DI GIACOMO, Giovanni Antonio (pseud. Vann'Antò)
Nacque a Ragusa il 24 ag. 1891 da Salvatore e da Carmela Rizza, ultimo di sette figli maschi. La precoce. spiccata inclinazione agli studi gli evitò di finire nelle miniere d'asfalto, come il padre e i fratelli: dal ginnasio ragusano passò dunque al liceo di Siracusa, per poi iscriversi alla facoltà di lettere all'università di Catania, dove si laureò il 7 dic. 1914 - relatore Paolo Savj Lopez - con una tesi sul verso libero in Francia e in Italia.
A tale data, il D. aveva già alle spalle un suo piccolo noviziato poetico in lingua e in dialetto, un provinciale battesimo giornalistico (lo troviamo infatti nel 1912 tra i fondatori della rivistina catanese Maggio), e perfino alcuni progetti, abbozzi e lavori teatrali (effettuati per lo più in collaborazione con l'amico Luciano Nicastro, e tutti - o quasi - in dialetto). Nel complesso (per quel che ne sappiamo, trattandosi in gran parte di inediti o di notizie indirette), sembra lecito parlare di un apprendistato giovanile, ancora lontano da una formulazione personale, eppure già orientato secondo una precisa scelta di gusto: Pascoli e i crepuscolari da un lato, la poesia popolare e popolaresca dall'altro. Comunque, una svolta importante si può individuare già tra il 1913 e il 1914, quando l'attenta frequentazione di Lacerba e la sistematica rassegna della poesia verslibriste per la stesura della tesi di laurea innescarono quel processo di revisione tecnico-formale che tosto sarebbe sfociato in una cauta adesione al futurismo (appunto del 1914 sono le prime composizioni parolibere: vedile in G. Miligi, Vann'Antò futurista, pp. 19-23).
Rientrato a Ragusa, il D. tentò di galvanizzare la torpida cultura locale attraverso le colonne di un battagliero periodico "di giovani", La Balza. L'intento di partenza era quello di lavorare a "una educazione politica" del popolo che gli desse "coscienza dei suoi doveri e dei suoi diritti" (Collaborazione, in La Balza I [1915], 1, pp. 1 s.): ed in ciò ben si faceva sentire l'insegnamento di Giuseppe Lombardo Radice, che infatti plaudi all'impresa (v. il brano di lettera pubbl. nell'art. redazionale Natii borghi selvaggi, ibid., 4, pp. 2 s.). Sennonché la collaborazione di Nicastro introdusse subito nel foglio i fermenti di una polemica antiquietista più vicina a certo ribellismo piccolo borghese, individualista ed aggressivo, che non alla strategia pedagogico culturale dell'attivismo idealista. Proprio sotto l'influsso di Nicastro, in tandem col messinese Guglielmo Jannelli, la rivista abbandonò ben presto ogni velleità di dialogo con i retrivi concittadini per sintonizzarsi con Marinetti: nasceva così una nuova Balza, "quindicinale futurista" (I [1915], 1), e poi senz'altro La Balza futurista (2 e 3).
A questa seconda Balza il D. diede tre contributi, uno per ciascun numero della rivista: un'"imagine teatrale" (Azùria), un profilo critico di Govoni e una "natura morta cinematografica" (automobile + asinA). Ma senza troppo sbilanciarsi sul versante ideologico: manca in questi scritti qualsiasi traccia di entusiasmo industrialista-tecnolatrico (anzi forse addirittura automobile + asinA sipotrebbe leggere come un sornione rovesciamento di certe pagine marinettiane). E quindi interpretando a suo modo anche la rivoluzione sintattico stilistica dei manifesti letterari del futurismo: per il D., depurare l'immagine poetica da tutte le scorie psicologistiche e sentimentali non significa affatto proiettarsi in un avvenire disumanizzato, bensì recuperare un'originaria freschezza di percezione e di linguaggio (v. il saggio su Govoni in La Balza futurista, I [1915], 2, pp. 19-22, e ora in G. Miligi, Vann'Antò futurista, pp. 58-62).
