Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sin dal XIV secolo gli arsenali hanno costituito un caso esemplare di protoindustria, ma solo nel Settecento diventano la chiave innovativa degli eserciti. Con la rivoluzione della tecnica anche l’industria militare si rinnova, passando “dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”: le canne dei cannoni si “rigano” e si rinforzano, si moltiplica la potenza di esplosivi e propellenti, si affina la precisione di tiro. La competizione tra Inghilterra, Germania e Francia prelude ai conflitti che caratterizzeranno l’alba del XX secolo.
I cannoni
In America, nel 1811 il maggiore del Genio George Bomford costruisce un cannone in grado di lanciare granate di grandi dimensioni (con calibro da 8 e 10 pollici): “the Columbiad”, così chiamato in onore dell’omonimo poema di Joel Barlow, unisce le caratteristiche del cannone e dell’obice, con una canna lunga e una camera di scoppio, e per le sue dimensioni rimane un pezzo da difesa costiera. Nello stesso anno, a Essen – nella Prussia renana – Friedrich Krupp fonda una fabbrica metallurgica destinata a diventare il simbolo della produzione europea di cannoni.
La rigatura delle bocche da fuoco, necessaria per imprimere al proiettile una rotazione intorno al proprio asse, onde stabilizzarne il moto, era problema già noto da tempo, ma solamente nel 1833 il generale piemontese Giovanni Cavalli riesce a sperimentare una bocca da fuoco con queste caratteristiche. I primi proiettili di forma sferica non garantiscono però un buon forzamento dentro la canna ed è nel 1846, a Torino, che Cavalli progetta un efficiente cannone a retrocarica, ad anima rigata e a proiettile di forma cilindro-ogivale, che viene impiegato per la prima volta nell’assedio di Gaeta (1860).
Giovanni Cavalli perfeziona poi nel 1849 un nuovo sistema di “carica attraverso la culatta”, ossia la parte posteriore del cannone.
Altri sistemi di chiusura per cannoni a retrocarica sono quelli brevettati da Wahrendorf (adottato negli anni Sessanta dall’Austria), il sistema Armstrong, il sistema Whitworth, il sistema De Bange e il sistema Krupp.
Nel 1844 il Columbiad subisce nuove modifiche che ne aumentano la massa e la lunghezza. Il capitano Thomas J. Rodman, ufficiale di artiglieria dell’esercito degli Stati Uniti, introduce un nuovo sistema di fusione del cannone ad anima cava (fusione a nocciolo). Durante il raffreddamento della colata, che viene prolungato sino a 20 ore, un apposito sistema ad acqua permette di ridurre le dispersioni di calore sul lato esterno della canna che si raffredda così dall’interno all’esterno. Le lunghe esperienze di Rodman, condotte su modelli di cannone sperimentale, permettono di dimensionare le sezioni rastremate della canna, in modo da ottimizzarne la resistenza meccanica alle sollecitazioni. Anche i cannoni ad anima liscia (sistema Paixhans), come quello sviluppato dal comandante John A. Dahlgren, continuano a essere usati con successo nella Marina degli Stati Uniti e sono in grado di sparare granate da 170 libbre.
Il sistema di rigatura francese, studiato e sperimentato da Tamisier nel 1850, perfezionato da La Hitte, con sei rigature (contro le due del sistema Cavalli) presenta il vantaggio di essere applicato anche alle bocche da fuoco di bronzo ed è adottato ben presto da molte artiglierie con poche modifiche. L’arma viene sperimentata sui campi di battaglia lombardi nel 1859; il proiettile riceve la rotazione attorno al suo asse per mezzo di 12 protuberanze di zinco, a bottone, che si impegnano nelle rigature della canna.
All’Esposizione di Londra del 1851 Krupp presenta al pubblico un gigantesco cannone del peso di 4.300 libbre, costruito da un unico blocco di acciaio fucinato. Nel 1855, in Inghilterra, William Armstrong sviluppa un cannone con la canna interna in acciaio, mentre la camicia e le cerchiature sono in ferro fucinato. Amstrong fonda una fabbrica d’armi anche in Italia, a Pozzuoli.
