DEMETRA (Δθμήτηρ, Demēter)
Dea madre dei Greci che nel nome stesso - sia che derivi da δή = γῆ (terra) o dalla parola cretese δηαί = ion. Ζειαί, orzo - rivela la sua natura agraria (v. anche cerere).
Sulle tavolette di Pylos da ma te è stata interpretata come "terra da grano" o "famiglia". Raramente menzionata da Omero (Il., v, 499; Hesiod., Op., 597, 805) D. è strettamente legata alla figlia Kore tanto da essere spesso confusa con lei e indicata come parte integrante di un binomio divino: τὼ ϑεώ, τὼ ϑεσμοϕόρω chiama Aristofane le dee (Thesmoph., vv. 83, 282, 295) ed in un'iscrizione rodiota esse sono addirittura indicate come Δημήτερες (in Archiv für Religionswiss., xxxii, 1935, p. 87). Madre delle seminagioni dei frutti della terra, ad essi legata sia nelle feste Tesmoforie (Herod., ii, 171) che nelle Aloe (Luc., Dial. meretr., p. 279, 24 ss.) e nelle Talisie o feste delle messi (Hesych., s. v. synkomistèria) essa ha il suo punto culminante nel mito del ratto della figlia Kore, che forma lo ἱερός λόγος del culto di Eleusi, noto attraverso l'inno omerico a Demeter della fine del VII sec. a. C. Anche qui D. è dea essenzialmente agreste, ed il culto eleusinio, col ricordo del ratto di Kore, è il centro della religione di Demetra. Un aspetto particolare della dea, sempre unita a Kore e sempre in relazione coi frutti della terra, è quello con cui è venerata in moltissime località dell'Arcadia (Paus., viii, 15, 1; 9, 2; 31, 1; 29, 1); il binomio assume qui il nome di μεγάλαι ϑεαί.
Il tipo di D. nelle arti figurative dell'antichità va studiato, come spesso accade nella riproduzione di divinità molto note, in due direzioni: anzitutto negli ex voto fittili dei santuarî e poi nella grande arte. In età arcaica sappiamo dalle fonti che alcune statue di D. erano celebri, come quella di D. con Kore di Fliunte (Paus., ii, 13, 5), la statua crisoelefantina dello Heraion di Olimpia (Paus., v, 17, 3) quella dei tempio di D. Melàina di Figalia (Paus., viii, 42, 4) (dove D. era rappresentata seduta e con testa equina) che fu sostituita da una nuova statua dello scultore Onatas allorché il vecchio idolo scomparve. Numerosi ex voto fittili di figure umane con teste di capra sono state trovate nel santuario di D. Dèspoina a Lykosoura in Arcadia, e così figure femminili con estremità animalesche (di cavallo, d'asino, di gatto, di suino, ecc.) rappresentate in atto di danzare o di correre (Bull. Corr. Hell., xxiii, 1899, p. 635 ss.; Ann. Brit. Sch. Athens, xiii, 1906-07, p. 357 ss.). Un'associazione tra D. e Kore si rileva nel santuario di D. Chamöne in Olimpia (Paus., vi, 21, 1) e di D. Mysìa ad Argo (Paus., ii, 18, 3). Ad Enna esisteva un santuario importantissimo di D., menzionato da Cicerone (In Verr., iv, 49), in cui era la statua di D. che teneva nella destra una statuetta di Nike; si è tentato di riconoscere la riproduzione della statua in un piccolo ex voto camarinese. Numerosi ex voto rinvenuti ad Eleusi ed in Sicilia documentano la diffusione del culto di D.: ad Eleusi una statua di D. stante, con kàlathos in capo, è il simbolo più arcaico che di lei si sia rinvenuto (Jahrbuch, iii, 1888, p. 343, figg. 2 e 27); ad Atene pure alcune terrecotte di D. con Kore ed Ecate sono state rinvenute sull'Acropoli; in esse D. è raffigurata seduta e con una stephàne in capo.
