Berlino, Staatsbibliothek) mostrano lo stile classicistico del periodo di Onorio. Ad essi si debbono ricollegare i dittici sacerdotali già citati dei Nicomachi e dei Simmachi e di Asklepios e Igea. Tra i dittici ecclesiastici questo gruppo sembra rappresentato dal frammento centrale di un d. a cinque parti con l'ascensione di Cristo e le donne sulla tomba (Monaco, Museo Nazionale: tavola di Reider) a cui appartengono anche due valve laterali con scene della vita di Cristo (Berlino, Bode già Kaiser Friedrich-Museum e Parigi, Louvre) che però da alcuni studiosi (v. ad esempio: Volbach, Kat., nn. 110, 112 e 113) sono assegnate all'ambiente artistico dell'Italia settentrionale. Nella seconda metà del V sec. si fa sentire a Roma l'influsso orientale (alessandrino?): dittici con Roma e Costantinopoli (Vienna, Kunsthistorisches Museum); di Boezio (487; Brescia, Museo Cristiano, che mostra tuttavia un proprio stile pesante e severo). Alla fine del periodo romano il d. di Oreste (530; Londra, Victoria and Albert Museum) per il suo aspetto piatto e per i suoi eleganti particolari mostra la sua dipendenza dalla officina di Costantinopoli (cfr. d. di Clementina, anteriore al 513, a Liverpool).
Milano. - Come principale esempio della scuola milanese, derivata soprattutto da Roma e da Costantinopoli, va segnalato il d. di Stilicone del 400 circa (Monza, tesoro del Duomo). Anche il d. del Poeta e della Musa (Monza, tesoro del Duomo), recentemente attribuito dal Wessel (Studien, ii, 17 ss.) al rinascimento giustinianeo e localizzato a Costantinopoli, si assegnerà più giustamente, d'accordo con il Weitzmann, lo Schultz (Jahrbuch, 1934, p. 128 ss.) e il Volbach (Kat., n. 68), alla corrente classico-pagana di Roma o dell' Italia settentrionale (v. avorio, tavola a colori). Tra i dittici ecclesiastici, è originario certamente di Milano quello a cinque parti con la croce e l'agnello divino (del 500 circa; Milano, tesoro del Duomo). Confronta inoltre, negli esempî romani, quanto detto sull'assegnazione del pezzo centrale di Monaco e di ambedue le parti laterali (Berlino-Parigi).
Ravenna. - Per l'affinità con la plastica dei sarcofagi ravennati si possono associare alla scuola ravennate il d. che rappresenta, secondo il Delbrück, Costanzo III, all'incirca nel 417 (Halberstadt, tesoro del Duomo), tre parti di un d. imperiale della metà del V sec. (Monaco, Staatsbibliothek), e infine il d. di Patricio (Novara, tesoro del Duomo). Non si possono localizzare con sicurezza dittici ecclesiastici a Ravenna, tuttavia resta da considerare se non provengano da questa città la valva di dittico con la figura di Cristo, da Murano (Ravenna, Museo Naz.) insieme a quella con Maria (Manchester, J. Rylands Library), ritenute siro-egiziane oppure, recentemente, copte (Wessel, Studien, 1).
Gallia. - Probabilmente il d. di Asturio (v.) del 449, nel Landesmuseum di Darmstadt, è originario di Arles e quello di Costanzo III (417; Berlino, Antiquarium) di Treviri. Anche per i due dittici con Pietro e Paolo (seconda metà del V sec., Rouen, bibl. cittadina, e New York, Metropolitan Museum) il Volbach, data l'affinità con la plastica dei sarcofagi, propone (Kat., nn. 147 e 146) una localizzazione nella Gallia, le tavole a Tongern dello stesso genere, del VI sec., con i prìncipi degli Apostoli (Notre-Dame, tesoro, e Bruxelles, Musée du Cinquantenaire) potrebbero essere state eseguite a Treviri (Volbach, in Reallexikon, p. 54), ma potrebbero anche essere state importate dall'Oriente.
2. Impero d'Oriente. - Mentre la maggior parte delle opere dell'Occidente a noi pervenute è della fine del IV e del V sec., la tradizione dei dittici orientali incomincia sicuramente solo con quelli di Areobindo (v.) nel 506, dunque all'inizio del VI secolo.
