PIGNATELLI, Diego
PIGNATELLI, Diego. – Nacque a Napoli il 14 gennaio 1774 da Ettore, XI duca di Monteleone, e Anna Maria Piccolomini, figlia di Pompeo, principe di Valle. Terzogenito di una delle famiglie più nobili e ricche del Regno, in tenera età, a causa della prematura morte del fratello Fabrizio, fu designato erede di un immenso patrimonio con possedimenti in Calabria, Sicilia e Messico. Intrapresi gli studi, fu paggio di Ferdinando IV, privilegio riservato ai rampolli della più illustre nobiltà e presupposto di una brillante carriera a corte.
Data l’importanza del casato, la sua sistemazione matrimoniale richiese non pochi maneggi alla ricerca di una sposa degna, come riferì nel suo epistolario Eleonora Doria Pamphili, novella consorte del principe Diego d’Avalos (Luise, 2006, p. 297). A soli 19 anni Pignatelli, con il titolo di marchese del Vaglio, il 9 settembre 1793 sposò Maria Carmela Caracciolo, figlia di Giuseppe, marchese di Brienza, dalla quale ebbe cinque figli: Giuseppe, Fabrizio, Francesco di Paola, Anna Maria, Ettore.
A differenza di altri giovani aristocratici non fu coinvolto nella congiura giacobina del 1794. Nel mese di gennaio del 1799 come Eletto della città di Napoli fece parte del partito ostile al vicario Francesco Pignatelli. Con la nascita della Repubblica napoletana entrò nel governo provvisorio. Nel marzo, con Pasquale Falcigni e Prosdocimo Rotondo fece parte del comitato di polizia.
Il comitato ebbe tra i suoi compiti funzioni di pubblica sicurezza come il controllo sugli stranieri e sui passaporti, sulle case di correzione e le carceri, ma anche l’organizzazione dei giudici di pace e dei tribunali civili. Sul fronte dell’ordine pubblico Pignatelli promosse provvedimenti che riguardarono il ripristino della numerazione delle strade di Napoli, il divieto di circolazione delle vetture il giovedì e il venerdì santo, la chiusura dei teatri durante la settimana santa. Voci interne al governo provvisorio lamentarono una eccessiva presenza di membri della nobiltà, visti come elemento frenante sulle riforme che si intendevano realizzare. Il 24 marzo 1799 Pignatelli con altri presentò le dimissioni, che furono nell’immediato respinte e accettate solo in un secondo momento, il 4 aprile.
Nel giugno 1799, con la riconquista del Regno da parte delle armate del cardinale Fabrizio Ruffo, Pignatelli cercò rifugio a Gaeta con il piccolo figlio Giuseppe. Fatto prigioniero e ricondotto a Napoli, il 9 agosto 1799 fu rinchiuso nel carcere della Vicaria.
Il comportamento assunto dai sovrani di Napoli dopo la riconquista evidenziò l’odio contro quella nobiltà che si era compromessa con i francesi e la Repubblica e che aveva tradito il patto di fedeltà con la Corona. I giudici della giunta di Stato mandarono a morte molti giovani aristocratici come Gennaro Serra, Ferdinando e Mario Pignatelli, Giuseppe Riario Sforza. Intanto, il 20 novembre 1799, i feudatari, determinati a ricucire lo strappo con il re, in cambio di un donativo supplicarono i sovrani di lasciare Palermo, dove la corte si era rifugiata per l’invasione francese, e tornare a Napoli. In questo clima non fu facile agli avvocati della ‘casa’ di Monteleone organizzare la difesa di Diego. Durante il processo, istruito davanti al giudice Vincenzo Speciale, cercarono di dimostrare che era stato costretto a collaborare per il suo ruolo di Eletto e che aveva mantenuto a proprie spese 48 inservienti di provata fede monarchica sin dall’ingresso dei francesi. Tuttavia, durante l’istruttoria si verificò uno spiacevole incidente destinato a nuocere al buon esito della causa: un testimone della difesa dichiarò che la propria deposizione era stata comprata. L’accusa reclamò l’arresto degli avvocati, della marchesa Pignatelli Caracciolo e dell’avvocato dei poveri della Gran Corte, don Vincenzo de Jorio, indicato come consigliere della ‘casa’ di Monteleone e di altri rei di Stato. Tali avvenimenti, congiunti a un incendio divampato nella villa di famiglia a Barra con la conseguente perdita di molti dipinti della preziosa quadreria, infersero un colpo mortale al duca Ettore, che fu stroncato da infarto il 26 febbraio 1800. Pignatelli ereditò i numerosi titoli e il patrimonio che fu subito messo sotto sequestro. Venerdì 28 marzo dopo molte ore di camera di consiglio la giunta emise la sentenza di condanna a morte.
