LAURERIO, Dionisio
Nacque nel 1497 a Benevento da una famiglia poco nota, ma connessa da legami parentali ed economici ai Pedicini, un locale casato patrizio di antichi fasti che fu poi insignito di alcuni privilegi dall'imperatore Carlo V. Entrò da giovane a far parte dell'Ordine dei servi di Maria, si addottorò nel 1521 e divenne lettore di teologia, metafisica, matematica nelle Università di Perugia, Bologna (1525-29) e infine Roma, distinguendosi ben presto per la vastissima cultura e l'eloquio raffinato.
Già il 18 maggio 1528, nel corso di un capitolo svolto a Cesena, era stato eletto procuratore generale del suo Ordine. Da poco giunto presso la S. Sede, il L. conobbe Thomas Cranmer, in quel momento rappresentante inglese presso la Curia, impressionandolo favorevolmente; in seguito alle indicazioni del prelato inglese, il re Enrico VIII nel 1534 volle il L. al posto dello stesso Cranmer. In quel periodo il L. rinsaldò l'amicizia con il cardinale Alessandro Farnese (il futuro papa Paolo III), da lui probabilmente conosciuto a Benevento e poi assistito nella funzione di teologo a sacris: questo vincolo di stima e fiducia reciproca segnerà la sua vita.
Il L. aveva e avrebbe stretto rapporti profondi anche con altri personaggi eminenti: l'umanista Iacopo Sannazzaro, che nel 1529 aveva donato ai serviti il convento napoletano di Mergellina con l'annessa chiesa di S. Maria del Parto, a patto che il L. ne fosse rettore e protettore perpetuo; i cardinali Reginald Pole e, soprattutto, Iacopo Sadoleto, con il quale scambierà alcune lettere a partire dal febbraio 1540.
Il 22 genn. 1535, a pochi mesi dall'elezione pontificale, Paolo III scelse il L. come vicario generale dell'Ordine, dopo la rinuncia del padre Girolamo Amadei. Al termine di un capitolo riunitosi a Budrio (presso Bologna) il 27 aprile, il L. fu promosso dai confratelli all'ufficio di priore generale, e il papa gli riconobbe, il 20 maggio, la facoltà di fondare nuovi conventi e, il 17 agosto, quella di visitare e riformare i monasteri di Osservanza.
Il 12 nov. 1536, nell'ambito del tentativo, poi fallito, di convocare il concilio a Mantova prima e a Vicenza poi, il L. fu inviato in Scozia come nunzio apostolico per comunicare al re Giacomo V la volontà papale, e lì fu raggiunto da una bolla che gli concedeva ampia facoltà di visitare i monasteri di quel Regno.
La parziale discordanza e lacunosità delle fonti non consente di chiarire la dinamica di questa vicenda. Sembra comunque che il L., provvisto di un salvacondotto per attraversare l'Inghilterra, da poco coinvolta nella frattura religiosa, dapprima giunto a Edimburgo si dirigesse in un secondo momento in Francia, dove si trovava il re scozzese, e lì, il 27 genn. 1537, gli intimasse l'adesione al concilio.
Successivamente il L. lasciò al futuro cardinale D. Abbas, favorito dello Stuart, il compito di citare i prelati scozzesi atti a recarsi alla riunione conciliare; visitò vari conventi e forse si recò presso Enrico VIII. Tentò risolutamente, ma con scarso successo, di ricondurre i confratelli francesi all'osservanza delle regole claustrali e per raggiungere questo obiettivo, il 4 giugno 1538, ottenne una bolla dal papa. Nell'autunno del 1537 il L. era a Roma, dove partecipò con autorevolezza alla discussione tra i cardinali sulla riforma della Dataria.
Il L. si espresse sulle composizioni pecuniarie, i tributi precedentemente introdotti da Sisto IV e dovuti all'ufficio curiale al momento della collazione di un beneficio, schierandosi risolutamente contro la fazione dei riformatori e confutandone le tesi in una Defensio compositionum, risalente all'ottobre-novembre 1537 (Ad Paulum III optimum pontificem maximum compositionum defensio, in Concilium Tridentinum…, IV, Friburgi-Brisgoviae 1903; XII, ibid. 1929, ad indices). Il L. considerava la questione da una prospettiva teologico-morale e soprattutto politica esprimendosi in un latino tecnico ma forbito. Secondo la sua opinione, che influenzerà profondamente il pontefice, le composizioni non potevano essere ricondotte alla "mercatura", in quanto i benefici erano conferiti a persone meritevoli e bisognose, e dunque rispondevano a criteri di giustizia e pietà, non di guadagno materiale. Intervenire poi sulla prassi curiale in quel momento avrebbe avuto il significato di un avallo indiretto alle concezioni e alle critiche luterane.
Fatta eccezione per poche lettere, non sono pervenute le altre opere del L.: una raccolta di Epistolae multae; tre Orationes rispettivamente "ad Carolum V, Henricum VIII Angliae regem" e "ad Cosmum ducem Etruriae"; il trattato De reformatione Curiae Romanae; alcune Selectae quaestiones theologicae e forse le Plurima ad artem mathematicam pertinentia.
