DELLA CERVA, Giovanni Battista
Nacque probabilmente a Novara intorno alla metà del secondo decennio del Cinquecento da Giovanni Antonio di Abbiategrasso e da Maddalena di Nicodemo de Scardi. Un documento informa che nel 1526, a Novara, il D. fu sistemato dalla madre, vedova, a bottega presso Bernardino de Bucchis affinché imparasse l'arte del dipingere (Morandi, 1916).
La formazione del pittore avvenne in un ambito periferico, legato alle fabbriche di S. Gaudenzio e del duomo di Novara, dove giungeva però l'eco delle opere gaudenziane. A conclusione del suo apprendistato pittorico, il D. dovette avvicinarsi più direttamente al cantiere di Gaudenzio Ferrari, incontrato forse a Vercelli tra il 1528 e il 1534, ma è per ora impossibile definire anche solo in via ipotetica l'intensità, la durata e la natura di questi legami. Intorno al 1615 un cronista di Busto Arsizio, Antonio Crespi Castoldi, riferì al D. gli affreschi del presbiterio della chiesa bustese di S. Maria della Piazza, datandoli 1542; questa segnalazione non è mai stata posta in dubbio.
Nel 1541 Gaudenzio Ferrari aveva consegnato alla stessa chiesa il Polittico dell'Assunta, ancora in loco, compiuto con l'evidente collaborazione di alcuni aiuti; forse anche il D. contribuì alla realizzazione di questo dipinto (Mallè, 1969, p. 208). In base alla notizia seicentesca, al D. vengono oggi attribuiti gli affreschi del presbiterio della chiesa raffiguranti l'Adorazione dei pastori, l'Adorazione dei magi e l'Annunciazione, alcuni angeli musicanti dipinti nella volta dell'altare di destra e la fascia a grottesche che corre lungo la zona inferiore delle pareti. Le Adorazioni dei pastori e dei magi sono state gravemente danneggiate dal tempo, da ridipinture e restauri; discendono dagli affreschi di Gaudenzio Ferrari in S. Cristoforo a Vercelli, presentando però banalizzazioni, maldestre incertezze e un forte calo di tensione rispetto all'opera e alle tematiche del pittore valsesiano. Più interessanti sembrano invece l'angelo dell'Annunciazione e la volta con angeli musicanti, forse derivati direttamente da disegni di Gaudenzio.
Si pone a questo punto in evidenza il problema della collaborazione del D. con Gaudenzio Ferrari, che è documentata solo a partire dal 1543: a questa data, infatti, i due pittori, già residenti a Milano, affittarono insieme una casa (Colombo, 1881, pp. 359 s.). Nel 1544 il D. compare accanto a Gaudenzio nel contratto relativo all'Ultima Cena collocatanella chiesa milanese di S. Maria della Passione, dove viene definito "socio" dell'anziano maestro (Colombo, 1881, pp. 352 s.). La collaborazione milanese dei due pittori dovette estendersi anche a diverse altre opere del periodo, come per esempio al Battesimo di Cristo della chiesa di S. Maria presso S. Celso o al S. Gerolamo con donatore di S. Giorgio al Palazzo, ma allo stato attuale delle ricerche sul cantiere gaudenziano di Milano non è possibile indicare con precisione dove il D. fosse intervenuto direttamente. In realtà il problema non tocca solo il D., ma l'intero nodo della bottega milanese dei gaudenziani, frequentata anche da Giuseppe Giovenone il Vecchio e da Bernardino Lanino.
La mancanza di opere note totalmente autografe del D. rende difficoltoso definire il suo stile pittorico, riconosciuto dalla critica più recente in una "gonfiezza alquanto sgangherata ... in cui si fanno palesi quegli stimoli al gigantismo forzuto delle membra e attitudini, che stava in quegli anni invadendo tutta Italia" (Brizio, 1956, p. 19). Ciò che resta degli affreschi bustesi di S. Maria della Piazza deve però indurre a una certa cautela nell'individuazione della personalità pittorica del D., il cui aggiornamento culturale negli anni della collaborazione artistica con Gaudenzio Ferrari dovette essere limitato e comunque sempre sottoposto all'influenza preponderante dell'anziano pittore.
Il 31 genn. 1546 Gaudenzio Ferrari morì a Milano, lasciando nelle mani dei suoi collaboratori una bottega molto attiva, impegnata nell'esecuzione di commissioni di prestigio nel panorama cittadino. Il D. rifiutò, nell'aprile di quell'anno, la proposta di affrescare la cappella di S. Giuseppe nel duomo di Novara, eseguita poi da Lanino (Roma, Istituto centrale per il catalogo e documentazione, scheda O.A. n. 157, a cura di M. Dell'Omo, 1981; il documento si trova in Archivio di Stato di Novara, Congregaz. della Carità novarese, Libro mastro, 1527-1571, n. 3, f. 165v). In luglio egli subaffittò parte della sua casa milanese a Giuseppe Giovenone il Vecchio (Archivio di Stato di Milano, Notarile 9771, Not. Enrico Porro, 17 luglio 1546); la coabitazione dei due artisti testimonia la vitalità della bottega, che doveva condurre a termine alcune commissioni rimaste incompiute alla morte di Gaudenzio.