Nel 1861 cannoni di ghisa con la culatta cerchiata in ferro fucinato vengono brevettati da Robert Parker Parrott, sovrintendente della fonderia di cannoni di West Point, nello Stato di New York. Anche la Francia, che sinora ha dovuto riconoscere la supremazia di Inglesi e Tedeschi, all’Esposizione di Parigi del 1855 presenta un cannone costiero del peso di 37 tonnellate e con un calibro di 42 centimetri, in grado di lanciare un proietto da tre quintali alla distanza di 7.800 metri. Nello stesso padiglione, però, la Krupp espone un pezzo costiero del peso di 70 tonnellate, con una gittata del 50 percento superiore a quello francese.
L’evoluzione tecnologica dell’artiglieria
Nella seconda metà del XIX secolo ormai non si fondono più artiglierie in bronzo entro forme di terra e nei casi in cui si utilizza questa lega si fa ricorso alla “fusione in pretella” (o “conchiglia”). Gli stampi in ghisa, che costituiscono le parti dello stampo, fungono da forma e da modello; prima della colata si spalmano con una vernice composta da grafite liscivata, che impedisce l’aderenza della fusione alla conchiglia. La rapidità con cui avviene il raffreddamento evita il fenomeno della liquazione, ossia della separazione dello stagno dalla lega: una pretella può essere riutilizzata sino a 60 volte. Il getto diretto (senza anima) prevede la colata attraverso la bocca della forma e, poiché nel getto a nocciolo non è possibile effettuare la colata dalla bocca, si fa giungere il metallo nella forma dal basso verso l’alto, attraverso un condotto (sifone) che scorre verticalmente a fianco della forma e fa capo a un foro laterale, praticato in prossimità del fondo della forma; se la bocca da fuoco ha lunghezza considerevole, si usano più sifoni. Le forme sono sempre disposte con la culatta in basso, perché la pressione del metallo fuso favorisca la compattezza del metallo laddove è richiesta la migliore resistenza meccanica. Nelle bocche da fuoco in acciaio il getto è diretto, perché le operazioni di martellamento successive devono essere compiute su una struttura massiccia e non cava.
Alla fusione seguono le operazioni di trapanatura, alesatura, rigatura e rifinitura che possono essere effettuate sia con la bocca da fuoco ancorata a un bancale, sia con la bocca da fuoco in movimento, ancorata a un albero rotante.
Per le bocche da fuoco in acciaio è necessario procedere a una forgiatura al maglio, per conferire al metallo la dovuta omogeneità e per eliminare le eventuali soffiature. La bocca da fuoco, tolta dalla forma, viene nuovamente riscaldata e quindi posta sotto un maglio di potenza. Intorno al 1875 sono in funzione un maglio da 80 tonnellate a Le Creusot – in Francia – e nelle officine di Perm – in Russia – uno da 150 tonnellate. Presso le officine di Sir John Whitworth a Manchester, mediante un torchio idraulico, si comprime la forma prima che il getto incominci a raffreddarsi; ma questo metodo è applicabile solamente ai getti più piccoli.
La cerchiatura delle artiglierie può eseguirsi a freddo, tra superfici di forma leggermente tronco-conica, per mezzo di presse idrauliche, ma più spesso si opta per il forzamento a caldo. Per le bocche da fuoco in bronzo, nell’Ottocento si procede ancora alla dilatazione meccanica dell’anima, onde ottenere il calibro desiderato, per forzamento interno. All’uopo si utilizzano tronchi di cono in acciaio che, a più riprese, sono infilati nell’anima per mezzo di un attuatore idraulico. I migliori risultati si ottengono mantenendo costretta la bocca da fuoco entro una robusta matrice metallica.