Enorme è la diffusione che il culto di D. e di Kore ha avuto in Sicilia; è noto che già Diodoro (v, 2) parlava del dono del grano che D. aveva dato all'isola. D. è qui nel tipo di Kidarìa, della quale i sacerdoti in Grecia indossavano le maschere (Paus., viii, 15, 1) e di cui numerose maschere si sono rinvenute a Rodi (Lindo) ed in Sicilia (Megara Iblea e Gela); da Gela anzi sembra che il culto si sia diffuso nella Sicilia ad opera dei coloni di Thera (Herod., vii, 53). La dea ha il kàlathos o la semplice stephàne od un pòlos in capo, ed è in genere velata; tipico è il caso di una doppia erma, da Agrigento, dove da un lato è rappresentata D. con tratti di vecchia e dall'altro una giovane dea, evidentemente la figlia Kore. Sono frequenti busti fittili votivi rappresentanti D. col kàlathos in capo e dai lunghi capelli fluenti ovvero raccolti ed ondulati intorno al capo; si sono rinvenuti principalmente a Grammichele e ad Agrigento dove era un santuario di D. e Kore della fine del VI sec. a. C. e dove le feste Thesmophòria erano celebrate con particolare onore (Polyaen., v, 1). È difficile talora distinguere negli ex voto il tipo di D. da quello di Kore, che in fondo è considerata identica alla madre nella funzione di dea della vegetazione, ma intorno alla quale si è creata una serie di leggende relative al suo ratto ed alla sua apparizione che hanno trovato anch'esse ampia illustrazione nei santuari, e specialmente nei pinàkia di Locri Epizefiri nella Magna Grecia (v. kore). Anche a Siracusa il culto di D. e Kore ebbe singolare sviluppo (Diod., xi, 26, 7; xvi, 66) e nel santuario situato, sembra, nella Neapolis di Siracusa, si doveva trovare un acrolito antichissimo, oggetto di venerazione, che fu rapinato da Verre (Cic., In Verr., iv, 128). Anche in Sicilia, come del resto si rileva in Arcadia, D. e Kore spesso si sovrappongono ad una antichissima divimtà indigena; e ciò è rivelato dall'appellativo che accompagna il nome di D., come a Selinunte, dove in un arcaico santuario ricco di fittili emersi dalle favissae coi soliti tipi di D. stante col pòlos o il kàlathos sul capo, ebbe sede il culto di D. Malophòros, attestato anche epigraficamente. In una terracotta camarinese, D., in chitone dorico ed himàtion aperto, tiene nella destra un animaletto, forse un porcellino, e nella sinistra un'offerta, forse un frutto. La terracotta sembra riportarsi ad un originale statuario.
In una serie di didracmi di Metaponto della prima metà del V sec. con le spighe sul rovescio, appare sul dritto una bella testa velata di D. davanti alla quale sono poste le fiaccole; su monete arcaiche di Enna, D. è sulla quadriga e con le fiaccole. Maggiori particolari sull'iconografia di D. ci dànno le rappresentazioni vascolari: poco significativa per il tipo è la D. del vaso François, del Museo Arch. di Firenze in cui essa è raffigurata vicino ad Hestia a Charichlo, ed è identificata soltanto per l'iscrizione; Kore e D. sono presenti nei vasi a figure nere dove è rappresentata la partenza di Trittolemo: esse hanno lo scettro e sono a capo scoperto (J. Overbeck, Kunstmythol., tav. 15, 6). In una hydrìa a figure nere di Würzburg D. sale su di un carro sul quale è già Apollo, ed accanto a lei è l'iscrizione col nome della dea.