Il 16 luglio 1539 il suo grande ascendente gli consentì di ottenere per il proprio Ordine l'esenzione dalla metà delle decime stabilite, nel momento in cui la Chiesa allestiva una flotta contro i Turchi. In questo periodo il L. si pronunciava sovente contro la consuetudine del cumulo dei benefici e sulla necessità di scegliere persone idonee per l'attribuzione dei vescovadi. Il 20 dic. 1539 assurse alla dignità cardinalizia e il 6 febbr. 1540 Paolo III gli assegnò il titolo di S. Marcello, cui seguì l'8 marzo la facoltà di conferire benefici ecclesiastici. Pochi giorni prima, il 14 febbraio, il L. era stato insignito anche della mitra episcopale di Urbino, e il 3 marzo aveva preso possesso della diocesi. A Urbino avrebbe inoltre fatto trasportare le reliquie del servita Girolamo Ranuzzi, non prima di aver istituito un processo per la sua canonizzazione.
Il 27 agosto, sempre nel contesto della revisione dei principali organi curiali, il L. fu scelto dal papa per affiancare i cardinali Gasparo Contarini e Gian Pietro Carafa nella riforma della Penitenzieria, compito che svolse saltuariamente ma con determinazione. All'inizio di agosto accompagnò il pontefice a Lucca all'incontro con Carlo V, al fine di discutere la convocazione del concilio a Vicenza. Ammalatosi, per ritemprarsi si recò nei conventi di Pistoia, Prato e infine Firenze, dove rimase per qualche mese agendo anche in qualità di nunzio presso Cosimo de' Medici.
Prima di tornare a Roma il L. riuscì a far restaurare i bagni termali di Bagni San Filippo sul monte Amiata (le fonti fatte sgorgare, secondo la leggenda, dal servita Filippo Benizi nel 1276), in modo che il ripristino delle acque consentisse nuove entrate da utilizzare per l'attiguo monastero servita.
Nella primavera del 1541 il L. fu inviato a Modena come inquisitore delegato dal pontefice per il processo al letterato e accademico Giovanni Bertari, condannato in contumacia per eresia. Con l'intervento del L., a Bertari, favorito dal cardinale nipote Alessandro Farnese, fu sospesa la scomunica e imposta l'abiura.
Nel concistoro del 27 maggio, nonostante il tentativo di intercessione del cardinale Alvise Priuli, portavoce della volontà di R. Pole, il L. si scagliò con veemenza contro Contarini e la sua intenzione di raggiungere un compromesso dottrinale con i protestanti, dimostrando tutta la sua intransigenza in materia di ortodossia.
All'inizio del 1542 furono assegnati al L. nuovi compiti in qualità di legato apostolico a Benevento e di provveditore di Marittima e Campagna; ottenne inoltre in commenda l'arcidiaconato di Benevento, conservato fino alla fine. Dovette dunque concludere la sua esperienza di generale dell'Ordine e decise perciò di convocare nella primavera un capitolo generale, al termine del quale fu sostituito dal confratello Agostino Bonucci. Il 4 luglio 1542 fu nominato tra i sei cardinali inquisitori, carica confermata diciassette giorni più tardi al momento della bolla pontificia Licet ab initio, con la quale Paolo III riorganizzò, centralizzandola, l'Inquisizione romana. Secondo Paolo Giovio, il L., nel corso del concistoro del 18 settembre seguente, fu protagonista di una nuova e animata discussione, sorta in seguito a una lettera dell'imperatore e incentrata sull'atteggiamento da adottare verso il re francese Francesco I. In questo frangente giunse a proporre la guerra e la scomunica nei confronti del re Cristianissimo, palesando la sua forte propensione filoimperiale e guadagnandosi presso i successivi commentatori la fama di piaggeria e partigianeria nei confronti di Carlo V.
Il L. morì a Roma dopo una breve infermità e fu sepolto dai suoi confratelli nella chiesa di S. Clemente il 17 settembre o forse il 6 nov. 1542. Secondo le fonti più attendibili, di natura epistolare ed epigrafica, la prima data sembra più probabile, ma in tal caso si rende necessario retrodatare l'ultimo concistoro al quale il L. partecipò.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Historiae sui temporis…, II, Venetiis 1553, c. 193r; Id., Lettere, a cura di G.G. Ferrero, I, Roma 1956, ad ind.; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, Roma 1984, pp. 1020 s.; A. Ciaconius, Historia pontificum Romanorum…, III, Roma 1677, pp. 672 s.; A. Giani, Annalium sacri Ordinis fratrum servorum B. Mariae Virginis, II, Lucca 1721, pp. 111-139; I. Sadoleto, Opera quae exstant omnia…, II, Veronae 1738, pp. 61-65; A. Merkel, Speculum et virtutum et scientiae seu Viri illustres…, Norimbergae-Viennae 1748, pp. 103-106; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1924, ad ind.; A.M. Vicentini, Il card. D. L. di Benevento nelle memorie raccolte dal suo concittadino e correligionario Giuseppe Romano, Benevento 1925; B. Ulianovich, Bonucci, Agostino, in Diz. biografico degli Italiani, XII, Roma 1970, p. 439; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I, Brescia 1973, ad ind.; Hierarchia catholica, III, pp. 27, 323.