La pena capitale fu evitata grazie all’intervento del cardinale Francesco Pignatelli, legato pontificio a Ferrara dal 1795 e zio di Diego. Questi chiese l’intercessione del nuovo pontefice Pio VII presso il re che, così, accordò la grazia. Il 21 aprile 1800 giunse a Napoli il decreto che commutava la pena di morte nel carcere perpetuo. In una missiva alla principessa Anna Maria Piccolomini la regina stessa garantì l’esecuzione del provvedimento. Pignatelli fu tradotto, prima, nella fortezza di Messina e in seguito a Porto Ercole. Con la pace di Firenze, nel marzo 1801, fu liberato e i suoi beni dissequestrati il 26 settembre. In segno di clemenza gli fu dato un risarcimento speciale sui frutti dell’amministrazione. Nell’autunno del 1801 si trasferì a Milano, dove strinse amicizia con il marchese del Gallo, ambasciatore napoletano in Francia, che lo presentò a Napoleone.
Con la conquista del Regno da parte dei francesi, nel 1806, rientrò a Napoli e divenne ciambellano alla corte di Giuseppe Bonaparte. Questi, il 14 novembre 1806, lo inviò con una delegazione di dignitari a Varsavia per porgere al fratello imperatore le sue felicitazioni per le vittoriose battaglie in Prussia. Colpito dalla sua pacatezza, Napoleone ne caldeggiò la candidatura ad ambasciatore del Regno a Parigi. Nel 1806 assunse, dunque, questo delicato incarico diplomatico che assolse con competenza e prudenza, né trascurò l’educazione del giovane Giuseppe e volle che frequentasse il Politecnico, istituito da Bonaparte nella capitale francese.
Salito Gioacchino Murat sul trono di Napoli, il 19 maggio 1808 fu insignito del titolo di dignitario dell’Ordine delle Due Sicilie. In qualità di ambasciatore in più occasioni mediò nei rapporti tra il re di Napoli e l’imperatore. Terminato l’incarico nel 1810, venne ben ricompensato da Napoleone con un donativo di 60.000 franchi prelevati dalla propria cassa personale e una somma accessoria di 120.000 franchi. Questo danaro servì a sostenere le finanze familiari, provate dalle vicende politiche che lo avevano costretto a trascurare gli affari.
Nel 1814 si ritirò a Palermo. Ferdinando di Borbone lo fece gentiluomo di camera con esercizio, tuttavia Pignatelli preferì allontanarsi dalla corte. Protettore delle scienze e delle arti, amante degli studi e della conversazione colta, si dedicò con impegno a costruire una ricca biblioteca che venne in seguito incrementata dall’erede Giuseppe.
Morì a Palermo il 14 gennaio 1818. Dopo i solenni funerali la sua salma fu sepolta nella chiesa di S. Francesco di Paola.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Archivio Pignatelli d’Aragona Cortes, Museo, vol. 50; ibid., Allegazioni, bb. 9, 11; Ministero degli Affari Esteri, Governo di Napoli (1806-1815), bb. 2187-2205; Napoli, Biblioteca nazionale, Brancacciana, 8.13 (0015 e 0021); Almanacco reale, Napoli 1810, p. 104; C. De Nicola, Diario napoletano: 1798-1825, Napoli 1906 (rist. anast. 2012), I, pp. 16, 97, 277, 426, 433 s., 439, 448, 453 s.; II, pp. 67, 87.
A. Calcagno, Notizie genealogico-storiche dell’antichissima ed illustrissima famiglia Pignatelli Aragona Cortes dei duchi di Monteleone e Terranova in Sicilia, Milano 1847, pp. 35-38; N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell’Impero, I, Bari 1927, p. XXIII; R. Pilati, La Nunziatella. L’organizzazione di un’accademia militare, Napoli 1987, p. 39; M. Pellicano Castagna, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari della Calabria, III, Catanzaro Lido 1999, pp. 234-251; M. Battaglini, Il ‘Pubblico Convocìo’. Stato e cittadini nella Repubblica napoletana del 1799, Napoli 2003, pp. 86-88; F. Luise, I D’Avalos. Una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento, Napoli 2006, p. 297; D. Shamà, L’aristocrazia europea ieri e oggi: sui Pignatelli e famiglie alleate, Roma-Foggia 2009, pp. 151-152.