Risi, Dino
Regista e sceneggiatore cinematografico e televisivo, nato a Milano il 23 dicembre 1917. Dotato di un'ironia sferzante e di un'istintiva facilità di mestiere, ha diretto opere divenute capisaldi dell'intrattenimento popolare come Poveri, ma belli (1957), valorizza-to le storie emblematiche di sceneggiatori del livello di Ennio De Concini, Rodolfo Sonego, Bernardino Zapponi, Ettore Scola e Ruggero Maccari, Age e Furio Scarpelli, propiziato l'affermazione di mattatori quali Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Monica Vitti e Nino Manfredi. Amato da milioni di spettatori, imitato dagli innovatori di Hollywood, oggetto di culto da parte della raffinata cinefilia francese, l'autore di Una vita difficile (1961), Il sorpasso (1962), I mostri (1963), Profumo di donna (1974) è unanimemente riconosciuto come uno dei maestri della commedia all'italiana, specchio di un Paese di cui ha tramandato lo spirito vitalistico e irresponsabile in anni cruciali della sua Storia.
Dopo aver frequentato il prestigioso liceo-ginnasio Berchet, R. incontrò il cinema grazie ad Alberto Lattuada che lo fece scritturare come assistente alla regia di Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati e lo promosse aiuto per il suo Giacomo l'idealista (1943). Dopo l'8 settembre fu internato a Murren, nell'Oberland bernese, dove conobbe Claudia Mosca, che divenne poi sua moglie e madre dei due figli Claudio e Marco. Tornato a Milano, si laureò in medicina nel 1945 ma non esercitò la professione e cominciò a scrivere articoli, racconti e recensioni cinematografiche per testate come "Il giorno", "La fiera letteraria", "Milano sera" e "Tempo illustrato". Sempre nel dopoguerra incontrò il produttore Gigi Martello, per il quale girò numerosi documentari d'ispirazione neorealista. Dopo aver venduto il cortometraggio Buio in sala (1950) ‒ apologo favolistico sull'amore per il cinema ‒ al produttore Carlo Ponti, su invito di quest'ultimo si trasferì a Roma, dove ben presto esordì con il lungometraggio, Vacanze col gangster (1952). In questo film come anche nel successivo Il viale della speranza (1953), la sua vena appare ancora indistinta, caratterizzata solo da un'affabile attenzione alle pene dell'adolescenza e alle illusioni delle aspiranti attrici di Cinecittà. Con Il segno di Venere (1955), invece, R. perfezionò il suo senso della comicità popolare sulle tonalità di una commedia più elegante ed eccentrica. Sempre nel 1955 realizzò Pane, amore e..., terzo e ultimo capitolo della fortunata serie. Il suo primo, grande successo fu Poveri, ma belli, commedia di travolgente vitalità che propone un'ipotesi piccolo-borghese di evoluzione sociale nello spigliato girotondo di 'bulli e pupe' ambientato nel cuore antico e indolente della capitale. Subissato di critiche dagli opinionisti 'impegnati', R. sfruttò la crescente autorevolezza per continuare a favorire il passaggio dalla farsa provinciale o giovanilistica alla commedia di costume fondata sulla satira del boom economico. Se La nonna Sabella (1957) e Venezia, la luna e tu (1958) si limitarono a riproporre un meccanismo già sperimentato, lo humour nero di Il vedovo (1959) inaugurò la galleria dei mostri 'risiani': un impagabile Sordi nel ruolo di un marito vessato da una ricca e imperiosa imprenditrice milanese (Franca Valeri). Non a caso il coevo Il mattatore (1960) puntava sul protagonismo di Gassman e sulle sue doti di trasformista istrionico.