In particolare, va probabilmente ascritta a questa fase la Deposizione e angeli affrescata nella basilica di S. Ambrogio, derivata dalla tavola di Gaudenzio e aiuti ora alla Sabauda di Torino, ma con figure più massicce e impacciate. Il pathos gaudenziano non si perde nel dipinto milanese, ed è probabile che l'ideazione complessiva debba risalire a Gaudenzio in persona: gli angeli affrescati lateralmente si legano invece al cartone n. 337 dell'Accademia Albertina di Torino, di recente con cautela riferito al D. (Gaglia, 1982, pp. 86 ss.) e rimandano anche all'angelo dell'Annunciazione delpresbiterio di S. Maria della Piazza.
Tra 1546 e 1548 si collocano gli affreschi di Lanino e del D. con Storie della vita della santa nell'oratorio di S. Caterina presso S. Nazzaro di Milano (Colombo, 1883, pp. 175 s.); anche in questo caso la composizione discende da un prototipo gaudenziano (il Martirio di s. Caterina già in S. Angelo e ora a Brera), ma l'episodio centrale raffigurante il Martirio presenta alcune novità per la cultura artistica milanese dell'epoca, riprendendo nel fondale la "scena tragica" di Serlio e profondendo nelle figure un certo michelangiolismo caricato, desunto probabilmente dalle stampe. Anche se il D. percepì per quest'opera un compenso maggiore rispetto a quello corrisposto a Lanino, è difficile specificare il suo ruolo nell'esecuzione dell'affresco, in quanto il respiro dell'insieme è spiccatamente laniniano e solo l'enfasi e l'insistenza sugli "aspetti più tumidi e plasticamente caricati della maniera" (Dell'Acqua, 1957) possono forse essere ricondotti al suo apporto diretto.
Nel 1547 il D. e Giuseppe Giovenone il Vecchio traslocarono in una casa più vicina all'oratorio di S. Caterina (Colombo, 1883, p. 289) e a questa data risale anche un contratto stretto tra il pittore e Giuliano e Giuseppe da Vaprio, padre e figlio, per definire l'apprendistato pittorico di quest'ultimo presso il D. (Arch. di Stato di Milano, Rubr. notarili 4263, Not. Battista Rozzi, 30 ag. 1547). Nel documento di liquidazione della società stretta con Giuseppe Giovenone il Vecchio il D. è definito nel 1548 "socio" di Bernardino Lanino (Colombo, 1883, pp. 293 s.), ma la sua carriera come pittore indipendente doveva già essere cominciata. Sempre nel 1548, vendette la sua casa di Novara (Colombo, 1881, p. 230), decidendo definitivamente di restare a Milano.
In base a una segnalazione del Torre (1714, p. 116) era sempre stata riferita al D. la pala raffigurante la Incredulità di s. Tommaso, collocata nella sacrestia della chiesa milanese di S. Lorenzo, attribuita però in questi ultimi anni a Carlo Urbino da Crema (Bora, 1977, p. 71): il dipinto si presenta infatti estraneo a ogni reminiscenza gaudenziana, e non sembra neppure accostabile a quanto si può ricostruire dell'attività del D. nel sesto decennio del secolo.
Le notizie e la bibliografia relative all'opera del D. si fermavano fino ad oggi al 1548, in quanto nessuno aveva ricostruito la biografia posteriore a questa data. L. Lanzi (1815) ricordò che tra i "più rinomati allievi" di Gaudenzio Ferrari dovevano essere posti "Della Cerva e Bernardino Lanino, da' quali si derivarono quasi due branche di una medesima scuola, la milanese e la vercellese"; in particolare il Lomazzo (1584) aveva indicato nel D. il suo "maestro". Il rinvenimento di nuovi documenti conferma il legame intercorso tra i due pittori: nel 1552 infatti, i Lomazzo - padre e figlio - stipularono col D. alcuni patti riguardanti l'apprendistato pittorico del quattordicenne Giovan Paolo (Arch. di Stato di Milano, Rubr. not. 4263, Not. Battista Rozzi, 3 febbr. 1552; l'atto è perduto, ne resta solo la registrazione); ma il rapporto tra il maestro e l'allievo dovette essere piuttosto burrascoso perché sette anni dopo, nel 1559, fu rogato di nuovo un documento destinato a comporre le controversie insorte nel frattempo tra le due parti (Ibid., Notarile 9778, Not. Enrico Porro, 30 ott. 1559). Il documento non fornisce molti particolari, ma si può intuire l'accaduto: il giovane Lomazzo probabilmente non rispettò le clausole del patto firmato nel 1552, abbandonando anzi tempo la bottega del D. forse per accostarsi momentaneamente a Bernardino Campi o a qualche altro pittore più aggiornato del suo maestro (cfr. Romano, 1982).
