DIAMANTE di Feo (Fra Diamante)
Nato intorno al 1430 a Terranuova (Valdarno), pittore, fu assistente e collaboratore di Filippo Lippi per oltre vent'anni ma non conosciamo alcun dipinto che possa essere attribuito a lui solo su base documentaria.
Crebbe nel convento carmelitano di Prato, e nel 1447 era a Firenze e lavorava già per il Lippi alla pala dell'altar maggiore delle monache di S. Ambrogio (l'Incoronazione della Vergine oggi agli Uffizi); nel luglio, infatti, la badessa pagava 8 lire per la doratura della predella a "ffra diamante di fra filippo" (Borsook, 1981, pp. 163, 195 n. 113). I due frati continuarono a lavorare insieme anche a Prato, dove tra il 1452 e il 1466 affrescarono le pareti della cappella maggiore della pieve (più tardi cattedrale).
D. è menzionato per la prima volta a Prato nel maggio 1454 come garzone salariato di fra' Filippo Lippi (Pelegatti, 1899, pp. 137 s.; Borsook, 1975, pp. 34, 45, 86). È stato ipotizzato che durante l'anno precedente D. abbia collaborato col Lippi al nuovo tabernacolo del Ceppo (oggi nella Galleria comunale di Prato), ma nessun documento lo conferma (Pittaluga, 1949, p.184; Borsook, 1975, pp. 36 s., 82 ss.). Nel luglio 1460 ricevette un pagamento, per conto del Lippi, per il completamento della Trinità (oggi a Londra, National Gallery) dipinta dal Pesellino per una confraternita di Pistoia (Bacci, 1944, p. 142; Davies, 1951, p. 323). Tra il 1460 e il 1467 il Lippi e la sua bottega lavorarono a un dossale formato da 18 pannelli alcuni dei quali sono stati attribuiti a D. (Pittaluga, 1941, in Riv. d'arte, pp. 30 ss.; Id., 1941, in L'Arte, p. 24; Bacci, 1944). A metà luglio 1460 D. aveva abbandonato i carmelitani per entrare nell'Ordine dei vallombrosani: nel luglio è menzionato come "don Diamante" e il 12 ottobre dello stesso anno, quando viene pagato per aver inciso i nomi dei membri del Ceppo nuovo su un pannello in gesso, viene indicato come "fratri Diamanti ... [lacuna] ordinis fratrum Vallis Umbrose pictori ..." (Bacci, 1944, p. 142; Borsook, 1975, pp. 108 s.). Proprio a questi mesi appartengono le pitture sulle pareti intorno alla finestra della cappella maggiore del duomo di Prato (attribuiti a D. da Gronau, 1913, p.203; Pittaluga, 1941, p. 42, e 1949, p. 184), con le figure di S. Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani, e S. Alberto da Trapani, un carmelitano che era stato canonizzato da poco (Borsook, 1975, p. 60).
Nel 1463 per ragioni a noi sconosciute le autorità ecclesiastiche mandarono D. a Firenze, dove fu imprigionato. L'anno dopo il Comune di Prato si appellò all'arcivescovo di Firenze (Steinmann, 1901, p. 202; Borsook, 1975, pp. 65, 132). Nel frattempo, per ragioni economiche, ma anche per l'assenza di D., si era interrotta la decorazione della pieve di Prato; i lavori furono ripresi nel marzo-aprile 1464, ma D. risulta presente solo nell'ottobre 1465 (Borsook, 1975, pp. 66 ss.); nel novembre successivo furono allogati 15 fiorini per il suo lavoro che doveva durare sino a metà gennaio 1466 (ibid., p. 67): si trattava dell'ultima scena del ciclo (o il Festino di Erode o la Lapidazione di s. Stefano con la celebrazione delle sue reliquie). Nel 1466 D. era cappellano del convento di S. Margherita a Prato, carica che era stata ricoperta dal Lippi (Steinmann, 1901, p. 202; Colnaghi, 1928, p. 88): una Natività (Louvre, n. 1343), proveniente da questo convento, è stata spesso attribuita a D. (Gronau, 1938; Oertel, 1942, p. 51) ma non da Pittaluga (1941, in Riv. d'arte, pp. 22, 58 ss.).
