DEPOSITO (XII, p. 633)
Diritto romano. - La definizione moderna del deposito è conforme alla definizione di questo contratto (depositum, depositio) nel sistema del diritto romano giustinianeo; ma il deposito non nacque nel diritto romano come contratto: la legge delle XII Tavole (Paolo, Sent., II, 12, 11; Coll., X, 7, 11) colpiva come delitto l'infrazione della fides da parte di colui che si era assunto di custodire e restituire la cosa ricevuta. Come la fiducia, come il comodato, come il pegno, il deposito percorse una fase iniziale in cui fu privo di riconoscimento e difesa contrattuale. Rei vindicatio, actio poenalis ex lege XII tabulantm, actio legis Aquiliae per i deterioramenti imputabili al depositario, sono i mezzi processuali concessi originariamente al deponente. Lo svolgimento storico della protezione del deposito cade nel periodo del processo formulare. La difesa fu anzitutto pretoria: ne è prova l'esistenza di un apposito editto con cui il pretore promette di dare un giudizio in base al mero fatto dell'avvenuto deposito (Dig., XVI, 3, depos. v. contra, 1, 1). L'intervento del pretore si esplicò, come solitamente, mediante la concessione di un'actio in factum, la cui formula ci è conservata in Gaio (Inst., IV, 47): soltanto nel sec. I dell'impero la giurisprudenza riassunse questo rapporto nello ius civile e lo riconobbe come contratto.
Conseguenza di questo riconoscimento fu l'inserzione, nell'editto pretorio, di una formula concepita in ius accanto alla formula in factum concepta.
Caratteristica del deposito è la sua gratuità. Per ciò appunto nel diritto classico la responsabilita del depositario era limitata al dolo: avvenuta nel diritto postclassico giustinianeo l'equiparazione della culpa lata al dolo, il depositario risponde anche per colpa grave; e, scorgendo i giustinianei un agire doloso in chi non custodisce la cosa depositata con quella diligenza solitamente adoperata nella custodia delle proprie cose, risponde nel diritto giustinianeo anche per la cosiddetta colpa in concreto (Dig., XVI, 3, depos. v. contra, 32: testo gravemente alterato). La dottrina comune ritiene che la responsabilità tipica del depositario possa subire alterazioni convenzionali sia nel senso dell'aggravamento, sia nel senso della diminuzione del grado di responsabilità.
Figure speciali di deposito sono il deposito necessario, il deposito irregolare, il sequestro.
Col nome di deposito necessario o miserabile gli autori designano il deposito fatto in caso di imminente pericolo, qualora il deponente non si trovi nella possibilità di provvedere alla salvezza della cosa se non affidandola all'altrui custodia. Suscita particolare ripugnanza in questo caso l'eventuale infedeltà del depositario e l'ordine pubblico ha particolare interesse di evitare che individui poco onesti approfittino di incendio, naufragio, o altra calamità per avvantaggiarsi. Date queste ragioni, il pretore introdusse un'azione di manifesto carattere penale, in duplum, cioè nel doppio del valore della cosa.
Il deposito irregolare, cioè il deposito di cose fungibili (principalmente di somme di denaro) consegnate col patto di restituzione nel genere, non fu ammesso, secondo una opinione largamente diffusa e particolarmente difesa da J. C. Naber e da C. Longo, dalla giurisprudenza classica. Questa riteneva che un contratto, in cui il depositario non fosse tenuto a restituire l'eadem res, ma il tantundem, o in cui si obbligava a corrispondere interessi, non potesse considerarsi deposito, ma mutuo. È esplicito in questo senso un testo del giureconsulto Paolo nella Collatio (X, 7,9): si pecuniam deposuero, eamque tibi permisero, mutua magis videtur quam deposita (cfr. anche Dig., XII,1, de reb. cred., 9, 9; 10). Diversamente decidono i compilatori giustinianei, i quali considerano esservi deposito anche quando esplicitamente o implicitamente è concessa al depositario facoltà di usare della cosa depositata (sono da essi interpolati i seguenti testi: Dig. XVI, 3, depos. v. contra, 29, 1, come emerge dal confronto con Coll., X, 7, 9; XVI, 3, 24; 25, 1; 26, 1). Vi ha chi pensa (G. Segrè) che la figura del deposito irregolare fosse ammessa nell'età classica già dal giureconsulto Papiniano: ma questa tesi è vivamente combattuta (C. Longo). Ragioni pratiche fecero sì che il diritto giustinianeo venisse incontro all'intenzione delle parti che, anche quando vi era un permesso esplicito o implicito di usare della cosa depositata, volevano ciò non di meno configurare il negozio come deposito anziché come mutuo. Tali erano: la circostanza che il deposito è contratto tutelato da azione di buona fede, mentre non è tutelato da azione di buona fede il mutuo; la circostanza che l'actio depositi consentiva al giudice di tenere conto degli interessi moratorî, e non così la condictio derivante dal mutuo; la circostanza che nel deposito si poteva stabilire la prestazione di interessi col semplice patto, mentre nel mutuo era necessaria la stipulatio usurarum; la circostanza, infine, che l'azione di deposito anche in questo caso era infamante per il condannato e che anche a questo caso si estendeva l'esclusione dalla compensazione che il diritto giustinianeo aveva sancita in materia di deposito.
Bibl.: G. Rotondi, in Scritti giuridici, Milano 1922, II, pp. 1-136; E. Costa, Storia del diritto romano privato, 2ª ed., Torino 1926, p. 364 segg.; C. Longo, Corso di diritto romano, Il deposito, Milano 1933. Sul deposito irregolare, v. specialmente: J. C. Naber, Observatiunculae de iure romano, in Mnemosyne, XXXIX, p. 59 segg.; C. Longo, Appunti sul deposito irregolare, in Bull. ist. dir. rom., XVII (1906), p. 121 segg.; G. Segré, Sul deposito irregolare in dir. rom., in Bull. ist. dir. rom., XIX (1907), p. 197 segg.
Diritto moderno. - Per le fedi di deposito rilasciate dai magazzini generali, v. magazzino, I magazzini generali, XXI, p. 867.