DESIDERIO da Settignano
Figlio di Bartolomeo di Francesco, detto Meo di Ferro, che nel 1427 era contadino nella parrocchia di S. Maria a Settignano e, probabilmente, di una Andrea, nacque nel 1429 o nel 1431 (secondo le dichiarazioni per le tasse rispettivamente del marzo 1458 e del dicembre del 1459). Se non diversamente indicato, per i documenti relativi a D. si veda Kennedy, 1930, pp. 259-291.
Ebbe due fratelli tagliapietre: Francesco, nato nel 1412-13 e Geri, nato nel 1422-23. Tutti e tre i fratelli risultano immatricolati all'arte dei "maestri di pietra e legname": Geri nel 1447, Francesco nel 1451 e il 20 giugno 1453 D., il quale ottenne una riduzione della tassa di immatricolazione per il fatto che a quella data era iscritto anche il padre. Nella sua dichiarazione di estimo per il 1451 il padre dichiarava appunto che egli stesso, come i tre figli, era "scharpellatore". Per un periodo di almeno due anni (dal 1457 al dicembre 1459) D. e Geri si divisero la bottega che affittavano da Antonio Panciatichi a ponte S. Trinita a Firenze; nel 1459 si dichiarava che Francesco "tiene et abita" "una chasetta chon uno pezuolo di terra ..." (Kermedy, 1930, p. 273). Secondo documenti spogliati nel sec. XVIII da D. M. Manni (cit. in Cardellini, 1962, p. 8 n. 5), i due fratelli si divisero nel 1461, ma non ci è possibile verificare questa notizia. Nel 1456 Geri e D. comprarono una casa in via S. Maria nella parrocchia di S. Pier Maggiore a Firenze, casa che pare fosse affittata, l'anno dopo, a Leonardo muratore, detto Besso, ma che nel 1458-59 fu abitata dai due fratelli.
D. sposò una Lisa. Dei suoi figli, due maschi furono tagliapietre: Bernardino, nato nel 1462-63 (immatricolato il 2 dic. 1489) e Cornelio, nato nel 1463-64.
D. morì per causa ignota e fu sepolto in S. Pier Maggiore, a Firenze, il 16 genn. 1464.
La carriera di D. non è ben documentata; il 26 febbr. 1453 valutava i rilievi del Buggiano per il pulpito di S. Maria Novella. Numerosi pagamenti da parte di Bartolomeo Serragli negli anni 1455-57 documentano (Corti-Hartt, 1962, pp. 163-166) opere di D. che probabilmente gli erano state commissionate per conto di terzi o che il Serragli intendeva rivendere. Il 5 e il 16 apr. 1455 D. fu pagato per una Madonna in marmo che già era stata consegnata. Pagamenti del 13 e 23 ag. 1455, e probabilmente anche dell'11 agosto dello stesso anno, si riferiscono a una serie di dodici teste non meglio descritte. Questa commissione è stata messa in relazione (ibid., p. 157 n. 12) con una lettera del Serragli a Giovanni de' Medici del 12 nov. 1453, che parla di dodici teste tratte da medaglie che dovevano essere ordinate per lo studio di quest'ultimo. È stato ritenuto (Middeldorf, 1979) che le teste per le quali D. fu pagato fossero busti in rilievo dei Cesari, uno dei quali, Giulio Cesare, è tuttora conservato al Louvre.
Il 26 ag. 1455 D. ricevette una caparra per una testa in marmo; si riferiscono ad opere non specificate pagamenti del Serragli a D. in data 27 sett. e 21 ott. 1455. Il 22 maggio dell'anno dopo D. fu pagato per due acquai e un caminetto (forse quello oggi al Victoria and Albert Museum di Londra); il 12 ottobre dello stesso anno ricevette il pagamento per una testa in marmo che ancora doveva essere consegnata; il 24 dic. 1457 fu parzialmente pagato dal Serragli per due teste di marmo. In questi documenti (Corti - Hartt, 1962) compaiono i nomi di due aiuti di D.: Ghirigoro e Gianni (non è documentabile l'identificazione del primo con Gregorio di Lorenzo di Jacopo fatta da Middeldorf, 1976, p. 18, e 1979, p. 296). Nella primavera del 1458 la bottega di D. fornì a Vittorio di Lorenzo Ghiberti davanzali per le finestre della villa del padre a Settimo (P. Ginori Conti, Un libro ... di L. e V. Ghiberti, in Rivista d'arte, XX[1938], p. 294).