Posteriori al 1550 sono anche altri tre contratti stretti tra il D. e alcuni giovani apprendisti pittori, confermando la notizia fornita dal Lanzi sull'esistenza di una vera e propria "scuola milanese" del D. (i contratti si trovano in Arch. di Stato di Milano, Rubr. notarili 4263, Not. Battista Rozzi, 3 febbr. 1552, patto con Giovan Domenico Scareti; Notarile 11.231, n. 1025, Not. Bernardino Verri, 23 marzo 1554, patto con Giovan Andrea Soldati e 11.739, Not. Francesco Premenughi, 1° giugno 1556, patto con Francesco Verri).
Molto più difficile appare la ricostruzione della sua attività pittorica: una notizia fornita dalle guide di Milano - e non verificabile a causa della mancanza di documenti - ricorda che il D. collaborò alla decorazione pittorica del palazzo ducale (Torre, 1714, p. 341; Latuada, 1737, II; Mongeri, 1872). Tra il 1548 e il 1554 infatti, nel clima di ricostruzione della città promosso da Ferrante Gonzaga e dal suo architetto, Domenico Giunti, il palazzo ducale di Milano fu trasformato da residenza visconteo-sforzesca a dimora dei governatori spagnoli, ma le successive radicali modifiche subite dall'edificio cancellarono ogni traccia dei lavori gonzagheschi. È però plausibile che il D. avesse effettivamente operato nell'impresa: la sua discreta fortuna economica sembra infatti risalire all'inizio del sesto decennio e la sua attività pittorica dovette rivolgersi quasi esclusivamente verso l'esecuzione di opere profane. L'autobiografia scritta dal Lomazzo nel 1587 è estremamente chiara in questo senso e permette di ipotizzare che il D. dovette ben presto abbandonare quasi ogni ricordo gaudenziano per abbracciare invece uno stile più eclettico, gradito alla sua committenza legata ai nuovi dominatori spagnoli.
Il Lomazzo scrisse: "... al pinger mi diei / sotto... Gian Battista Della Cerva./ Il qual mi spinse innanzi contemplando / Quel ch'io era pronto à far nel arte sola./ Però in quei tempi feci diverse opre / Si come quadri, bizzarrie historie, / Fregi grotteschi et partimenti varij./ Con cartozzi, trofei, paesi et frutti:/ Quai variando in le tre sorti pinsi./ E nè ritratti ancor io posi il piede / Di piccioli, et di grandi, et al fin poi / Mi dipartii da lui..." (1587, p. 529).Il D. dipinse quindi in palazzi privati ed eseguì anche alcuni ritratti: probabilmente la maggior parte delle sue opere è andata distrutta nel corso dei secoli, ma la sua carriera si inserisce entro l'incerto profilo della cultura artistica milanese della metà del secolo, contribuendo a definirne alcuni aspetti. Dal 1550 in poi il D. si legò sempre più strettamente a Milano: una lunga serie di atti notarili riguardanti l'amministrazione delle sue proprietà copre quasi ogni anno fino al 1580; dal 1546 in poi il pittore stese diversi testamenti, nei quali tralasciò la descrizione di tutti i dettagli riguardanti la sua attività professionale per soffermarsi invece sulla divisione e la distribuzione dei suoi beni. Intorno al 1558, accanto all'indicazione del casato, compare per la prima volta l'attributo di "nobile", che conferma la sua migliorata posizione sociale.
Dalla lettura in serie di questi atti notarili, si ricava che a partire dal 1561 circa il D. venne colpito da una grave malattia che lo rese inabile al lavoro: dopo tale data, infatti, scompare ogni traccia relativa alla sua professione di pittore, mentre restano solo le carte riguardanti l'amministrazione del patrimonio e la beneficenza. Il D. morì a Milano il 27 apr. 1580 (Arch. di St. di Milano, Finanze, Reddituari, 336, Della Cerva, 31 maggio e 14 luglio 1580): si era sposato due volte e aveva avuto due figli.