Nella primavera del 1467 D. assisteva probabilmente Filippo Lippi, infermo, nell'esecuzione delle Scene della vita della Vergine nell'abside del duomo di Spoleto (Fausti, 1915, pp. 8 s.; Marchini, 1975, p. 237). Nel maggio 1468 il cardinale Marco Barbo, nipote del futuro Paolo II, invitò D. a Roma, ma il costo del viaggio venne addebitato al Lippi, segno che questo viaggio era in connessione con lavori per il cardinale stesso (che aveva commissionato lavori anche a Mino da Fiesole) o per la Curia, dato che il Barbo era camerlengo e ispettore dei "conti et intrate" papali (Fausti, 1915, p. 18; Pastor, 1955, pp. 380 ss., 774).
Dopo aver soggiornato un mese a Roma, D. ritornò a Firenze e dopo poco il Lippi mandò al Barbo "due storiette di figure piccole" (Vasari, p. 619). Nella primavera del 1469 D. era di nuovo a Roma per lavorare a opere non specificate e ricevette 4 fiorini da mandare a Firenze a un "Domenico pittore" (Fausti, 1915, p. 18), forse un membro della bottega del Lippi (Bacci, 1944, pp. 142 ss.).
Quando il Lippi morì a Spoleto ai primi di ottobre del 1469, "lasciò in governo per testamento, Filippo suo figliuolo" a D. (Vasari, pp. 628 s.; Fausti, 1915, p. 16). La parte di D. negli affreschi di Spoleto fu considerevole: dei 697 ducati che erano stati allogati ne ricevette 137 (Fausti, p. 18; Pittaluga, 1941, pp. 44 ss.); di fatto, a Natale del 1469 le pitture erano finite e D. ricevette il pagamento finale nel febbraio 1470 (Fausti, pp. 18, 20). È stato anche ipotizzato che egli abbia eseguito la maggior parte degli affreschi di Spoleto, servendosi di cartoni di Filippo Lippi (Pittaluga, 1941, p. 73; Berenson, 1963, p. 59 fig. 865; Marchini, 1975, p. 169).
Nel maggio 1470 D. era di nuovo a Prato dove dipinse all'interno del portico "del palazzo de' Signori un ampio arazzo di color rosso, ornato di gigli d'oro, coll'arme de' Petrucci nel mezzo, e sopra il suo ritratto, più di mezza figura, su un'epigrafe metrica in lode di lui" (distrutto; Milanesi in Vasari, p. 628 nota; Borsook, 1975, p. 144). Nel 1472 è registrato come membro della confraternita dei pittori fiorentini, la Compagnia di S. Luca, e residente a Firenze nel convento vallombrosano di S. Pancrazio (Steinmann, 1901, p. 202; Colnaghi, 1928, p. 88).
Dalle Memorie vallombrosane della badia di S. Fedele dell'abate I. Guiducci (cc. 25, 59) risulta che nel giugno 1482, mentre era abate, per la seconda volta, don Arrigo Cicciaporci, "un certo Don Diamante monaco di Vallombrosa, perché era valente dipintore ed aveva in Roma dipinto alcune opere nella cappella del papa e impetrò dal pontefice una pensione di scudi 100 sopra i beni della Badia di Poppi..."; ma non è possibile sapere di più di queste vaghe informazioni (la fonte, conservata nella Bibl. com. di Poppi, è citata con leggere variazioni in Steinmann, 1901, pp. 203 s. n. 1 e in Venturi, 1911, p. 580).
In una lettera da Firenze del 2 genn. 1498, Manfredino Manfredini, scrivendo ad Ercole I d'Este, definisce D. "excellente pittore: per vedersene in Roma evidente opera" (Arch. di Stato di Modena, Arch. secr. Estense - [ASE], Cancelleria ducale, Archivio per materie, Arti belle, pittori, b. 14). Sulla base di questi due riferimenti ad opere romane sono state fatte attribuzioni (Steinmann, 1901, pp. 204 ss.; van Marle, 1929, pp. 632, 636 ss.; Venturi, 1911, pp. 581 ss.) che sono state in seguito respinte (Pittaluga, 1941, p. 66).