Il 2 apr. 1460 Roberto Martelli si impegnò davanti alla Mercanzia a pagare i debiti di D. con Simone Baccelli e con l'arte dei maestri di pietre e legname; il 22 apr. 1460 Martelli depositava la somma promessa e Baccelli riceveva il dovuto. Ma il debito di D. con la corporazione fu infine annullato. Un'altra volta Antonio Pollaiuolo versò dei soldi alla Mercanzia per saldare un debito di D. con Domenico di Francesco speziale: questi ricevette una parte di questi soldi il 3 nov. 1461 (Beck, 1984, docc. I-III). Sempre nel 1461, D., tra gli altri, fu pagato per un progetto (disegno) della cappella della Madonna della Tavola nel duomo di Orvieto.
Il 7 ott. 1462, o 1463, ricevette 2 fiorini larghi per una testa del cardinale di Portogallo (Hartt-Corti-Kennedy, 1964, p. 144 doc. 8). Questo pagamento compare tra i documenti relativi alle spese per l'erezione della cappella e della tomba del cardinale di Portogallo in S. Miniato al Monte a Firenze, ma il rapporto tra questa testa e la tomba non è stato spiegato adeguatamente.
La corrispondenza tra Francesco Sforza, a Milano, e Nicodemo Tranchedini, ambasciatore milanese a Firenze, documenta la vendita di rilievi di D. con Madonna (Spencer, 1968).
Il 10 febbr. 1462 Francesco Sforza scriveva a Tranchedini di aver saputo che erano pronte "doe belle Imagine et figure de nostra dona de gesso ornate de oro: et colorite", commissionate a D. per un prezzo tra i 22 e i 25 ducati, e dava quindi istruzioni a Tranchedini perché le pagasse e le spedisse e continuava: "volemo che te informi ... se lha veruna altra figura de marmo pur de nostra dona che sy bella ... et della valuta dessa: et della grandezza". Il 17 febbr. 1462 Tranchedini riferiva sulla sua visita a D.: lo scultore non aveva pronta alcuna Madonna "ne de marmore ne de gesso, ne de pietra cotta ne de verunaltra materia ...", né aveva intenzione di mettersi a farne nessuna sino a che non avesse esaurito i suoi impegni di lavoro con S. Lorenzo che l'avrebbero tenuto occupato "ancora per un bon pezzo" (tutti i docc. in Speneer, 1968; la Pietà, inserita nel tabernacolo di S. Lorenzo, di D., è forse tra questi lavori).
Nelle Ricordanze di Neri di Bicci vengono nominate delle Madonne a mezza figura in rilievo.
I rilievi venivano posti in cornici di legno simili a tabernacoli con pilastri, architravi e timpani, e venivano poi dati a Neri perché li colorasse e dorasse: pigmenti e dorature venivano applicati sia alla cornice sia al rilievo, che fosse di stucco o di marmo. Gli acquirenti appartenevano alla classe artigiana di Firenze che comprava per le proprie case questi rilievi a scopo devozionale. Il 3 genn. 1461, infatti, Neri (pp. 156 s.) documenta la consegna a un orafo di una Madonna del D. in marmo, dipinta e dorata. Il 4 giugno 1462 Neri (p. 186) registra la vendita di "una ½ Nostra Donna (di legniame) di gesso di pocho rilievo e Nostro Signiore che abbracc[i]a Nostra Donna ingnudo, di mano di Desidero ... tuta bene ornata e cholorita": descrizione che si addice al tipo della Madonna della Gall. Sabauda a Torino, la quale, anche se, come è assai probabile, è un falso, riproduce chiaramente una composizione originale (cfr. Gabrielli, 1971, p. 261, ill. 34). Pare che tali rilievi abbiano continuato a sortire dalla bottega anche dopo la morte del maestro: il 19 febbr. 1465 (p. 239) Neri consegnò a un battiloro una "Nostra Donna di gesso di mano di Disidero cho Nostro Signiore in chollo ch'è mezo fasc[i]ato". Il Kennedy (1930, p. 257) ha plausibilmente identificato questo rilievo con una replica della Madonna Foulc nel Philadelphia Museum of Art.
