disubbidienza civile
Il rifiuto da parte di un gruppo di cittadini organizzati di obbedire a una legge giudicata iniqua, attuato attraverso pubbliche manifestazioni. La locuzione (civil disobedience) fu introdotta nell’Ottocento, negli USA, da H.D. Thoreau, imprigionato per essersi rifiutato di pagare le tasse in occasione della guerra contro il Messico. La d.c. acquistò tuttavia ampia risonanza politica nel corso degli anni Venti del 20º sec. in India dove si affermò un movimento di resistenza passiva, cioè di non cooperazione con il governo inglese, proclamato su ispirazione del Mahatma Gandhi, nel nov. 1921, dal comitato del Congresso panindiano di Delhi. Iniziato con la salt tax protest march (processione dall’interno alla costa per raccogliere il sale marino, contro il monopolio britannico), si manifestava con atti di vario genere: dallo stendersi sulle rotaie per impedire il passaggio dei treni al boicottaggio dei prodotti britannici. Gandhi stesso, nel marzo 1930, estese la d.c. a ogni attività in rapporto col governo; tale movimento di resistenza ebbe una parte di rilievo nel lungo processo che ha condotto all’indipendenza dell’India. Negli anni Sessanta la d.c. ebbe ampia diffusione negli USA a opera del promosso da M.L. King, che diede vita a una serie di lotte non violente contro la discriminazione razziale. Anche la guerra nel Vietnam portò a un vasto movimento di d.c. da parte dei giovani che si rifiutavano di ottemperare all’obbligo del servizio di leva. In Italia, oltre a casi simili (da cui la legge sull’obiezione di coscienza), campagne di d.c. furono condotte soprattutto dal Partito radicale negli anni Settanta (ad es. per la liberalizzazione delle droghe leggere) e dal movimento pacifista negli anni Ottanta («obiezione fiscale» alle spese militari).