Il profondo movimento di cultura e di arte dei VI-V sec. a. C. non mancò di esercitare il suo influsso anche sull'iconografia di Demetra. La cosiddetta Hestia Giustiniani del Museo Torlonia di Roma, chiusa nel peplo dorico e col capo velato, non è improbabile che sia una D.; nel volto c'e una affinità fisionomica con il cosiddetto Apollo dell'Omphalòs (B. Schweitzer, in Arch. Anz., 1928, cc. 510-516). Dell'ultimo scorcio dello stile severo è un gruppo di D. e Kore rinvenuto acefalo a Corinto (v. Corinth, ix, 1931, n. 5 e 7), riconosciuto da E. Paribeni (Boll. d'Arte, xl, 1955, p. 1 ss.) con la grande Demetra del Museo dei Conservatori (Braccio Nuovo) e la Kore del Vaticano con la testa Barracco-Budapest. Il gruppo, rinvenuto a Corinto e forse anche a Roma, che presenta parecchie repliche, deriva probabilmente da un originale attico, che influenzò anche la tipologia seguente delle due dee. L'esistenza di tale gruppo non venne riconosciuta dall'Homann-Wedeking (Röm. Mitt., lv, 1940, p. 214) che vedeva in Kore una figura derivata da Onatas, mentre definiva D. un "pasticcio" romano. Il tipo monumentale di D. si fissa nel grande rilievo eleusinio di Atene, rappresentante Trittolemo fra D. e Kore: D. è a sinistra, con la chioma sciolta e corta che deriva da schemi arcaici, indossante un maestoso peplo con ampio apòptygma; essa mostra al giovinetto Trittolemo la spiga, atto sacro che faceva parte delle cerimonie dei misteri, e si appoggia con la sinistra ad un alto scettro. Di questo rilievo esiste una parziale replica a New York (Metropolitan Museum). La D. qui rappresentata richiama una statua di Cherchei in Algeria, di cui esiste una replica nei Musei di Berlino; D. indossa un peplo chiuso, è velata ed ha un aspetto afflitto quale si conviene alla madre durante la ricerca della figlia rapita, la così detta πλανή del rito eleusinio (P. Gauckler, Mus. Cherchel, 1894, p. 102, tav. v). Il rilievo di Eleusi è indubbiamente una manifestazione dell'arte del tempo di Fidia, il quale nel frontone orientale del Partenone ha creato le due statue, di D. e Kore, riunite affettuosamente in un solo gruppo; D. tende le braccia verso Iride che annunzia la miracolosa nascita di Atena, indossa un chitone ed un himàtion che le avvolge le spalle e le ginocchia; le dee sedevano su ciste rettangolari. Anche nel fregio del Partenone D. era rappresentata, nell'assemblea divina alla quale converge la processione delle Panatenee, seduta e con una torcia in mano, fra Dioniso ed Ares. Ma in Fidia c'è una singolare libertà dai tipi statuarî ed una completa indipendenza da schemi tradizionali.
Un ritorno ad una tipologia di D. stante, con in mano le spighe con oggetti rituali, patera o oinochòe, si ha in vasi, in rilievi, in statue. Nelle rappresentazioni vascolari D. talora dona a Trittolemo un'oinochòe e gli mostra le spighe; D. ha spesso una corona a punte che talora si unisce alle spighe ed al velo dell'himàtion. Tra le statue, la Demetra capitolina, con la mano destra abbassata che tiene la patera e la sinistra alzata con lo scettro, ha la solennità della statua di Cherchel ma è meno dolorosa di quella, ed ha una grandiosità nel panneggio che è ancora il frutto della corrente fidiaca. Ma alla base di questo tipo sta sempre il rilievo eleusinio. Il tipo di D. non è improbabile che sia servito anche per altre divinità, la Eirene di Kephysodotos. Nel IV sec. a. C. il tipo di D. stante, con chitone con apòptygma ed himàtion che si avvolge intorno al braccio sinistro e che vela il capo, appare in un rilievo del Ploutonion di Eleusi (D. Philios, in Ath. Mitt., xx, 1896, p. 225 ss.); si ritrova in una statuetta del Museo Arch. di Venezia, in una del Catajo ed in un torso marmoreo di Atene.