Tra i primi collezionisti di opere di D. fu Giovanni Rucellai; inoltre l'inventario di palazzo Medici in via Larga, compilato dopo la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, elenca due pezzi di D.: "una testa di marmo di tutto rilievo" valutata 3 fiorini e "una storia di Fauni e altre fighure "valutata 10 fiorini (E. Müntz, Les collections des Médicis au XVe siècle, Paris-London 1888, pp. 288 s.). Anche la frequenza con la quale il nome di D. appare nelle fonti è indicativa della sua fama.
Tra il 1460 e il 1464 Filarete lo incluse tra i "buoni maestri" (p. 258) ai quali avrebbe voluto far scolpire i rilievi di Sforzinda. Nel 1480-81 Landino definì D. "grandissimo e dilicato e vezoso e di somma grazia e el quale molto ripuliva le cose"; Giovanni Santi (Cronaca rimata delle imprese del duca Federico…, a cura di H. Holtzinger, Stuttgart, 1893, p. 189 v. 136), che scriveva tra il 1482 e 1484, lo chiamò "el vago desyder si dolce e bello". Fonti antiche attribuiscono a Donatello l'educazione artistica di D.: Vasari (1568, p. 399) seguito dal Borghini (1584, p. 338) definisce D. "imitatore della maniera di Donato", e nella vita di Donatello lo elenca (p. 223) fra i "discepoli" di quest'ultimo. Effettivamente nelle opere sicure di D. il suo stile appare più debitore verso Donatello che verso qualsiasi altro scultore: ma questi debiti non possono dipendere da un alunnato diretto perché tra il 1443 e il 1453 - gli anni di formazione di D. - Donatello era a Padova. Una lettera di Baccio Bandinelli (in G. Bottari, Raccolta di lettere…, Milano 1822, I, p. 105) è l'unica testimonianza, ma certamente porta fuori strada in quanto include D. tra gli aiuti del Ghiberti; né D. può essere stato molto influenzato dai suoi fratelli (o da suo padre), che sembrano aver adottato la professione di scalpellino piuttosto tardi: non c'è nessuna documentazione che membri della sua famiglia abbiano praticato quest'arte durante i suoi primi anni di apprendistato.
È stata avanzata l'ipotesi (Markham, 1963 e 1977) che D. abbia fatto il tirocinio nella bottega di Bernardo Rossellino, il principale centro per la scultura in marmo nella Firenze della metà del secolo. Conferma di questo si può trovare in tre opere accertate di Rossellino a Firenze, che nello stile rivelano l'intervento di Desiderio.
Si tratta dei tabernacolo di S. Egidio per il quale Bernardo Rossellino fu pagato tra il febbraio e l'aprile 1450, dove il difettoso angelo di destra può essere ascritto a un D. ancora immaturo e datato ipoteticamente al 1448 c.; della Tomba di Leonardo Bruni in S. Croce dove il volto della Madonna e altri dettagli minori sono stati evidentemente eseguiti da D. tra il 1449 e il 1450 c.; e della Tomba della beata Villana in S. Maria Novella che fu commissionata a Rossellino nel luglio 1451, nella quale l'effigie è attribuibile a D. ormai padrone della sua tecnica. Benché questa attribuzione non abbia trovato unanimi consensi, essa è sostenuta anche dal fatto che la tomba era stata assegnata ripetutamente e quasi all'unanimità a D. dalla fine del secolo XV sino alla scoperta del documento di commissione a metà del sec. XVIII (per tutta la documentazione cfr. Markham, 1963, pp. 35 ss.; 1977, pp. 111, 163 s.).