Interventista, nel 1916 il D. partì volontario per il fronte con il grado di tenente: ma i suoi entusiasmi risorgimentali ed irredentistici sarebbero stati messi a dura prova dalla tremenda esperienza della battaglia e della trincea.
Ferito alla Bainsizza, nell'autunno del 1917 fu mandato per la convalescenza all'ospedale militare di Siracusa: ne nacque una sorta di breve diario in francese, Tablettes, dove non c'è alcuna traccia di bellicismo patriottico ma solo l'incubo di un'"lieure affreuse de bataille", e la scrittura diventa esplicitamente uno strumento d'evasione, una regressione al gioco infantile ("L'enfant commande; / Il dit, en mettant la téte deliors: / qu'il pleuve! / Il dit, en la retirant: / qu'il ne pleuve plus!": v. Revue des études italiennes, XXIII [1976], 3, pp. 257 s.). In sintonia con un gusto che si delineava proprio in quegli anni, le Tablettes si presentano come "débris ... fragments ..." (p. 252), brandelli di prosa e di poesia: vi si evidenzia il penchant crepuscolare dello scrittore, ma sostanziato da una diretta conoscenza della moderna letteratura francese, da Verlaine ad Apollinaire.
Finita la guerra, il D. tornò a Ragusa per sposarvi Maria Caterina Licitra (sorella di quel Carmelo che fu discepolo e seguace di Gentile) e quindi iniziò la carriera d'insegnante a Messina (1920). Qui c'erano ad attenderlo i vecchi amici futuristi, ma il suo interesse nei confronti del movimento si era ormai esaurito: pur concedendo la propria firma in qualche particolare circostanza (come la campagna del 1921 contro il cartellone "classicista" del teatro greco siracusano), egli doveva sentirsi mille miglia lontano da Marinetti (in proposito, basti citare la sua recensione all'Alcova d'acciajo, pubbl. sul Piccolo di Palermo il 1° sett. 1921, e ora in G. Miligi, Vann'Antò futurista, pp. 67-70). Collaborando all'Albatro e frequentando la libreria Ferrara, il D. si accostava piuttosto ai poeti di tendenza simbolista (o comunque distillava dalla sua recente esperienza futurista tutto quello che si poteva ricondurre al simbolismo); inoltre stringeva nuove, determinanti amicizie - con Quasimodo, Pugliatti, La Pira - ed avviava quella che sarebbe stata una lunga, amorosa ricognizione intorno alle proprie radici popolari, pubblicando un "corso di esercizi e di letture siciliane" per le scuole (Li cosi nuvelli, in collaborazione con L. Nicastro, I-III, Firenze 1924-25) e una raccolta di poesie in dialetto (Voluntas tua, Roma 1926).
Divisa in tre sezioni (Vita dei campi, Vita delle miniere e Vita delle trincee), Voluntas tua vuol essere l'oggettivazione "popolare" di un'esperienza in effetti vissuta a un livello più alto (da studente o da intellettuale nella vita civile, da ufficiale nell'esercito): contadini, niinatori e fanti alternano canti di gioia e di dolore, di protesta e di rassegnazione, di maledizione e di fede in un trittico abbastanza discontinuo, in parte per ragioni esterne, cronologiche (di alcuni componimenti infatti si sa con certezza che risalgono agli anni giovanili), in misura ben maggiore per una insanata lacerazione nell'atteggiamento del poeta, il quale di fronte ai suoi protagonisti popolari appare diviso tra immedesimazione e distacco, tra denuncia e accomodamento paternalistico. Residui di un verismo pittoresco o bonariamente canzonatorio e squarci di una sconvolgente forza polemica, georgica pascolianeggiante e inedite combinazioni di registri popolari e tecniche d'avanguardia: ecco il singolare, codice di questa raccolta.
Nel 1932 il D. pubblicò a Milano Il fante alto da terra, un'operetta che si portava dentro da molti anni (e cioè dall'inizio della guerra) e di cui alcuni brani avevano già visto la luce in rivista (Gli Avvenimenti di Milano, L'Italia futurista di Firenze, Il Marchesino e L'Albatro di Messina).