Per la pensione D. venne implicato in questioni legali sino alla fine dei suoi giorni, perché le entrate derivavano da varie proprietà appartenenti all'Ordine vallombrosano, allora dilaniato da lotte intestine (si veda, nella Bibl. naz. di Firenze, Mss. Magl. XXXVII, 325: Delle azioni di Don Biagio Milanesi; solo piccoli estratti sono pubblicati in diversi contesti).
Oltre Poppi, D. aveva nei pressi di Firenze altri benefici vallombrosani: a S. Maria Ughi alle Corti e a Legnaia, per cui ci furono liti negli anni dopo il 1480 (Cavalcaselle-Crowe, 1892, p. 247; Milanesi in Vasari, p. 640; Steinmann, 1901, p. 203 n.; Carocci, 1907, pp. 111 s.). Nel 1483 resse il priorato di S. Pietro di Gello nella diocesi di Volterra (Cavalcaselle-Crowe), ma nel 1489 era in prigione su istanza dell'abate vallombrosano di S. Salvi a Firenze (Steinmann, p. 202, n. 2) e l'oratore ferrarese Manfredini scrisse la citata lettera a Ercole d'Este perché intervenisse per ottenere la sua liberazione (Steinmann; Venturi, 1911, p. 580).
Nel giugno 1490 D. era ancora vivo, perché è nominato in un accomodamento con i monaci di Poppi (Steinmann, pp. 203 s.), ma dopo questa data non abbiamo altre menzioni documentarie.
Durante la vita di Filippo Lippi D. ne assimilò lo stile in maniera tale che è difficile distinguere la sua mano, specialmente tenendo conto che l'opera del Lippi è di qualità discontinua; per questa ragione l'opera di D. è difficilmente definibile come accade anche per altri pittori fiorentini, che lavorarono nella scia del Lippi, e del Pesellino, di A. Baldovinetti; la Pittaluga (1941, pp. 66 s.), che ha affrontato nel modo più completo il problema delle attribuzioni, ha tuttavia dovuto ammettere che non si può "per ora uscire dal campo delle ipotesi".
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite.., a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 619 s., 627 ss., 640 ss.; G. B. Cavalcaselle - J. A. Crowe, Storia della pittura in Italia, V, Firenze 1892, pp. 245-256; G. Pelegatti, Il Crocifisso del Carmine a S. Bartolomeo in Prato, Prato 1899, pp. 137 s.; E. Steinmann, Die Sixtinische Kapelle, I, München 1901, pp. 190, 201-08; G. Carocci, I dintorni di Firenze, II, Firenze 1907, pp. 111-18; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 1, Milano 1911, pp. 579-88; G. Gronau, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, Leipzig 1913, pp. 202 s.; L. Fausti, Le pitture di fra' Filippo Lippi nel duomo di Spoleto (1915), Spoleto 1970; D. E. Colnaghi, Dictionary of Florentine painters from the 13th to the 17th centuries, London 1928, p. 88; R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, XI, The Hague 1929, pp. 631-38; G. Gronau, In margine a Francesco Pesellino, in Riv. d'arte, XX (1938), pp. 132, 134; M. Pittaluga, Fra D. collaboratore di Filippo Lippi, ibid., XXIII (1941), pp. 19-71; Id., Note sulla bottega di Filippo Lippi, in L'Arte, XLIV (1941), pp. 22, 24, 73; R. Oertel, Fra Filippo Lippi, Wien 1942, passim; P. Bacci, Documenti e commenti per la storia dell'arte, Firenze 1944, pp. 142 ss.; M. Pittaluga, Fra Filippo Lippi, Firenze 1949, p. 184; National Gallery, M. Davies, The earlier Italian schools (catal.), London 1951, pp. 322-26; L.v. Pastor, Storia dei papi, II, Freiburg-Roma 1955, ad Indicem; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance: Florentine school, London 1963, I, pp. 58 s.; II, figg. 833, 865; E. Borsook, Fra' Filippo Lippi and the murals for Prato cathedral, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XIX (1975), pp. 1-148; G. Marchini, Filippo Lippi, Milano 1975, pp. 167 ss., 215, 237; E. Borsook, Cults and imagery at S. Ambrogio in Florence, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XXV (1981), pp. 147-202; L. Bellosi, Tre note in margine a uno studio sull'arte a Prato, in Prospettiva, 1984, 33-36, pp. 45, 49-55.