A parte la Tomba della beata Villana, solo quattro delle opere menzionate nelle antiche fonti possono essere identificate con certezza con opere esistenti: la Tombadi Carlo Marsuppini in S. Croce a Firenze con la lastra tombale del padre di Carlo, Gregorio, sul pavimento ai piedi della tomba; il tabernacolo del Sacramento in S. Lorenzo a Firenze; la statua di legno della Maddalena in S. Trinita, sempre a Firenze, che è ricordata come iniziata da D. (Albertini, 1510) e finita da Benedetto da Maiano (Vasari, p. 403); e un tondo con le teste di Gesù Bambino e s. Giovannino oggi al Louvre (nella seconda metà del sec. XVI si trovava nella guardaroba di palazzo Vecchio: cfr. Vasari, p. 402).
II cancelliere fiorentino Carlo Marsuppini morì il 24 apr. 1453 e la sua tomba è in generale datata, erroneamente, a poco dopo la sua morte; ma una lettera dell'umanista aretino Francesco Griffolini a Piero de' Medici del 19 luglio 1459 (A. Fabroni, Magni Cosmi Medicei vita, II, Pisa 1788, pp. 219 s.) tratta degli sforzi fatti dal Griffolini, su richiesta di Piero, per comporre un degno epitaffio per il Marsuppini, documentando che la tomba non poteva essere finita prima della metà del 1459 e che probabilmente veniva progettata solo in quel momento; la lettera prova inoltre che Piero de' Medici fu in qualche modo responsabile per questa impresa, ed esiste peraltro una lettera, inedita, di Antonio Martelli a Piero de' Medici del 7 giugno 1459 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, XVII, 207) che esorta Piero a scegliere l'epitaffio per il Marsuppini prima della festa di S. Giovanni. Già G. Zippel (C. Marsuppini... notizie bibliografiche, Trento 1897, ora in Id., Storia e cultura del Rinascimento italiano, Padova 1979, p. 211) aveva individuato l'importanza della prima lettera per la datazione della tomba. E. Gamurrini (Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, Firenze 1668, I, pp. 120 s.) riteneva che fosse stato Giovanni Marsuppini a far erigere la tomba del fratello Carlo, ma evidentemente fu tratto in errore dalla lastra tombale di Gregorio, padre dei due, il cui epitaffio attribuisce a Giovanni l'iniziativa della lastra, ma non quella della tomba. I pochi tratti stilistici affioranti dall'effigie estremamente consunta convalidano l'attribuzione della lastra tombale a D. già fatta da Vasari (p. 402). La tomba, invece, è largamente opera di aiuti: mentre il progetto è sicuramente di D., solo la faccia del putto reggistemma alla sinistra dello spettatore e la decorazione del sarcofago reggono il confronto con le cose migliori di Desiderio.
Il 1º ag. 1461 il sagrestano di S. Lorenzo registrava l'installazione di un tabernacolo per il Sacramento. In un inventario del 1507 il tabernacolo di D. compare al posto di un altare nella cappella Medici dei Ss. Cosma e Damiano alla testa del transetto di sinistra della chiesa (Parronchi, 1980). Allora, la Pietà non faceva parte dell'insieme né serviva come fronte dell'altare. Nel 1510 si pensò che "l'ornatissimo Tabernacolo conveniente a tanto Sacramento" (D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche ... di S. Lorenzo…, I, Firenze 1816, p. 132 n. 1), che era stato eretto dai Medici, poteva giustificare il trasferimento del Ss. Sacramento nella loro cappella. L'evidenza dei fatti induce quindi a ritenere che il tabernacolo del sacramento di D. fu ordinato dai Medici per la loro cappella in S. Lorenzo e che fu terminato a metà del 1461: non sono state fornite giustificazioni plausibili per considerare che il tabernacolo fosse collocato, in un primo tempo, in altro luogo della chiesa (Parronchi, 1980; Beck, 1984). Nel 1499 il Gesù Bambino al sommo dell'altare fu rimpiazzato da una replica di Baccio da Montelupo (Beck, 1984); da allora quello di D. fu conservato nella sacrestia per essere esposto sull'altare a Natale. Il Gesù Bambino di Baccio non è mai stato identificato; quello di D. è tornato nella sua collocazione originale in cima al tabernacolo: il Gesù Bambino del Cleveland Museum of Art, spesso attribuito a Baccio o a D., non è di nessuno dei due.
