DISEREDAZIONE (lat. exheredatio)
Dichiarazione contenuta in un testamento e diretta a spogliare della qualità di erede, con tutte le sue conseguenze, taluno a cui detta qualità è attribuita dal diritto oggettivo, o magari dal testamento stesso. (Quest'ultima ipotesi si verifica, per es., se il testatore impone all'erede istituito la forma solenne dell'accettazione, cretio, aggiungendo che se non la esegue cesserà di essere erede: quod ni ita creverit, exheres esto).
Nel diritto romano antico e classico, l'istituto dell'exheredatio è in massima un compromesso fra la norma del primitivo costume, per cui i discendenti in potestà del paterfamilias erano senz'altro e necessariamente i suoi eredi, e la libertà di disporre che in seguito si è riconosciuta ai testatori. Per effetto del compromesso, il padre testatore ha per ogni discendente in potestà la scelta fra l'istituirlo erede e il diseredarlo: se si decide per l'istituzione, non ha rilevanza la frazione (anche minima) in cui lo chiama all'eredità, né che alle altre quote chiami altri discendenti od estranei; se invece non crede d'istituirlo (ed anche se eventualmente l'onora di legati e fedecommessi cospicui), è tenuto a pronunciare nel testamento il solenne exheres esto.
Tale trattamento è obbligatorio non solo nei riguardi dei discendenti già nati all'atto della confezione del testamento, ma anche di quelli che siano in tal momento allo stato di concepiti, anzi - come pare - di tutti quelli che siano concepiti alla morte del testatore: sempre, s'intende, che gli uni e gli altri vengano poi a nascimento.
Le formalità della diseredazione e le conseguenze dell'eventuale preterizione sono diverse secondo che il discendente non istituito nè diseredato è un figlio (in senso stretto) oppure altro discendente (figlia, nipote di qualunque sesso). Nel primo caso, la diseredazione va fatta nominatim, cioè col nome o, specialmente se si tratta di un postumo, con frase che nettamente designi la persona; nel secondo caso, basta la cosiddetta exheredatio inter ceteros, o complessiva: ceteri omnes exheredes sunto. D'altra parte, il testamento in cui sia passato sotto silenzio un figlio è radicalmente nullo (iniustum), o lo diviene (test. ruptum) quando il postumo nasce; se invece sono trascurati altri discendenti, si ha un concorso fra essi e gl'istituiti, diversamente regolato secondo che questi ultimi siano altri discendenti o estranei.
Queste norme, che il pretore integrò soltanto nel senso di assicurare un trattamento analogo anche ai discendenti emancipati, non limitavano la libertà del testatore che formalmente: c'è ragione di credere che si evitassero disposizioni tali da commuovere la pubblica opinione, limitando l'uso della diseredazione ai casi di patente indegnità e a quegli altri che poi si chiamarono di exheredatio bona mente (p. es., della figlia già dotata, o del figlio per il cui avviamento si fossero già sostenute grosse spese, o del debole o povero di spirito che si preferisse affidare alle cure dei fratelli, ecc.).
Un rimedio contro l'ingiusta diseredazione sorse soltanto nell'età imperiale, e fu la querela inofficiosi testamenti. Intentando questa, il discendente può pretendere che siano indagate le ragioni dell'exheredatio: se questa risulta ingiusta, il testamento è rescisso e si apre la successione intestata. L'estrema discrezionalità di questo mezzo influì sull'impiego della diseredazione e sul suo stesso concetto: così anche il testamento della madre poté essere attaccato, considerandosi qui alla stessa stregua l'ingiusta diseredazione e l'ingiusto silenzio; e peraltro si venne determinando nella pratica una misura minima (normalmente, il quarto della quota spettante ab intestato), non raggiungendo la quale il discendente doveva considerarsi diseredato anche se istituito per una frazione inferiore, mentre per converso non aveva ragione di lagnarsi se nel complesso, tenendo cioè conto anche delle disposizioni a titolo particolare, raccoglieva quel tanto del patrimonio del genitore.
Si veniva così preparando il regime giustinianeo della successione necessaria in senso materiale (riserva ereditaria), fissato nella Novella 115 del 542. In questo regime, larghe categorie di successibili (i discendenti, in loro mancanza gli ascendenti, quindi anche i fratelli e sorelle, germani e consanguinei, se si siano viste preferire persone turpi), hanno un vero e proprio diritto di ricevere certe frazioni del patrimonio, oscillanti in complesso, secondo il numero dei concorrenti, fra un terzo e una metà. La diseredazione resta possibile; ma, oltre a dover essere espressamente dichiarata nel testamento, deve contenere anche l'indicazione del motivo per cui il legittimario è escluso; e, mentre nei riguardi dei fratelli e sorelle ogni motivo addotto dal testatore può essere valutato dal giudice con prudente arbitrio, per i discendenti e ascendenti sono ammessi soltanto quelli che la legge stessa enumera come cause d'indegnità. Così l'attentato alla vita del testatore, i maltrattamenti, le ingiurie, il commercio carnale del discendente legittimario con la matrigna o dell'ascendente con la nuora, il matrimonio della figlia contro la volontà dei genitori, l'apostasia.
Nel diritto italiano, che pure in buona parte si attiene, per quanto riguarda la successione contro il testamento, all'esempio della Novella 115, non vi è posto per la diseredazione. Tutte le cause d'indegnità enumerate all'art. 725 cod. civ. funzionano infatti automaticamente, impedendo che l'indegno succeda a qualunque titolo: la libertà del testatore non può funzionare che nel senso della riabilitazione, rimovendo con l'esplicito perdono l'ostacolo di legge.
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