In Una vita difficile il regista incastona la parabola di un vigliacco 'ricco di dignità' tra la Seconda guerra mondiale e la fatidica svolta del 1960. Partigiano suo malgrado, giornalista comunista dopo la Liberazione nonché intellettuale squattrinato, marito abbandonato negli anni Cinquanta e infine portaborse di un signorotto neocapitalista, il protagonista (Sordi) interpreta gli eterni principi della contraddizione nazionale: tra gallismo e vita di coppia, astrattezza delle idee e urgenza del sopravvivere, eventi storici e prosaicità quotidiane. Il saliscendi sui presunti 'migliori anni della sua vita' restituisce un italiano inguaribilmente normale, che non appena s'indirizza su una scelta univoca, definitiva, finisce rovinosamente con lo svergognarla. Subito dopo La marcia su Roma (1962), R. girò Il sorpasso, scritto da Scola e Maccari e diventato il manifesto e insieme il repertorio mitologico (battute, canzoni, località, automobili) di una società cialtrona e provvisoria, avida di benessere e votata all'autodistruzione. Storia on the road della breve vita felice del timido Roberto (Jean-Louis Trintignant), trascinato alla scoperta di sé dal mefistofelico Bruno (Gassman), campione di tutta la furbizia ed esuberanza che il Paese offriva agli albori degli anni Sessanta, il film ha un taglio morale ma non moralistico, un andamento libero, picaresco e tuttavia logico, un gusto malinconico così legato a quello comico da produrre uno spleen spiazzante.
Nei venti episodi o sketch che compongono I mostri R. accentuò la cadenza sincopata e il taglio secco della rappresentazione, beffandosi allo stesso modo di ricchi e poveri, borghesi e sottoproletari, vincenti e perdenti della vita: il suo 'cinismo' riesce così a trasformarsi in uno sguardo oggettivo che accomuna i personaggi tratteggiati dalla sarabanda dei travestimenti di Gassman e Tognazzi nella stessa isterica danza sul vuoto dei moderni valori mistificati. Nel corso del decennio e fino alla metà degli anni Settanta R. alternò regolarmente le repliche della commedia come show dei vizi nazionali a film dove la formula risulta arricchita da annotazioni divaganti e personali: alla prima tipologia appartengono i vivaci e talvolta grevi Il tigre (1967), Il profeta (1968), Vedo nudo (1969), mentre Il giovedì (1964), finemente interpretato da Walter Chiari, L'ombrellone (1965), controcanto malizioso alle smanie vacanziere, e Straziami, ma di baci saziami (1968), melodramma rivisitato dal sentimentalismo canzonettistico, gli consentono di mostrare propensioni nostalgiche o crepuscolari. Dopo La moglie del prete (1970) con la coppia Loren-Mastroianni, molto più incisivo, quasi rabbioso apparve a pubblico e critica In nome del popolo italiano (1971), giocato sul duello senza esclusione di colpi truccati tra l'industriale becero e corrotto (Gassman) e l'integerrimo quanto fanatico magistrato di sinistra (Tognazzi), amaro apologo che lascia al pubblico la facoltà di dividersi sul giudizio etico. Nel 1974 R. girò Profumo di donna, dal romanzo di G. Arpino, interpretato da un Vittorio Gassman in stato di grazia: l'itinerario verso il suicidio del capitano Fausto, cieco in seguito a un'esplosione, viene modificato dall'ingenuità e dalla voglia di vivere del soldatino-studente che lo accompagna. Anche in Anima persa (1977) lo stile di regia si mantiene rapsodico e insinuante, all'impasto di sarcasmo e pietà si aggiungono le atmosfere gotiche di Venezia. Possono considerarsi tra i titoli più riusciti della terza stagione La stanza del vescovo (1977), irridente inno all'edonismo della libertà, Sono fotogenico (1980), che rievoca il microcosmo dei 'cinematografari' con spietata verosimiglianza, e Fantasma d'amore (1981), thriller čechoviano immerso nelle spettrali strade di Pavia sul filo di un'insanabile ferita d'amore.Nel 1984 ha iniziato a cimentarsi con il serial televisivo: al fluviale E la vita continua sono seguiti, tra gli altri, La ciociara (1989), Vita coi figli (1990) e Missione d'amore (1992), tutti professionalmente impeccabili, ma sostanzialmente lontani dalla straordinaria originalità inventiva degli anni migliori.
A. Viganò, Dino Risi, Milano 1977; V. Caprara, Dino Risi ‒ Maestro per caso, Roma 1993; P. D'Agostini, Dino Risi, Milano 1995.