Ancora una volta, la lunga gestazione dell'opera e la sostanziale ambiguità del rapporto instaurato dall'intellettuale piccolo borghese Vann'Antò con la propria classe d'origine giustificano le molteplici incrinature del testo. Accanto alle tipiche mistificazioni operate dal cosiddetto interventismo "democratico" (quello dei Jahier e dei Lombardo Radice, tanto cari e vicini al D.), ecco qualche affinità con le posizioni futuriste, o viceversa un aperto antibellicismo: accanto alla guerra-dovere, da affrontarsi "bene, con semplicità, docili e calmi, anche se questo importi di morire" (ed. del 1975, p. 78), ecco cioè la guerra-festa ("Scoppiano urlano intorno / bombe, razzi allegrissimi" ecc., p. 471, o invece la guerra-"orrore grande", per la quale si soffre e si cade "senza frutto" (p. 74). A legare questi diversi atteggiamenti interviene comunque un'ottica infantile-populistica: i fanti non sono che bambini ubbidienti, "devoti" al loro tenente che li tratta come "figliuoli", e la paura può essere esorcizzata fingendo una distrazione ludica ("bambini giochiamo / senza trattenute risa", p. 46) ovvero riducendo quest'esperienza eccezionale entro una dimensione quotidiana (per cui il fragore della battaglia appare analogo a quello della festa di s. Giovanni o a quello di un temporale, ecc.). La lunga, attenta revisione delle poesie e delle prose che compongono il Fante ha smussato d'altronde molte discrepanze di stile: la frequentazione di Pascoli e dei crepuscolari, dei simbolisti e dei futuristi, degli scrittori vociano-lacerbiani e dei lirici nuovi si risolve in un linguaggio poetico-prosastico abbastanza omogeneo, fitto di onomatopee, fortemente analogico, in apparenza ansimante per le continue fratture sintattiche ma in effetti intonato su studiatissime cadenze ritmiche.
Certamente non fascista, ma in sostanza estraneo a qualsiasi forma di impegno politico, il D. - negli anni '30 e nei primi anni '40 - collaborò a vari periodici, più o meno allineati, curando solo i propri interessi didattici, letterari e demopsicologici (v. soprattutto gli interventi sui messinesi Lunario siciliano e Secolo nostro): ché, se talvolta si trovò ad elogiare qualche iniziativa del regime, cio avvenne per una superficiale, non calcolata convergenza, a partire da istanze puramente ed astrattamente etiche (v. per es. il suo Elogio delle mani sporche, a proposito della Carta della scuola, in Secolo nostro, IX [1939], 13 pp. 23 ss.).
Preside della scuola media "G. Mazzini" dal 1942, nel 1944 fuprovveditore agli Studi a Ragusa; nell'inverno successivo era di nuovo a Messina, a riprendervi la sua presidenza e ad iniziare, presso quell'università, l'insegnamento (per incarico) di storia delle tradizioni popolari.
A conti fatti, la produzione poetica della maturità appare assai meno aggiornata e stimolante di quella giovanile. Sempre di più infatti la mitopoiesi populista del D. tende ad ammantarsi di toni pedagogici ed edificanti, ed il suo linguaggio a cristallizzarsi in stucchevole maniera pseudo naïve: molte delle poesie raccolte in La Madonna nera rasentano l'arcadia contaffina ("Cantiamo fratello! / Chi canta e lavora, / non soffre la noia / non sente rovello" ecc.), mentre la stessa ricetta folclore più modernité dà esiti assai meno convincenti che per l'addietro (v. per es. Gli occhi, che combina Eluard con l'enigmistica popolare, in chiave didascalico-religiosa: e cfr. Gioco e fantasia, pp. 131 s.). Senz'altro migliori le poesie di U vascidduzzu; ma tutto sommato lo si deve forse solo alla martellante forza iterativa con cui l'autore ha saputo usare il suo aspro, faticoso dialetto ("Cci mannarru e la cartullina / a n-surdatu muortu. / A n-surdatu muortu / cci mannarru la cartullina!" ecc.): ché per il resto l'intenzione pacifista della raccolta - con le sue intonazioni vagamente umanitarie ed esplicitamente interclassiste - non offre apprezzabili spunti critici nei confronti della realtà contemporanea. Quanto alla silloge 'A pici, si tratta solo di una nuova edizione (con traduzione a fronte) della serie A pruvulista di Voluntas tua: pochi i ritocchi, ma tali da giustificare l'impressione di una patina edulcoratrice (cfr. per es. il sonetto XXIII di A pruvulista con quello che ne ha preso il posto in 'A pici). E sostanzialmente edulcoratrice appare la stessa attività demopsicologica del D., tutt'intesa com'è ad una programmatica celebrazione della saggezza, dell'arguzia e delle doti poetiche popolari, e perciò priva di strumenti idonei alla decifrazione dell'universo simbolico dei contadini siciliani (anzi addirittura sovente discutibile sullo stesso piano filologico: non a caso, la giuria che conferì il premio Viareggio agli Indovinelli si mostrò incerta se considerarli opera di poesia o di folclore).