Lo schema di D. seduta appare in una statuetta rinvenuta nell'agorà di Atene, presso il cosiddetto Theseion, che l'Oikonomos (Bull. Corr. Hell., lxx, 1946, p. 403 ss.) fa dipendere da un originale della fine V-inizio IV sec. a. C. e riconnette al naòs di D. ricordato da Pausania (1, 2, 4). Lo schema si ritrova anche più tardi nella Demetra Jacobsen della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen, la cui testa è stata adattata a ritratto col diadema in capo. Tra le statue del IV sec. a. C., la più famosa è quella di Cnido, ora al British Museum, della seconda metà del secolo, che, pur avendo lo schema tradizionale della dea seduta, e cioè himàtion gettato sulla spalla sinistra, chitone a grosse pieghe e capo velato, ha nello sguardo perduto in lontananza e nel contrasto tra la levigatezza del marmo sul volto e le fitte pieghe del manto il caratteristico aspetto delle opere di quel secolo. Un originale del IV sec. a. C. è il bronzo di D. seduta come nel tipo di Cnido rinvenuto recentemente (v. G. E. Beau, in Ill. London News, 1953, Nov., p. 747 ss.) nel mare di Bitez, presso Bodrum (Asia Minore) e ora conservato al museo di Smirne. Lo schema della figura seduta del tipo di Eleusi e di Cnido si ritroverà nei sarcofagi romani con varianti, come la rappresentazione della dea in trono o su di un carro tratto da cavalli o da serpenti. Tuttavia sembra che a Cnido, oltre al tipo di D. seduta, ci fosse anche quello stante col chitone dalle profonde pieghe che appaiono sotto l'himàtion che la avvolge completamente lasciando fuori soltanto il braccio destro con cui essa regge la torcia; è questa una serie che fa capo alle statue Doria-Pamphilj, degli Uffizî, di Napoli e del Louvre, di cui si sono rinvenute varianti in Africa, a Tunisi, a Cesarea e Timgad. Questa serie di statue nel ritmo e nel panneggio si riporta alla corrente prassitelica. A questa pure si riporta la D. rappresentata nel rilievo trovato presso i propilei di Appio Claudio Pulcro in Eleusi, dove la dea è seduta sulla cista e panneggiata nel solito modo, col capo velato dall'himàtion. Un tipo dell'alto ellenismo (fine III-inizio II sec. a. C.) di origine asiatica (Tralles, Smime), ma di interpretazione italica (Siracusa?) è l'originale bronzeo che si può dedurre dalla copia fittile rinvenuta nei pressi di Roma (v. M. Borda, in Studies D. M. Robinson, S. Louis, vol. i, 1953, p. 765 ss.).
Un felice rinvenimento dei primi anni del nostro secolo nell'Arcadia, a Lykosoura, ha fatto conoscere un singolare complesso di sculture e di ex voto nel santuario di Despoina, figlia, secondo gli Arcadi, di D. e Posidone (Paus., viii, 37, i). Le statue, opera di Damophon di Messene, scultore della prima metà del II sec. a. C., rappresentavano D. con la fiaccola, Despoina in trono sulla cista con lo scettro, Artemide ed Anytos. Fra le terrecotte votive del santuario, numerose sono quelle umane con teste di ariete. È possibile, come ha supposto il Dickins, che il gruppo centrale di Lykosoura fosse simile a quello di D. e Kore del frontone E del Partenone; D. aveva il braccio destro abbassato che reggeva una fiaccola e la testa velata.
Bibl.: F. Lenormant, in Diction. Antiq., s. v. Ceres; L. Bloch, in Roscher, s. v.; O. Kern, in Pauly-Wissowa, s. v.; M. Ruhland, Die eleusinischen Göttinnen, Strasburgo 1901; E. Maas, in Oesterr. Jahreshefte, XI, 1903, p. 1 ss.; L. R. Farnell, Cults of the Greek States, I-V, Londra 1896-1909; M. P. Nilsson, Gesch. gr. Relig., Monaco 1941, pp. 427-451; F. Sartori, in Rend. Acc. Linc., s. VIII, V, 1950, p. 233 ss.; B. Ashmole, in Journal Hellenic Studies, LXXI, 1951, p. 13 s.; F. R. Walton, Athens, Eleusis and the Homeric Hymn to D., in Harvard Theolog. Rev., XLV, 1952, p. 105 ss.; J. Opelt, in Reall. Ant. u. Christ., s. v. Demeter (1956).