Costantinopoli. - Per il V sec. l'evoluzione stilistica dell'intaglio in avorio nella capitale dell'Impero orientale è comprensibile solo per via di ipotesi. La parte destra del d. con l'immagine dell'arcangelo nel British Museum di Londra, vista dal Delbrück come parallela al classicismo romano della prima metà del secolo, già dal Weigand (Krit. Berichte, p. 56) è attribuita al principio del VI secolo. Recentemente il Loos-Dietz (Ivoren, p. 138 ss.) e il Wessel (Studien, ii, p. 5) la datano, a causa della mancanza di senso dello spazio, nel periodo giustinianeo; il Vasil'ev la attribuisce a Giustino I (Justin the First, Cambridge Mass. 1952, Appendix1). Rimangono i frammenti di dittici imperiali a più parti lavorati in uno stile elegante pur nella sua aridità (Amburgo, bibl. statale; Bologna, Museo Civico), che forse risalgono alla metà del V secolo. Una base più sicura offrono solo i dittici consolari di Areobindo (ad es. Zurigo, Landesmuseum) e i contemporanei dittici imperiali: quello della Collezione Barberini (Parigi, Louvre; v. fig. 179), sul quale il Delbrück riconosceva, con buone ragioni, (Felix Ravenna, 8, lix, 1952, p. 5 s.) l'imperatore Zenone, mentre il Loos-Dietz e il Wessel (op. cit.) parlano di Giustiniano e il Volbach di Anastasio; inoltre ambedue le tavole in cui si suppone sia rappresentata l'imperatrice Ariadne (v.) (Firenze, Bargello; Vienna, Kunsthistorisches Museum).
Il Delbrück riconosce in questi pezzi testimonianze dello "stile imperiale orientale", cioè dell'officina imperiale a Costantinopoli con influssi alessandrini (Cons. Dipt., pp. 25, 29). Con i dittici di Clementino (513, Liverpool); Anastasio (517; Parigi, Bibliothèque Nationale) e Magno (518; ibidem) si raggiunge invece uno stile tutto in superficie molto prezioso. Questo stile continua nei dittici di Giustiniano (521; Milano, Trivulzio; Parigi, Cabinet des Médailles) e si irrigidisce nelle tavole di Filosseno (525; Parigi, ibidem; Milano, ibidem), di Apione e di Giustino (540; Berlino, Musei). Nella serie dei dittici ecclesiastici conservati del tipo a cinque parti con Cristo e Maria, in generale giudicati lavori orientali del V e VI sec., il d. di Ečmiadzin a Erivan e un d. a Parigi (Bibliothèque Nationale, legatura del codice Lat. 9384) sono interpretati dal Delbrück (Felix Ravenna, p. 13 ss.) come creazione di una corrente provinciale dell'Asia Minore attiva nella capitale, in base alla loro somiglianza con il d. Barberini, dimostrabile nei particolari, nonostante la scarsissima qualità dei due dittici. Ad un intagliatore bizantino della capitale, all'inizio del VI sec., è anche attribuito (Weigand, op. cit., p. 56; Volbach, Kat., n. 137) il d. con Cristo tra i ss. Pietro e Paolo e Maria tra gli angeli, di Berlino (già Kaiser Friedrich Museum).
Egitto, Siria, Palestina e Asia Minore. - Molti studiosi hanno ripetutamente tentato di attribuire diversi dittici all'ambiente artistico egiziano. Così, ad esempio, un tempo E. Capps postulava l'origine egiziana di tutti i dittici consolari romani d'Oriente (Cons. Diptychs, in Art Bulletin, x, 1927, p. 61). Il Delbrück (Cons. Dipt., p. 25) ritiene il d. di Roma e Costantinopoli (Vienna, Kunsthistorisches Museum) e quello di Severo (Bologna, Museo Civico) lavori di un artista alessandrino del 470 circa a Roma. Anche l'intero gruppo dei dittici a cinque parti con Cristo e Maria, del V e VI sec. più o meno conservati e per i quali non è stata ancora definitivamente fissata la località, furono spesso attribuiti, e ultimamente dal Wessel (Studien, i, p. 69 ss.), ad una scuola d'intaglio copta. Allo stesso gruppo I. Strzygowski (Kopt. und hellenist. Kunst, p. 88), O. Wulff (Handbuch, i, p. 191 ss.) e E. Diehl (Manuel, ii) attribuirono una provenienza siro-palestinese; O. Pelka (Elfenbein2, p. 40) pensò all'Armenia, E. Weigand (op. cit., p. 57) indicò persino Gerusalemme e F. Volbach richiama, per alcuni pezzi, l'attenzione sulla possibilità di una origine caucasica (scene di Maria, Mosca già Coll. Uwarow; Cristo in trono, Parigi, proprietà privata; v. Volbach, Kat., 145; d. a cinque parti, Parigi, Bibliothèque Nationale).
Il d. con la caccia ai leoni (Leningrado, Ermitage) può essere considerato (cfr. Delbrück, Cons. Dipt., n. 6o; Volbach, Kat., n. 60) lavoro siriaco della prima metà del V sec.; O. Dalton (Ivory Carvings, p. 4) e R. Delbrück propongono questa localizzazione anche per il piatto d'avorio frammentario con Bellerofonte (Londra, British Museum), del V secolo. Anche altri dittici sono attribuiti alla Siria, mai però senza motivati contrasti. In ogni caso si dimostra estremamente difficile separare chiaramente i lavori dell'Egitto e della Siria, paesi che hanno avuto un animato scambio culturale, oppure distinguere le opere indigene da quelle che sono state create altrove sotto le influenze rispettivamente egiziana e siriaca.
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