Il D. morì a Messina il 25 maggio 1960.
Gli amici (soprattutto S. Pugliatti) e il figlio Salvatore cercarono di perpetuarne la memoria mediante l'istituzione di un premio di poesia, da celebrarsi alternativamente nelle due piccole patrie del poeta, quella nativa, Ragusa, e quella adottiva, Messina: e tale iniziativa' nonostante qualche battuta d'arresto, è sopravvissuta alla scomparsa dei suoi principali promotori.
Opere. Opere poetiche: Voluntas tua, Roma 1926 (ora con pref. di G. Miligi, Milano 1979); Il fante alto da terra, Milano 1932 (ora con pref. di S. Pugliatti, ibid. 1975); La santa vecchietta, Messina 1942; La Madonna nera, ibid. 1955; U vascidduzzu, ibid. 1956; Fichidindia, ibid. 1956; Non scappare Gesù, Ragusa 1957; 'A pici, ibid. 1958. L'inedito Tablettes è apparso per la prima volta a cura di J. P. de Nola, con prefaz. di G. Miligi, in Revue des études italiennes, XXII (1976), 35 pp. 247-63, e poi in vol., Pesaro 1979. Ancora G. Miligi ha curato la plaquette (contenente scritti apparsi su periodici, ma anche inediti o brani di inediti) Vann'Antò futurista, Milano 1975. Ricordiamo che il D. tradusse in versi la prima e l'ultima redazione di L'Après-midi d'un faune di Stefano Mallarmé, Messina 1947, e curò (in collaboraz. con S. Pugliatti) un'antologia delle opere di L. Pignato (Erbe tra pietre, Caltanissetta 1959). Studi sulla poesia popolare: Poesia dell'indovinello popolare siciliano, Messina 1944; Indovinelli popolari siciliani, Caltanissetta 1954; Giocoe fantasia, ibid. 1956. Il D. inoltre diede una sua libera lettura di La baronessa di Carini, Messina-Firenze 1958, e curò un'antologia dei versi di G. Bonafede (La primavera e i dodici mesi dell'anno, Ragusa 1959). Per una sua polemica con P. P. Pasolini, v. Il Contemporaneo, III (1956), 22, p. 8; 25, p. 4; 28, p. 4. Tra i numerosi libri per le scuole ricordiamo: Li così nuvelli (in collaboraz. con L. Nicastro), I-III, Firenze 1924-25, e Arione (in collaboraz. con L. Pignato), Messina-Firenze 1941. In dispense uscì il corso di storia delle tradizioni popolari per l'anno accad. 1944-45, Il dialetto del mio paese (fonologia), Messina s. d. Antologie: Vann'Antò, Messina 1960; Vann'Antò. Poesia, con una premessa di S. Pugliatti, ibid. 1971.