Nel 1510 l'Albertini ricordava che D. aveva lavorato nella cappella de' Pazzi a S. Croce. Certo i trenta tondi con Teste di cherubini sul fregio del portico corrispondono, per stile, all'opera di D. e della sua bottega confermando l'affermazione dell'Albertini; la data 10 luglio 1461, incisa sull'estradosso della cupola del portico, stabilisce una data approssimativa per l'esecuzione di questi tondi. Il tabernacolo in S. Pier Maggiore è ricordato come di D. dall'Albertini, dagli anonimi Ricordi (1550) e dal Vasari (p. 401). Esso è generalmente identificato con il ciborio della National Gallery di Washington dove i dettagli decorativi sono nello stile di D. ma che diverge per molti rispetti dalla descrizione del ciborio di D. data dal Bocchi (1591); né d'altra parte ci sono elementi sufficienti per decidere se questo ciborio proviene da un'altra chiesa e quindi forse da un'altra bottega, o se Bocchi sbagliò nella sua descrizione.
Vasari (p. 400) scrive che D. "fece nella sua giovanezza il basamento" del David bronzeo di Donatello, sparito dopo che fu staccato dal David alla fine del sesto decennio del '500. La prima descrizione di questa base risale al 1511 (G. Cambi, cit. in Landucci), quando la statua già era stata trasferita dal cortile di palazzo Medici a quello di palazzo Vecchio. La descrizione parla di fogliame in bronzo applicato a una matrice in marmo: motivo da mettere in rapporto con la tomba di Piero e Giovanni de' Medici del Verrocchio nella sacrestia vecchia di S. Lorenzo; se l'attribuzione è esatta, questa sarebbe l'unica opera in bronzo di D. di cui sappiamo finora.
Numerose opere sono state attribuite a D. su basi stifistiche: criterio dubbio, purtroppo, se si tien conto dello straordinario influsso che D. ebbe sugli scultori coetanei e sui più giovani, come Antonio Rossellino, Verrocchio, Francesco Ferrucci, Pietro Lombardo, il Maestro delle statuette di S. Giovanni, e della grande popolarità di D. tra i falsari del sec. XIX. Pertanto qualsiasi catalogo dell'opera di D. non può essere che il risultato di convizioni personali e provvisorie.
Alle opere già nominate possono essere tranquillamente aggiunte le seguenti: Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, il cosiddetto Busto di Marietta Strozzi. Firenze: Museo nazionale (Bargello), rilievo con S. Giovannino; Madonna Panciatichi; S. Giovannino Martelli; S. Lorenzo, Pietà e busto di S. Lorenzo o S. Leonardo; S. Trinita, S. Maria Maddalena (cominciata da D., finita da Benedetto da Maiano). Londra: Victoria and Albert Museum, Madonna Dudley; caminetto con stemma Boni. Parigi: Louvre, rilievo con Giulio Cesare. Vienna: Kunsthistorisches Museum, busto di Bambino che ride. Washington: National Gallery, due busti di Bambino (Mellon e Kress) e rilievo con S. Girolamo penitente (una replica autografa a New York, coll. Michael Hall: Wittkower, 1971-72).
Il busto di Giovane donna del Museo nazionale di Firenze, come anche l'originale della Madonna Foulc, potrebbero essere stati eseguiti nella bottega di D. dopo la sua morte.