L’artiglieria fucinata, secondo una tecnologia di largo impiego in Inghilterra, viene realizzata in diverse fasi: la fucinatura, la lavorazione dei manicotti (coils), la composizione della bocca da fuoco e la lavorazione interna dell’anima. I manicotti si ottengono per arrotolamento di una sbarra di acciaio fucinato (wrought bar iron), lunga circa otto metri, attorno a un cilindro (mandril); l’operazione, che avviene a caldo, è seguita da un riscaldamento “al calor bianco” e da una successiva lavorazione al maglio, in modo da saldare tra di loro le spirali. Il manicotto esterno che rinforza la culatta nelle bocche da fuoco Armstrong e Fraser (detto breech coil ovvero jacket) si compone di tre parti distinte saldate insieme: un manicotto doppio anteriore (double coil), un cerchio a orecchioni (trunnion ring) e un manicotto triplo posteriore (triple coil). Ultimata la fucinatura dei manicotti, si procede alla loro lavorazione meccanica (tornitura) interna ed esterna, per portarli al diametro voluto e soprattutto per eseguire le gole di incastro. La composizione della bocca da fuoco si esegue applicando intorno al tubo interno di acciaio, con l’anima già trapanata, il primo strato di manicotti e i successivi, praticando il voluto forzamento.
Al termine di queste operazioni si avvita sul fondo del tubo di acciaio un vitone (cascable), che completa posteriormente la culatta.
Per aumentare la potenza di tiro si sviluppano i cannoni “a soppressione di vento”. Essi devono garantire la tenuta tra la canna e il proiettile per tutta la sua permanenza all’interno del cannone. Il proiettile viene così “incamiciato” o fornito di “corone” di metallo deformabile che viene forzato contro la parete dell’anima. Le rigature si infittiscono e diminuiscono di profondità, per ridurre al minimo gli attriti. Nel 1861, nelle loro artiglierie a retrocarica i Prussiani adottano dei proiettili con incamiciature di piombo, ma i risultati non sono quelli sperati: le canne “si impiombano”. Nel 1873, tanto i Prussiani quanto i Francesi cominciano a usare camicie sottili di piombo all’antimonio, ma presto anche questa soluzione viene abbandonata e vengono adottati i proiettili con corone di rame. Henri Schneider Le Creusot, succeduto al padre Eugéne nel 1875 alla conduzione del più grande impianto siderurgico francese, entra in competizione con i Krupp.
Nel 1878 inaugura il gigantesco maglio a vapore e nel 1889 può vantare il record di consegne all’esercito francese: 5.165 bocche per l’artiglieria terrestre, 500 pezzi per l’artiglieria marina e costiera e 2.118 affusti. La gara tra i cannoni giganteschi continua e all’Esposizione di Chicago del 1893 Krupp presenta un cannone da 127 tonnellate con una gittata di 15 km. La corsa agli armamenti continua.
L’evoluzione tecnologica delle armi leggere
Anche nella realizzazione di armi leggere si raggiungono significativi progressi tecnologici: le armi da fuoco a canna lunga vengono dotate di un “fuoco a raffica” che segna la nascita della mitragliatrice moderna. L’arma – che concettualmente ha origini rinascimentali – viene realizzata nel 1856 dall’americano Charles Emerson Barnes con un otturatore a manovella e modificata successivamente da E. Ripley che nel 1860 reintroduce la canna multipla. La mitragliatrice a 10 canne rotanti è brevettata nel 1862 da Richard Gatling, medico americano schierato con gli unionisti del Nord durante la guerra civile americana: Gatling è convinto che con la sua invenzione si possano ridurre le perdite di soldati nei conflitti a fuoco. Per la prima volta quest’arma fa uso di cartucce con bossolo metallico e ha una velocità di tiro di 350 colpi al minuto. La mitragliatrice Gatling subisce ben cinque innovazioni che migliorano le sue prestazioni: la versione Nordenfeldt a fuoco di volata (1879), la mitragliatrice leggera Gardner per i fucilieri di marina (1879), la versione “ultrarapida” Lowell (1879), la versione Wilder con tamburo a revolver (1880) e la versione Bailey con caricatore a nastro (1880). Sostanziali innovazioni vengono apportate all’arma nel 1884 da Hiram Steven Maxim, che si guadagnerà il titolo di baronetto. In seguito la mitragliatrice diventa completamente automatica e sfruttando l’energia dei gas prodotti nell’esplosione arriva a ridurre sostanzialmente il rinculo, dotandosi di un ammortizzatore idraulico: la velocità di tiro sale a 6-700 colpi al minuto. Nel 1885 viene ulteriormente modificata e perfezionata da John M. Browning.