Fonti e Bibl.: Per un'informazione biobibliogr.: Premio di poesia Vann'Antò (Messina), numero unico a cura di B. Belfiore, 24-26 ott. 1974. Per una storia della fortuna critica: R. M. Monastra, Vann'Antò. L. Pignato. P. Mignosi, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, LXXVI (1970), I, pp. 241-48. Sull'ambiente culturale messinese, notizie utili in G. Miligi, Gli anni messinesi di G. La Pira, Milano 1980. Profili d'insieme e valutazioni complessive: S. F. Romano, Vann'Antò D. G., in Belfagor, XVI (1961), 3, pp. 367-70; G. Petrocchi, Profilo di Vann'Antò, in L. Berti, I fiori del malessere, Messina 1962; S. Pugliatti, Mondo poetico di Vann'Antò, Messina 1963; U. Migliorisi, L'ideologia di Vann'Antò, in L'Opposizione di sinistra [Ragusa], 28 luglio e 23 ott. 1969; A. Piromalli, Vannantò, in Letteratura italiana (Marzorati), I contemporanei, IV, Milano 1974, pp. 239-75; R. M. Monastra, Il figlio del minatore tra Marinetti e Pitrè, in Cronache di una provincia [Ragusa], I (1980), 1, pp. 12-15; A. Corsaro, Vann'Antò, in Diz. d. lett. mondiale del Novecento, a cura di F. L. Galati, Roma 1980, III, p. 3128. Sulla produzione giovanile e sulla fase futurista: G. Miligi, prefaz. a Vann'Antò futurista, cit. (e cfr. M. Dall'Aglio, Vann'Antò futurista, in Nuovi Quaderni del Meridione, XV [1977], 57, pp. 80-84); Id., Il primo Vann'Antò, in Atti dell'Accademia Peloritana dei Pericolanti. Lettere, filosofia e belle arti, LVI (1980), pp. 47-69. Su Tablettes: G. Miligi, Le "Tablettes" di Vann'Antò, in L'Osserv. politico letterario, XXVI (1980), 1, pp. 81-87. Su Voluntas tua, o in genere sulla produzione dialettale: R. Spongano, Poesia di Sicilia, in Il Baretti, IV (1927), pp. 54 ss.; M. Todaro Faranda, Vann'Antò: "Voluntas tua", in L'Educaz. nazionale, XIV (1932), pp. 409-21; P. P. Pasolini, La poesia dialettale del Novecento [1952], in Passione e ideologia, Milano 1960, pp. 9-138 (in partic. pp. 37 s.); L. Sciascia, Appunto su Vann'Antò, in IlBelli, II (1953), 3, p. 61; P. P. Pasolini, Vann'Antò traduttore di Eluard, ibid., IV (1955), 2, p. 21. Sul Fante: G. Lombardo Radice, in L'Educaz. nazionale, XIV (1932), pp. 263 ss. (recens.); G. A. Levi, in La Nuova Italia, III (1932), pp. 316 s. (recens.); G. Ungaretti, Popolo d'Italia in guerra, in Il Tevere, 8 luglio 1932; A. Piromalli, I poeti della primaguerra mondiale, in Studi sul Novecento, Firenze 1969, pp. 21-49 (in partic. pp. 38-42); S. Pugliatti, introduz. a Il fante alto da terra, cit.; M. Perriera, Vann'Antò (La distrazione del travet), in L'avvenire della memoria, Palermo 1976, pp. 63-92; P. Mazzamuto, Il primo Vann'Antò ovvero l'intellettuale siciliano e la prima guerra mondiale, in La presenzadella Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni. Atti del Conv. stor. internaz. (Palermo, 20-25 ott. 1975), Palermo 1977, I, pp. 464-75; A. Guglielmi, I futuristi e il figlio del minatore, in Carta stampata, Roma 1978, pp. 35-38. Su Li cosi nuvelli: G. La Pira, Il dialetto nella scuola, in L'Eco della Sicilia edelle Catabrie, 23 sett. 1924. Sugli Indovinelli, v. le recensioni di A. M. Cirese, in La Lapa, II (1954), pp. 59 s., e in Letteratura, II (1954), pp. 100 s., e quella di M. Boselli, in Il Belli, III (1954), 3, pp. 47-48. Su La baronessa di Carini: M. E. Alaimo, La baronessa di Carini in una lettura di Vannantò, in Giornale di Sicilia, 26 apr. 1958; A. Rigoli, Labaronessa di Carini. Tradizione e poesia, Palermo 1975, pp. 33-34. Complessivamente, sull'attività demopsicologica del D.: A. Fragale, Postille sull'"altro" Vann'Antò, in Lares, XLVI (1980), pp. 295-334.