Fonti e Bibl.: I documenti ancora inediti riguardanti il D. si trovano in Archivio di Stato di Milano, Finanze, Reddituari, 135, 336, 639; Notarile, Not. G. Ambrogio Cignardi, anni 1559-1564; Not. Filippo Confalonieri, 1553; Not. G. Maria Cuggiono, 1543-1553; Not. Enrico Porro, 1546-1559; Not. Francesco Premenughi, 1556-1557; Not. Battista Rozzi, 1547-1552; Not. G. Ambrogio Spanzotta, 1548-1557; Not. Bernardino Verri, 1552-1578. Cfr. inoltre: G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scoltura et archit. [1584], a cura di R. Ciardi, in G. P. Lomazzo, Scritti sulle arti, II, Firenze 1974, p. 325; Id., Rime divise in sette libri, Milano 1587, pp. 529 s.; A. Crespi Castoldi, La storia di Busto e le relazioni [1615 ca.], a cura di L. Bellotti, Busto Arsizio 1927, p. 247; P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 459; C. Torre, Il ritratto di Milano, Milano 1714, pp. 9, 34, 116, 341; S. Latuada, Descrizione di Milano, Milano 1737, II, p. 129; III, p. 311; N. Sormani, Giornate tre de' passeggi storico, topografico critici nella città di Milano, II, Milano 1751-52, p. 185; F. Bartoli, Notizia delle pitture, scolture ed architetture... d'Italia, Venezia 1776, p. 182; F. M. Gallarati, Istruz. intorno alle opere de' pittori nazionali ed esteri esposte in pubblico nella città di Milano, Milano 1778, p. 19; C. Bianconi, Nuova guida di Milano, Milano 1787, p. 241; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, IV, Pisa 1815, p. 208, G. Bordiga, Notizie intorno alle opere di G. Ferrari..., Milano 1821, pp. 54 s.; G. Caselli, Nuovo ritratto di Milano in riguardo alle belle arti, Milano 1827, pp. 95, 133, 165; G. Mongeri, L'arte in Milano..., Milano 1872, p. 36; Id., S. Maria di Piazza a Busto Arsizio e il suo recente restauro, in Boll. storico lombardo - Boll. della Consulta archeol., III (1876), p. 93; G. Colombo, Vita e opere di G. Ferrari pittore con documenti ined., Torino 1881, ad Indicem; L. Malvezzi, Le glorie dell'arte lombarda, Milano 1882, p. 205; G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883, pp. 175 s., 289 s., 293; A. Marazza, I cenacoli di G. Ferrari, in Arch. stor. dell'arte, V(1892), p. 22; E. Halsey, G. Ferrari, London 1904, pp. 15 s., 28, 117, 120; G. B. Morandi, Schede per la storia della pittura in particolare e dell'arte novarese in generale, in Boll. stor. per la prov. di Novara, X (1916), p. 21; S. Weber, Ferrari und seine Schule, Strassbourg 1927, p. 135; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 549-51; L. Tosi, Alcuni problemi intorno all'archit. e agli affreschi di G. B. D. in S. Maria della Piazza a Busto Arsizio, in La mamma dei Bustocchi, Busto Arsizio 1943, pp. 11-28; A. M. Brizio, in Gaudenzio Ferrari (catal.), Milano 1956, pp. 19 s.; A. Griseri, ibid., pp. 71 s., 81 s.; G. Testori, Promemoria gaudenziano, in Boll. della Soc. piemontese di archeologia e belle arti, VIII-XI (1954-57), pp. 18 s.; L. Mallè, Poesia e cultura di Gaudenzio, ibid., pp. 47 s.; G. A. Dell'Acqua, La pittura a Milano dalla metà del XVI secolo al 1630, in Storia di Milano, X, Milano 1957, p. 681; L. Mallè, Incontri con Gaudenzio, Torino 1969, ad Indicem; G. Bora, Note cremonesi, II, L'eredità di Camillo e i Campi, in Paragone, XXVIII (1977), 327, pp. 69 ss.; Id., in Omaggio a Tiziano. La cultura artistica milanese nell'età di Carlo V (catal.), Milano 1977, pp. 48 s., 64, 71; Id., Due secoli d'arte a Milano: La pittura in S. Maria della Passione, Milano 1981, pp. 114-116; Schede Vesme, IV, Torino 1982, p. 1344; G. Pacciarotti, Gaudenzio Ferrari e la sua scuola a Busto Arsizio, Busto Arsizio 1982, pp. 7-24; P. L. Gaglia, in G. Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell'Accademia Albertina (catal.), Torino 1982, pp. 86 ss.; G. Galante Garrone, ibid., p. 164; G. Romano, ibid., p. 252; G. Bora, La cappella di S. Corona, in S. Maria delle Grazie, Milano 1983, pp. 155-61; G. Romano, G. Giovenone, G. Ferrari e gli inizi di B. Lanino, in B. Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 43 s., 59; P. Astrua-L. D'Agostino, B. Lanino maestro a Vercelli..., ibid., p. 120; R. Sacchi, B. Lanino in Lombardia, ibid., pp. 131 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künsterlexikon, VI, p.302 (sub voce Cerva, Giov. Battista della).