Nella Tomba Marsuppini D. adottò il formato della Tomba Bruni del Rossellino; nel tabernacolo di S. Lorenzo applicò la costruzione prospettica della Trinità di S. Maria Novella di Masaccio allo schema del tabernacolo di S. Egidio del Rossellino. Caratteristica degli adattamenti di D. è l'enfasi data alla dimensione verticale; le varie parti sono assottigliate e allungate, ed è indicato con chiarezza l'asse verticale centrale. L'ornamentazione si espande sottile, lineare e libera, coprendo ogni superficie, rompendo i confini, rivestendo gli spigoli.
D. manifestò una decisa preferenza per il rilievo: anche nelle statue a tutto tondo tende ad annullare le protuberanze e a spianare le superfici mentre le membra delle figure si stendono lateralmente. A volte adotta lo schiacciato di Donatello; a volte incide profondamente, in sottosquadro, i profili del bassorilievo in modo che le forme appaiono staccate dal fondo e i bordi sono accentuati da una linea di ombra. Gli schemi compositivi della superficie con l'aspra collisione delle diagonali, traspongono sul piano le superfici arretranti del rilievo. Alle simmetrie formali, alle corrispondenze di contorni, alle curve facili e avviluppanti preferisce passaggi improvvisi e inattesi: tali dissonanze riflettono gli stati emozionali delle sue figure estroverse che manifestano i loro sentimenti repressi di dolore o di allegria o di estasi; espressioni che talvolta confinano con la caricatura sono accompagnate da movimenti contorti e dita che sembrano deformate dall'artrite. Un virtuosismo pari a quello di D. è raro a trovarsi nella scultura in marmo di tutti i tempi. Le sue superfici non sono mai ferme, eppure i passaggi sono estremamente delicati: i primi critici hanno spesso osservato che le immagini di D. sembrano modellate nella cera piuttosto che scolpite nella pietra. Una politezza straordinaria dà alla pietra la capacità di riflettere abbondantemente la luce, rendendo trasparenti le ombre. Vasari restò meravigliato della varietà di materiali che lo scalpello di D. riusciva a evocare "ali ... piumose, ... nicchia ... d'osso ...); ancora più stupefacente è la capacità di D. di riprodurre in marmo gli effetti della prospettiva atmosferica. A questo fine egli sopprime la distinzione tra forme concave e convesse, interrompe contorni incisi, limita la linea a una incisione sottilissima o la elimina del tutto; così succede talvolta che i capelli o i drappeggi non posseggano maggior articolazione formale di quanta ne possano conferire ai solidi adiacenti zone traforate apparentemente a caso. Mentre effetti impressionistici di questo tipo venivano adottati da Donatello per oggetti dello sfondo, D., seguendo Bernardo Rossellino, li utilizza per figure in primo piano. La Madonna Dudley, per esempio, sembra avviluppata in uno strato palpabile di aria, penetrato solo parzialmente dalla luce. Per la sottigliezza del modellato e il carattere mutevole dell'espressione, la lezione dell'arte di D. fu compresa appieno solo da Leonardo.
Fonti e Bibl.: Per la bibl. fino al 1961 c. si veda U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon IX, pp. 132 s. e I. Cardellini, 1962, pp. 295-306; in particolare cfr. Giovanni Rucellai ed il suo Zibaldone, I, Il Zilbaldone quaresimale, a cura di A. Perosa, London 1960, pp. 23 s.; A. Averlino detto il Filarete, Trattato di archit., a cura di A. M. Finoli - L. Grassi, Milano 1972, ad Indicem; C. Landino, Scritti critici e teorici, a cura di R. Cardini, Roma 1974, I, p. 125; Neri di Bicci, Le ricordanze (10 marzo 1453 - 24 apr. 1475), a cura di B. Santi, Pisa 1976, ad Indicem; F. Albertini, Memoriale di molte statue ... di Florentia, Firenze 1510, pp. 7, 9 s.; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp. 3, 312 n. 1; G. Vasari, Le vite ... nelle redaz. del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, III, Firenze 1971, pp. 223, 399-403; Ricordi antichi d'arte fiorentina (c. 1550), a cura di P. 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